La fuga, lo straniamento a cui il personaggio va incontro allontanandosi dalle consuetudini, è uno dei temi che fondano la narrativa di Georges Simenon. Attraverso questo snodo narrativo Simenon racconta sia l’evasione, sia il trauma e la trasformazione del personaggio. Accade anche in Il dottor Bergelon proposto ora nella traduzione per Adelphi di Laura Frausin Guarino che riprende il più netto originale, “Bergelon”, del 1939. In questo caso è un evento inatteso a sradicare la vita quotidiana del protagonista, medico condotto in una cittadina di provincia sulle rive della Loira. Bergelon ha appena fatto amicizia con il chirurgo proprietario di una lussuosa clinica e gli ha procurato il primo cliente, la moglie di un impiegato che, per la nascita del suo primo figlio, vuole il miglior trattamento possibile. Ma accade l’imprevisto. La donna deve essere operata, il chirurgo lascia la sua casa di notte quasi sbronzo insieme al dottor Bergelon e consorte. In una manciata di minuti la sorte si accanisce, il bambino e la donna muoiono. Ora bisognerà tacitare la coscienza. Soprattutto nel momento in cui il marito della vittima, Cosson, intuisce che qualcosa gli è stato nascosto e inizia a perseguitare il medico. Non il proprietario e chirurgo intervenuto ma proprio il modesto Bergelon, suo pari, quasi suo confidente. Con la consueta essenzialità, Simenon scrive l’incontro del giorno dopo: «Cosson ha le palpebre orlate di rosso, la cravatta allentata. Fuma una sigaretta che tiene con le dita macchiate di nicotina. Batte sul vetro, perché l’autista non si è fermato in tempo. Guarda Bergelon. Bergelon volta la testa dall’altra parte. Perché leggere un’accusa negli occhi del suo compagno? Non è proprio lui, invece, che sta facendo nascere quel dubbio, quel sospetto?»
La svolta
Nel mondo di Bergelon l’inquietudine si fa strada con lentezza. I rapporti con la moglie, timorosa d’ogni passo, e i due figli piccoli, appaiono sempre più aleatori. Cosson invece si fa minaccioso e infine recapita al medico una minaccia di morte. Ma Bergelon non lo teme, anzi circoscrive con curiosità intellettuale i suoi fastidi: osserva Cosson abbandonare il suo lavoro con una scusante, visita la prostituta con il quale l’uomo trascorre intere giornate, parla ad entrambi. Si fa notare nel quartiere con la donna che, del resto, già conosceva a causa delle visite periodiche che svolgeva nel suo ambulatorio per le passeggiatrici…E infine non bada a nient’altro che al suo crescente spaesamento. Si direbbe anzi che il dottor Bergelon non aspettasse che uno scossone capace di sradicare la sua vita. Così con la scusa delle minacce anticipa la villeggiatura al mare, incontra una donna e, quando è raggiunto dalla moglie, sale su un treno. Destinazione: Le Havre, Anversa, Parigi. La fuga è però tale solo rispetto alla sua vita perché il medico avrà cura di far recapitare il nuovo indirizzo al minaccioso Cosson perché lo raggiunga e biglietti evasivi e rassicuranti alla moglie. Ad Anversa un vecchio compagno di scuola incontrato per caso lo invita a imbarcarsi con lui su un mercantile. Ma le cose prendono un’altra strada.
Rispecchiamento
Per quanto possa apparire paradossale, il medico in fuga si rispecchia in Cosson. Entrambi non vogliono conciliarsi con le loro vite. Ma non è un passato ingombrante a renderli più fragili. Bergelon vorrebbe rinunciare alla sua tranquillità priva di passioni; Cosson non accetta di pari passo il suo destino.
Le fughe nella narrativa di Simenon sono ugualmente speculari: in Bergelon come in La fuga del signor Monde i protagonisti agiscono in cerca di scrollarsi di dosso la vecchia identità; ma in altre opere come Il signor Cardinaud (vedi la recensione su questo sito) e nel magistrale Il piccolo libraio di Archangelsk , la prospettiva del narratore è rovesciata perché sono i protagonisti di entrambi questi romanzi a subire la fuga della consorte e a doversi confrontare con un mondo privo di senso e soprattutto con l’immagine di sé riflessa negli occhi degli altri. Figure speculari che in realtà nascondono i pensieri esclusi e censurati della propria intimità, del sé segreto del personaggio. Mai tuttavia la censura sulla propria vita e il corrispettivo desiderio di altrove, di un’esistenza percepibile come una fuga a capofitto dentro il caos è stata presente come in L’uomo che guardava passare i treni. Antisegnano e forse capostipite delle fughe, il romanzo venne pubblicato nel 1938. Come in un testo lirico, l’immagine del commerciante Kees Popinga, che Simenon pone nelle prime pagine del libro, sintetizza il paradigma: nell’oscurità l’uomo ha l’abitudine di osservare il passaggio di un treno, una visione che lo emoziona «un treno della notte soprattutto, dalle tendine calate sul mistero dei viaggiatori.» Anche Bergelon potrebbe, in fondo, dire lo stesso.
Marco Conti
Georges Simenon, Il dottor Bergelon, pp. 195, Adelphi, 2022. Euro 18,00

Non uno dei suoi migliori romanzi.
La fuga del protagonista sembra troppo forzata quasi un modo per allungare la trama e il personaggio di Cosson non convince. Meglio i personaggi sullo sfondo e il consueto preciso affresco della provincia francese.