In “Scartafaccio” Lelio Scanavini osserva le derive dell’editoria industriale

La letteratura è un bene di servizio? E’ un divertimento e ha lo stesso statuto del serial televisivo? In fondo è proprio questo che temeva, ormai 29 anni fa, il critico Giulio Ferroni intervenendo in un dibattito sulle colonne del Corriere della Sera in merito agli orientamenti critici e alle pagine culturali. Si parlava di critica formale o sociologica e tra i vari interventi, Ferroni chiuse il cerchio sostenendo che la diatriba aveva poca presa in un tempo che «mette in forse la stessa presenza della letteratura nel mondo e nel sistema globale della comunicazione».
Prelevo questa citazione dalle pagine di Scartafaccio, Scritti randagi di Lelio Scanavini che, come osserva Sandro Montalto nella postfazione, costituisce una selezione di oltre sessant’anni di riflessioni e, al tempo stesso, è la memoria di un autore e del quadrimestrale Il Segnale fondato da Scanavini nel 1981. “Scartafaccio” raccoglie infatti alcuni momenti topici della critica e delle speculazioni che si sono avvicendate nel tempo proponendo scritti comparsi sulla rivista, interventi a convegni e risalendo fino ad alcune “schegge” letterarie ritrascritte dagli anni Sessanta.
La diatriba
L’intervento di Ferroni, condiviso peraltro da Cesare Segre, è cruciale perché chiama in causa il paesaggio culturale ( o se si preferisce la cultura antropologica) che dagli anni Novanta ad oggi continua a informare pubblicazioni, editoria e necessariamente il mondo rarefatto della poesia e della narrativa autoriale più alta. Scanavini riportò sulla rivista Il Segnale gli aspetti sostanziali di quella crisi trascorrendo dal parere di critici e storici a quello di Alberto Vitale, all’epoca direttore della Random House, vale a dire «la massima casa editrice del mondo.» Così prosegue Scanavini: «Intervistato a Francoforte durante la Buchmnesse da P. Di Stefano (v. Corsera del 0.10.93), ha detto: “Se non ci fosse il best seller, tutte le case editrici andrebbero in bancarotta. Quindi se guardiamo solo alla letteratura pura si chiude bottega. Agli editori la scelta”, aggiungendo che uno dei primi imperativi odierni dell’editoria industriale è quello di tagliare la produzione, puntando solo sui titoli sicuri (i best seller), “e se i libri a cui rinunciare (commentava Di Stefano) saranno la ‘letteratura pura’, come la chiama Vitale? Pazienza, l’editoria è industria e lo scopo dell’industria è vendere”».
Poesia e letteratura pura
Il direttore del “Segnale” chiarisce: «Che cosa Vitale intenda per “letteratura pura” è facile indovinarlo: la poesia innanzitutto e poi quella prosa narrativa che, oltre al puro e semplice intreccio (che ci guardiamo bene dal disprezzare a priori), persegue una qualsivoglia identità stilistica, una ricerca o un’adeguazione formale sia pur minima.»
Scanavini si chiede come possa una disciplina tanto selettiva convivere con le leggi del mercato, là dove l’espansione cerca idealmente d’essere illimitata. Certo in Italia c’è una tradizione umanistico-accademica, c’è l’impronta di alcuni vecchi editori, ci sono nelle case editrici dei letterati. «Circostanze favorevoli » che però stanno esaurendosi. La proposta conseguente è che «la Letteratura (con la lettera maiuscola) cominci ad abituarsi ad esistere fuori dalle case editrici industriali e fuori dal “sistema globale della comunicazione-spettacolo”; in altre parole a resistere, nel suo insieme, alla deriva che minaccia la sua vita e la vita del pianeta» scrive l’autore. Operazione che, per Scanavini, presuppone un ruolo importante della scuola.
Il XXI secolo
Quasi trent’anni dopo, queste osservazioni possono essere ripetute con pochissimi aggiustamenti inerenti proprio la poesia: sono nate decine di piccole case editrici che vivono di aiuti autoriali, mentre sul fronte dell’ editoria industriale si sono ridotte di numero le collane dedicate. Là dove perdurano (la “Bianca” di Einaudi o “Lo specchio” di Mondadori), continuano ad essere lasciate a se stesse, senza promozione di sorta, esattamente come negli anni Ottanta e Novanta. Viceversa (ma qui è il sottoscritto che riprende il filo e commenta, anziché l’autore di “Scartafaccio”) la narrativa appare ridotta ai minimi termini, ovvero al crisma della leggibilità di massa: una storia scritta in maniera più o meno anonima come un articolo di rivista, dove si ritaglia uno spazio speciale l’iperbole della giallistica (che complessivamente pare garantire l’investimento fatto), il tutto accompagnato da premi conferiti come promozione per l’autore e la sigla editoriale che lo pubblica, anziché come esiti. Queste le stelle polari. L’ enunciato di Vitale continua dunque a contrassegnare il cammino…Per quanto…Chi si occupa di storia del libro e del romanzo avrebbe da ridire. Nell’Ottocento e nel primo Novecento gli editori europei non sono mai stati indifferenti al best seller, alle sirene della popolarità. Il punto è che il prodotto lordo non era ancora un’ossessione e, così come sosteneva Livio Garzanti, i titoli pessimi ma vendibili servivano a pagare le spese anche di quelli che avrebbero fatto la Letteratura con la maiuscola.
Montale, il pubblico e l’opera d’arte

Non a caso in uno scritto del 2003 Lelio Scanavini affronta con il titolo “L’eclissi della bellezza” un tema correlativo a quello della letteratura di alto profilo. Il saggio risale il tempo fino all’affondo di Tristan Tzara nei confronti della bellezza per riemergere nell’attualità delle arti visive, dove l’aleatorietà è totale ma il concetto di bellezza risulta archiviato. In questo contesto la qualità dell’opera di fronte al pubblico richiama in Scanavini le parole di Eugenio Montale (23.11. 1963) che sembrano mostrare come la seconda metà del Novecento abbia strutturato l’ascesa della mediocrità. Ecco la citazione: «Il vitalissimo problema di avvincere il pubblico è quello di vendere sempre più e sempre meglio la merce culturale servendosi dei mezzi di suggestione diretti o indiretti scoperti dalla tecnica moderna. (…) L’opinione o l’opera d’arte ridotta a merce non può essere buona perché è ricevuta e non richiesta, è trovata per mero accidente e non nasce da intuizione personale». Il percorso di Scanavini dà conto della storia recente: da Carmagnola a Gadamer, da Emanuele Severino a Giuliano Mesa alla reattività di Stefano Zecchi che, come Harold Bloom rispetto al canone, riporta al centro del dibattito il concetto classico di bellezza.
La critica letteraria

A mostrare come i concetti mutuati dalla leadership economica liberista siano radicati, può giungere in soccorso la nota che Scanavini riporta su “Il Segnale” n. 87 del 2010. Trascorsi 17 anni, l’autore di “Scartafaccio” constata come i lettori di poesia rimangano sempre pochi e del resto, già negli anni Sessanta osservava con stupore che molti docenti di lettere non leggevano poesia contemporanea, ovvero la materia su cui si fonda la letteratura italiana…Ma non è tutto. La stessa critica letteraria sembra non aver fatto un passo oltre quella discussione sul Corriere della Sera. Scanavini riflette sull’inciso di Alfonso Berardinelli: «La democrazia letteraria di massa, potenziata dall’uso del computer, vanifica l’autorità della critica e crea una letteratura senza forma e confini, che nel suo insieme si sottrae a ogni definizione. Smettiamo perciò di processare i critici e di stilare piccoli canoni. Legga chi vuole quello che vuole. Un’altra epoca si chiude: l’epoca dei giudizi». Il che è già realtà, parrebbe di capire dalla tendenza delle pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali dove domina la promozione dell’industria editoriale anziché il giudizio sull’opera.
«La critica sia equanime»
Ma Lelio Scanavini insiste, in una pagina recente chiede agli editori di essere più severi e selettivi e ai critici «di leggere con la medesima attenzione e disponibilità i libri dello Specchio come quelli del più periferico-micro-editore e che mantengano nei limiti della decenza i conflitti di interesse e le obbedienze al sistema». E’ in fondo questo che ci si aspetta dalla critica militante, da chi alla letteratura dà senza pretendere nulla in cambio.
Marco Conti
Lelio Scanavini, Scartafaccio. Scritti randagi, postfazione di Sandro Montalto, pp. 232, Joker, 2021; euro: 20,00