
Con il timbro disincantato e persino un po’ scostante del giornalista che vuole attenersi ai fatti senza alcuna concessione, Agnès Poirier scrive in trecent’otto pagine un decennio intenso di storia parigina. Rive Gauche. Arte, passione e rinascita a Parigi 1940-1950, racconta con puntualità aneddotica un momento di svolta della storia culturale europea, tra l’arrivo dei carri armati nazisti nella capitale francese, la loro cacciata e il dopoguerra forgiato dalle idee e dagli intellettuali. Collaboratrice di Le Monde, The Guardian, The Times, Agnes Poirier scrive un saggio così ben documentato che finisce per comprimere negli eventi ogni fascinazione per le idee e per la letteratura; passioni che l’autrice ha sicuramente speso nell’affrontare temi e luoghi storici tanto effervescenti.
Sì, ci sono i gauchiste, ci sono i collaborazionisti, c’è la nascita passo a passo delle Édition de minuit ai tempi della clandestinità, ci sono Vercors, Beckett, Picasso, Vlaminck ed Hemingway in camionetta alla Liberazione di Parigi, ci sono naturalmente Camus, Sartre e Simone de Beauvoir; compaiono i precordi della Nouvelle Vague con un Truffaut diciassettenne, compare Boris Vian e persino Jean Monnet che «inserì nell’agenda politica del mondo l’idea di un’Europa unita». Emerge un itinerario impareggiabile, un unicum della storia culturale europea trapunto di personaggi, circostanze, fatti. Ma il taglio cronachistico finisce talvolta per ridurre la prospettiva, cioè uno sguardo che implichi un confronto tra quelle idee e la storia a vantaggio di ininfluenti fatti personali inerenti gli autori. Non così accade tuttavia nella prima parte del saggio quando Poirier visita con dovizia gli errori della Francia alla vigilia dell’attacco nazista. E’ il momento in cui il governo ancora non crede alla guerra e, come l’Inghilterra, ignora l’invasione della Polonia (e il dovere di intervenire come prevedevano i trattati). «I francesi la chiamano la drôle de guerre, gli americani e i britannici la “guerra fasulla” ». I governi di Parigi e di Londra si baloccano con i propri interni dissidi e si impegnano a rendere difficile la vita di tedeschi e austriaci emigrati (come Arthur Koestler in Francia e Stefan Zweig in Inghilterra) .Le opere del Louvre salvate da un funzionario
Le opere del Louvre salvate da un funzionario
Un anno dopo l’esercito tedesco è a Parigi. Ma davvero l’accaduto era impensabile? Si direbbe proprio di no. Tant’è che un semplice funzionario, il responsabile dei Musei nazionali francesi, Jacques Jaujard, il giorno dopo il patto tra Molotov e Ribbentrop (cioè il 24 agosto 1939) che lascia a Hitler la libertà di attaccare l’Occidente, decide di trasferire i capolavori del Louvre in luoghi distanti dalla capitale. «La cassa bianca che conteneva la Monna Lisa era contrassegnata da tre cerchi rossi» e viaggiò su una ambulanza con sospensioni pneumatiche. Un cerchio giallo indicava le opere di grande valore, uno verde quelle di rilievo e uno rosso i capolavori assoluti. Presto un convoglio di 203 veicoli, camion, furgoni, taxi, auto private, con 1862 casse in legno, partì in direzione di 11 castelli dove le opere avrebbero atteso, in anonimato, il corso degli eventi. Era la fine dell’agosto 1939, vale a dire dieci mesi prima che Hitler si mettesse in posa per una fotografia davanti alla Tour Eiffel. Insomma la politica, l’intellighenzia del potere istituzionale non arrivò neppure alla soglia del sospetto che costrinse invece il modesto funzionario Jaujard ad agire per tempo con determinazione ed efficacia.
La fuga, la clandestinità

Nel 1940 il mondo intellettuale francese è in fuga. Beckett è in Provenza con altri profughi senza un soldo, Paul Éluard con altri résistants si nasconde in un ospedale psichiatrico, Sartre riesce a far rappresentare la pièce Le Mosche grazie all’intervento accomodante di un ufficiale tedesco incaricato della censura ma anche appassionato di letteratura francese e, soprattutto, troppo colto per aderire ai diktat tedeschi. Analoga fortuna tocca alle opere di Camus come Il malinteso. Lo Straniero esce nel 1942 ma due anni dopo l’impegno maggiore dello scrittore sarà quello di organizzare l’uscita del giornale clandestino Combat di cui è redattore-capo. Alcuni surrealisti e in primis André Breton (in nave con l’antropologo Claude Lévi-Strauss) sono riusciti invece a raggiungere New York dove conducono vita da esuli ma incoraggiata dalla curiosità e dalla stima di molti. Per la maggior parte dei parigini i due anni seguenti hanno invece una sola priorità: l’approvvigionamento quotidiano di cibo. Tuttavia il 14 luglio 1944, giorno della presa della Bastiglia, alcuni balconi mostrano una biancheria assai poco casuale: una tuta blu, una tovaglia bianca, una sciarpa rossa svolazzano all’aria aperta. Dalle bluse degli operai spuntano alcune matite con gli stessi colori, e gli abiti delle donne insistono su quelle tinte.
Sartre-De Beauvoir
Una parte cospicua del racconto della Poirier segue la coppia Sartre-De Beauvoir, le cui idee, come un filo rosso, contrassegnano il dopoguerra con le caves degli esistenzialisti e la musica jazz.(La nausea, il romanzo che più esprime l’ontologia di Sartre è del 1938). Ma non c’è solo questo. Con acume il saggio mette in risalto il ruolo di catalizzatore del costume e del pensiero che ebbe Simone de Beauvoir con il romanzo L’invitata (1943), dove la scrittrice reinventa il ménage à trois con Jean Paul Sartre e Olga Kosakiewicz diffondendo nel contempo le idee di libertà personale in linea con il pensiero esistenzialista. La poetessa Anne-Marie Cazalis, scriverà: «Non avrei mai pensato che si potesse vivere con tanta libertà. Simone si era guadagnata il diritto di vivere così e, grazie a lei, questa libertà è passata, come un dono, alla mia generazione.» Un giorno Anne-Marie nota una adolescente con un dolcevita nero e pantaloni da cavallerizza, «le palpebre orlate di pesante kajal nero.» Era l’adolescente Juliette Gréco.

Il jazz e Juliette Greco
Ma a creare il connubio tra esistenzialismo, voglia di libertà e jazz, è Boris Vian che conosce la coppia ormai mitica Sartre-De Beauvoir e la porta nei locali dove suonava. Nel seminterrato di un hotel, al 5 di rue des Carmes, i proprietari pensano sia una buona idea chiedere ai musicisti jazz di suonare dalle cinque alle sette di ogni sera. In breve i giovani della Rive gauche accorrono a frotte, convinti anche dal prezzo modesto, mentre sulla pessima areazione del locale la prefettura chiude un occhio, visto che i proventi di quelle serate sarebbero andati alla cittadina bretone di Lorient, gravemente colpita della guerra. Poco dopo le soirée saranno animate anche dalla Greco che all’epoca era poverissima

Diversamente da oggi, il mondo delle idee e persino la filosofia, avevano posto anche nella politica. Arte, letteratura, filosofia, diventavano un modello di confronto per le giovani e vecchie generazioni. Louis Aragon promuoveva la causa comunista e cercava nuovi adepti tra gli artisti, ma proprio tra i surrealisti storici (allora cinquantenni) si trovavano i maggiori scettici di ogni potere politico, comunismo compreso. Le battaglie culturali intrecciate nel dopoguerra e proseguite negli anni Cinquanta arrivavano anche al di là dell’Atlantico dove erano rimasti, dopo la guerra, André Masson, Francis Picabia, Joan Mirò, Max Ernst. Basti aggiungere che a Londra «Cyril Connolly, il direttore di “Horizon”, aveva tradotto e pubblicato il manifesto di “Les Temps Modernes”, scritto da Sartre, e lo aveva adottato per sé e per la propria generazione.»
La Rive gauche negli Stati Uniti
In alcuni paragrafi Agnès Poirier illumina attraverso le parole di Sartre e il caso di Norman Mailer il rapporto di mutua fascinazione tra gli intellettuali francesi e quelli statunitensi. Da un canto il filosofo de L’essere e il nulla che, dopo sei mesi trascorsi a New York, vede negli Stati Uniti il mondo dove la storia ha un passo spedito, dove la società può davvero cambiare dal basso. Dall’altro Norman Mailer negli anni del fragoroso successo di Il nudo e il morto, che «abbracciò la politica con la passione di uno studente della Rive gauche», tanto da lavorare alla campagna progressista di Henry Wallace durante le elezioni presidenziali, scrivere i discorsi del candidato e portare con sé il suo mentore e traduttore francese Jean Malaquais a Hollywood «per corteggiare i liberal dell’industria del cinema.» Ma non è tutto. Le cronache di Poirier riportano il caso oggi dimenticato di Garry Davis, giovane reduce dell’aeronautica che, nel 1948, annuncia davanti al palazzo parigino dove si tiene l’incontro delle Nazioni Unite di voler rinunciare al suo passaporto americano (oggetto tra i più ambiti del tempo) per fondare un governo mondiale. La dichiarazione – che oggi darebbe luogo a quelli che vengono chiamati rumors – innestò clamorose prese di posizione ideali di decine di intellettuali e Davis, con Camus e Richard Wright, tenne una conferenza che venne ripresa dai media di tutto il mondo. Pochi giorni dopo giunse un cablogramma dagli Stati Uniti, il più lungo che si fosse mai letto. Era firmato da Albert Einstein che intendeva sostenere l’idea di un’istituzione sovranazionale senza affidarne il compito all’iniziava dei governi. Tempi e idee vitali, quando i mercati non dirigevano le orchestre. E la sola idea che potesse succedere avrebbe fatto ridere persino i più sprovveduti.
Marco Conti
Agnès Poirier, Rive gauche. Arte, passione e rinascita a Parigi 1940-1950, Einaudi, pp. 351. Euro 21,00