Michel Houellebecq: prima cosa «Restare vivi»

«Un poeta morto non scrive più. Da qui l’importanza di restare vivi».

La boutade di Michel Houellebecq dà il titolo, nel 1991, ad uno dei suoi primi libri e il solo in cui lo scrittore delinea la sua visione della scrittura poetica. La boutade di Rester vivant  del resto non è propriamente tale. Houellebecq anticipa  qui le coordinate di una poetica che si troverà declinata in accezioni diverse sia in poesia che nelle narrazioni: da un canto il dolore schopenhaueriano dell’essere al mondo, dall’altro il rifiuto della storia occidentale così come si definisce nell’attualità della globalizzazione.

«Il mondo è estesa sofferenza» scrive in apertura del saggio sotto il capitolo “Méthode”, che qui ha valore di “Principi”.  E in poche pagine rapsodiche emerge subito anche l’approccio alla lirica indivisibile dall’esistenza: «Il primo passo della poesia consiste nel risalire all’origine. Al sapere: la sofferenza». «Ogni sofferenza è bene; ogni sofferenza è utile; ogni sofferenza porta i suoi frutti; ogni sofferenza è un universo.»

Il poeta al suo tavolo

Houellebecq si confronta rapidamente con gli aspetti pratici della vocazione poetica. Con l’immediatezza che lo contraddistingue, si rivolge al poeta in pectore e scrive: «Se non riuscite a sviluppare la sofferenza in una struttura ben definita, siete fottuti.» E di seguito: «Credete nella struttura, nelle metriche antiche, comunque.»

Lo scrittore più eversivo d’Europa crede infatti nel canone letterario. In nessun momento del saggio ha la minima esitazione ed in modo coerente la sua poesia è una applicazione dirompente rispetto ai temi, ma interna al canone. I versi sono  formati sull’alessandrino nelle prime quattro sillogi pubblicate (dopo due plaquette d’esordio) e  procedono con quartine a rima alternata con poche eccezioni delineate soprattutto in Configurazione dell’ultima riva del 2013.

Il senso della lotta

L’itinerario oggi attingibile, visto che le prime plaquette non sono state più ristampate, inizia nel 1996:

Le jour monte et grandit, retombe sur la ville
Nous avons traversé la nuit sans délivrance
J’entendu les autobus et la rumeur subtile
Des échanges sociaux. J’accède à la présence.

Aujourd’hui aura lieu. La surface invisible
Délimitant dans l’air nos êtres de souffrence
Se forme et se durcit à une vitesse terrible;
Le corps, le corps pourtant, et une appartenance.

Nous avons traversé fatigues et désirs
San retrouver le goût des rêves de l’enfance
Il n’y a plus grand-chose au fond de nos sourires,
Nous sommes prisonniers de notre transparence.

(Sale il giorno e cresce, ricade sulla città/Abbiamo attraversato la notte senza consolazioni/ Sento gli autobus e il sottile mormorio/ Degli scambi sociali. Accedo alla presenza.// Oggi avrà luogo. La superficie invisibile/ Che circoscrive nell’aria i nostri esseri di sofferenza/ Si forma e tempra spaventosamente rapida;/ Il corpo, il corpo tuttavia, appartiene.// Abbiamo attraversato stanchezza e desideri/Senza trovare il gusto dei sogni infantili/Non resta molto in fondo ai nostri sorrisi,/ Prigionieri della nostra trasparenza.)

Linguaggio e innovazione

Michel Houellebecq è nato nel 1956 nel dipartimento francese d’oltremare, della Réunion e fino ai sei anni è vissuto in Algeria. All’anagrafe è Michel Thomas. Dopo gli studi alla Facoltà di Agraria ha preso il cognome dei nonni per firmare i suoi libri F.to 2018

Lessico prosaico e registro medio, parlato insomma,  accompagnano un mondo pronunciato con la rotondità della strofa rimata che pressoché nessun poeta ha utilizzato in Francia nell’ultimo mezzo secolo. Una scelta annunciata in Rester vivant: «Non sentitevi obbligati a inventare una forma nuova. Le forme nuove sono rare. Una per secolo è già molto. E non sono necessariamente i più grandi poeti a farle nascere. La poesia non è un lavoro sul linguaggio; non essenzialmente. Le parole sussistono sotto la responsabilità della società nel suo insieme». Houellebecq non vuole scrivere un saggio colto. Non fa quindi riferimenti alle mutazioni del canone, alle sollecitazioni  di fine secolo segnate prima dallo sperimentalismo e poi all’ampliamento del canone avvenuto tra consensi più o meno taciti. Ma è  ovviamente a questo contesto che si riferisce quando scrive nelle stesse pagine del capitolo (Articuler):

«La maggior parte delle forme nuove non si creano da zero, ma per lenta mutazione a partire da una forma anteriore. Lo strumento si adatta, poco a poco subisce leggere modificazioni; la novità che risulta dal loro effetto congiunto non comparirà che alla fine, quando l’opera è scritta. E’ del tutto paragonabile all’evoluzione animale.»

La ricerca

E’ una sequenza di considerazioni, quella qui sopra accennata, che l’intertestualità della storia letteraria ha mostrato positivamente. Può stupire che lo scrittore eversivo, quale Houellebecq appare nell’immaginario dei suoi lettori, voglia ribadirne la consistenza. Ma la maggior parte dei lettori (in Francia come in Italia) aveva nel frattempo assorbito il mito dell’artista ribelle che stravolge il dettato normativamente accettato, che si delinea in sostanza come  un nuovo alter ego di Arthur Rimbaud. La fortuna del lemma, ricerca, applicato all’arte e alla letteratura sperimentale e ricorrente in ogni contesto letterario e artistico, rappresenta il segno più tangibile di questa “nouvelle vague” che ha indotto molti autori ad una sorta di eloquente sterilità. Vent’anni dopo la fine del XX secolo si può ben dire che quasi nulla di quanto prodotto con gli abiti della sperimentazione resta vivo.  Per contro la riduzione del canone ha ampliato l’orizzonte del verso, consentito l’emergere di nuovi profili.

Virtù della contraddizione

L’equivalenza stile-personalità è un altro cruccio degli autori. «Riguardo alla forma non esitate mai a contraddirvi – scrive Houellebecq assumendo implicitamente questo fantasma culturale – . Sdoppiate, cambiate direzione tutte le volte che è necessario. Non sforzatevi eccessivamente di avere una personalità coerente, questa personalità esiste, che voi lo vogliate oppure no.» E quasi come in un manuale, appunta: «Se non scrivete più questo può essere il preludio di un mutamento della forma, o un mutamento del tema. O di entrambi. Oppure può essere effettivamente il preludio della morte della creatività. Ma voi non ne sapete niente.» Del resto è ormai da oltre un secolo che la poesia, diversamente dalla narrativa, è sottratta tanto al gusto della classe dominante quanto al mercato. Ragione per la quale l’impulso creativo individuale ha acquisito credito crescente avendo come unico termine di confronto l’ambiente di sodali che identifica ugualmente quello della critica.

Pessoa e la sopravvivenza

Meglio saper invecchiare. Michel Houellebecq (qui a fianco in un mosaico di Clément Mitéran) non aderisce neppure al mito dell’arte rimbaldiana, ovvero l’equivalenza tra creatività ed energia giovanile. Chi diventa vecchio – annota lo scrittore – produce di più e poi «la vecchiaia è sede di processi fisici e mentali particolari, che sarebbe un peccato ignorare.» L’esistenza del poeta è però oggettivamente difficile. Si può usare la strategia di Pessoa: trovare un piccolo lavoro, non pubblicare niente, aspettare la morte. Intanto «i meccanismi di solidarietà sociale (cassa disoccupazione ecc. ) devono essere utilizzati appieno, così come il sostegno finanziario di amici più agiati. Non sviluppate sensi di colpa eccessivi a questo riguardo. Il poeta è un parassita sacro.» Inutile battersi. Ma il consiglio è di «pubblicare un po’. E’ la condizione necessaria perché il riconoscimento postumo abbia luogo.» Houellebecq – confidando almeno in questo sulla continuità della cultura letteraria nello sfacelo intravisto – spera nell’archeologia letteraria, quando pure questa ha luogo per disseppellire i tesori del tempo trascorso.

«Non abbiate paura della felicità. Non esiste»

Il consiglio di non temere la felicità detto col sorriso sulle labbra, riprende senza capovolgere l’ennesima mitologia dell’arte scaturita dal dolore. E’ pacifico per l’autore che il dolore sia costante banco di confronto. Dunque non è temibile neppure la conoscenza perché «tutto quello che non procede direttamente dall’emozione  è, in poesia, di nessun valore.» L’unica chiosa nel merito serve per chiarire  che le emozioni non sono quelle dei romantici inerenti il sublime (suppone quindi il lettore), ma «émotion au sens large». Con la semplicità che contraddistingue le sue narrazioni, lo scrittore di La carta e il territorio e Serotonina (1) spiega in poche frasi le poetiche post simboliste in un semplice dato di fatto: «L’emozione abolisce la catena causale; è la sola capace di far percepire le cose in sé». La lirica deve scoprire il reale attraverso strade puramente intuitive, senza passare dal filtro di una ricostruzione intellettuale del mondo. La sorpresa che ci consegna Houellebecq è ancora inerente il canone occidentale quando afferma poco dopo: «Credete all’identità tra il Vero, il Bello e il Bene». Un concetto che da Platone approda a Schelling e ad Haiddegger.

Mettere il dito nella piaga

“Sono passato per il Pentothal,

Ho bevuto Tequila Sunrise

La mia vita è un flop total

I know the moonlight paradise

da “Mémoires d’un bite” in Configurazione dell’ultima riva

E’ indubbio che il canone estetico, sia pure in tutte le sue variazioni, in tutti gli aggiornamenti ed estensioni novecenteschi, abbia oggi come nemico la cultura diffusa, cioè quel codice non scritto che si articola sul valore della mercificazione e del successo. Houellebecq  assume alcuni temi della globalizzazione nei suoi romanzi così come in alcuni testi di poesia, ma qui si limita ad osservare gli effetti pratici di questa condizione, con l’aria di porvi mente nel suo stesso lavoro contro il grande Moloch. «La società in cui vivi – scrive – ha lo scopo di distruggerti. Tu ne hai altrettanti al suo servizio. L’arma che impiegherà è l’indifferenza. Tu non puoi permetterti di adottare la stessa disposizione. Passa all’attacco». La formula che segue è una approssimazione  dei motivi che caratterizzano la sua narrativa: «Approfondisci i soggetti di cui nessuno vuol sentire parlare. Il contrario del decoro. Insisti sulla malattia, l’agonia, la bruttezza. Parla della morte e dell’oblio. Della gelosia, dell’indifferenza, della frustrazione, dell’assenza d’amore. Sii abietto, sarai vero».

La Verità

Per lo scrittore francese – forse il meno amato in patria e il più seguito all’estero – non vale la pena di proporre una tesi, la missione è «il Vero», il mezzo quello di  separare sempre il Bene dal Male: «La poesia è capace di stabilire verità morali definitive» benché la verità sia scandalosa. Una visione onesta e ingenua del mondo è già «un chef d’oeuvre.» E’ questo lo scorcio etico da cui riemerge la figura romantica di Prometeo anche per Michel Houellebecq. Gli ultimi paragrafi di Rester vivant, lo agitano con energia: verità e mondo sono due cose diverse, non si possono amare entrambe ma chi fa professione di poesia ha già scelto e deve custodire il suo coraggio: «Non que vous ayez quoi que ce soit à ésperer. Au contraire, sachez que vous serez très seuls. La plupart des gens s’arrangent avec la vie, ou bien ils meurent. Vous êtes des suicidés vivants.» Tanto basta, nel mondo più omogeneizzato e narcisistico di sempre, per leggere con attenzione l’odiato Houellebecq. Lui, di certo, resta vivo.

Marco Conti © Riproduzione riservata; traduzioni di Marco Conti

(1) leggi: https://lemuseinquiete.it/serotonina-houellebecq-e-linfelicita-del-xxi-secolo.

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