Montale e l’Antipapa

Eugenio Montale

Avevamo studiato per l’aldilà

un fischio, un segno di riconoscimento.

Mi provo a modularlo nella speranza

che tutti siamo già morti senza saperlo.

L’ironia di Eugenio Montale procede qui in quattro versi come un epigramma. Poche pagine prima il lettore incontra un incipit –tra quelli divenuti via via più famosi:

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Satura

Tanto basti. Nel 1971 Montale sorprende per la seconda volta il mondo letterario. C’erano state le novità de La Bufera e altro ma quest’ultimo registro della raccolta Satura, questa voce ironica che perlustra l’esistenza e la storia contemporanea,  che oscilla ugualmente energica tra l’aldilà e la prosa del quotidiano, non  se lo aspettava nessuno. Viceversa, insieme a Ossi di Seppia, è oggi la sua raccolta più letta e citata. Soprattutto citata. La contemporaneità vi  si riconosce forse nel verso che sposa il linguaggio corrente, sia nelle antitesi tra “alto” e “basso”, sia nel ritmo più disteso e in qualche caso vicino all’epigramma. Del resto il titolo richiama esattamente quel testo latino omonimo che si occupa del quotidiano applicandovi una sentenza morale. E’ quello che accade anche in alcune poesie di Satura, comprese quelle che Montale escluse dalla raccolta e che confluirono poi nell’edizione Altri versi del 1980 (Mondadori).

La raccolta ‘Satura’, Mondadori, 1971

L’epigramma

Tra queste ultime liriche sorprende un epigramma inerente la cronaca del tempo. Chi oggi lo legge senza una nota non saprebbe immaginare quale sia il riferimento, il fatto, la circostanza citata, ma intanto, proprio in questi cinque versi, si fa strada con esattezza il timbro della “satura”, la sua voce colloquiale e – per chi ha voglia di osservarlo – uno schema rimico insolito:

Distribuendo urbi et orbi la sua benedizione

l’antipapa è comparso a Biella

con vari dignitari e un cardinale.

come primizia della

meno insoddisfacente contestazione.

Rispunta implicitamente la convinzione dell’autore che la storia sia un « marché au puce» in cui entrano il necessario e l’occasionale. Ma la cronaca viene in aiuto al lettore perché proprio nel gennaio 1969, quando Montale scrisse questa poesia, un “antipapa” fece la sua comparsa sulle montagne prealpine, esattamente a Serravalle Sesia, non distante da Biella. I giornali riportarono la notizia ed è probabile che lo stesso Montale abbia avuto modo di leggerla sfogliando le pagine del Corriere della Sera, quotidiano in cui aveva lavorato e al quale collaborava.

L’antipapa e il suo segreto

 L’antipapa in questione si chiamava Clemente XV (al secolo Michel Collin) che venne ospitato con tutti gli onori dal parroco della frazioncina di Vintebbio, Rino Ferraro. Quest’ultimo non perse l’occasione di organizzare una processione lungo le vie del paese con annessa la benedizione citata dal poeta…Una passeggiata che costò poi al sacerdote la sospensione a divinis. L’antipapa Clemente, a quanto pare, fu vittima non meno dei suoi sostenitori del “Terzo segreto di Fatima”, un tormentone secondo il quale La Vergine recitò tre segreti, l’ultimo dei quali riferiva che Papa Paolo VI aveva usurpato il “trono”. A voler credere alla biografia di Michel Collin, il sacerdote francese durante una visita a Sorrento ebbe una visione nella  quale Dio gli rivelò d’essere l’ultimo Papa dei tempi.

Ma a noi interessa di più il sorriso di Montale che opta, obtorto collo, per la pur  «insoddisfacente contestazione».

Il manoscritto

Il testo montaliano originario è un dattiloscritto datato 28 gennaio 1969, barrato da un tratto di penna e conservato al Fondo dell’Università di Pavia accanto a due redazioni manoscritte. Una di queste stesure è dedicata a Cesare Segre e nel novembre 1985 è stata donata al Centro Manoscritti intitolato per l’appunto al critico italiano.

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