Gian Arturo Ferrari, ex direttore dei Libri Mondadori, si racconta narrando l’itinerario degli editori. I libri unici della Adelphi, le vicende di Mondadori e Berlusconi; i nuovi brand
Uno speciale contraltare di Einaudi, ma di altissima qualità, si definisce con la fondazione di Adelphi. Non per caso le fondamenta le costruisce Luciano Foà nel 1961, andandosene dalla Einaudi e portando con sé alcuni collaboratori come Giorgio Colli e Bobi Bazlen. Il capitale di partenza? Ci pensa il figlio di Adriano Olivetti, Roberto, con Alberto Zevi. Il primo passo è l’opera completa di Friedrich Nietzsche, al netto delle aggiunte dalla sorella del filosofo e con la competenza filologica di Giorgio Colli che restituisce l’opera in ben 22 tomi. Ma il banco di prova più importante sarà la “Biblioteca Adelphi”, «una collezione di libri letterari non categorizzabili in quanto deliberatamente “unici, precipitati di fantasia e di vissuto che solo nella forma libro si solidificano e cristallizzano», scrive Gian Arturo Ferrari.
E per fortuna non c’è modo di dargli torto. Dopo i primi exploit la Biblioteca si è arricchita di testi, narrativa e saggistica, di indubbia qualità: da Strindberg a Grossman e Kundera (L’insostenibile leggerezza dell’essere fu un caso letterario clamoroso), dall’acquisizione di Landolfi e Nabokov, alle opere di René Dumal, Marcel Granet, Emanuele Severino, a quelle riunite nella collana “Il ramo d’oro”.
Feltrinelli e gli strani casi del “Dottor Živago” e del “Gattopardo”
Pochi anni prima, nel 1955, erede di un capitale enorme (immobili, aziende in Austria, foreste, partecipazioni in società europee e statunitensi) Giangiacomo Feltrinelli mette insieme una squadra editoriale di tutto rispetto in cui spiccano i nomi di Valerio Riva, Luciano Bianciardi, Nanni Filippini, Mario Spagnol, Giampaolo Dossena. Con un imprenditore com’è Feltrinelli, di carattere ribelle, iniziano a pubblicare Bertrand Russel (Il flagello e la svastica) e si avviano sulla strada dell’anticonformismo: di sinistra ma senza cipiglio. Arriva così due anni dopo la fondazione l’occasione che ogni editore vorrebbe: un caso internazionale, diritti da vendere, qualità dell’opera e – in più –in perfetta sintonia con il proprio temperamento: Boris Pasternak con il manoscritto inedito (e uscito dall’Unione sovietica di straforo) del Dottor Živago; sarà in libreria con 12 mila copie, poi ne venderà centinaia di migliaia e milioni nel mondo. Il Pci, perde l’occasione di stare zitto. Ferrari ricorda infatti che Rossana Rossanda scrive ad Alicata dicendo che i giornali appena l’hanno recensito e che finirà nel dimenticatoio. E invece…Ecco Collins e Gallimard che scalpitano per averlo, ecco New York con le vetrine inondate dal libro di Pasternak a cui sarà a breve assegnato il Nobel. Ma non è tutto. Feltrinelli fa il “pieno” con un altro libro maltrattato: Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Lo hanno rifiutato tutti, Einaudi e Mondadori compresi, che in questo caso contano, entrambi, sul giudizio di Vittorini. A voler incaponirsi sul nuovo, sia pure letterariamente inteso, si può far danni. E di fatto a dire sì al libro del principe siciliano sarà Bassani, una delle “Liale” arringate dal Gruppo ’63.
Letteratura versus capitale
C’è da chiedersi, viaggiando con questo straordinario libro di Ferrari, se questi ultimi trent’anni di editoria omogeneizzata dai diktat del profitto, avrebbero consentito non la pubblicazione di un testo composto come Il Gattopardo, ma quelli di Pasolini e Gadda. Livio Garzanti negli anni del boom economico affida alla collana divulgativa “Saper tutto” il compito di far cassa ma pubblica su consiglio del poeta Attilio Bertolucci il romanzo Ragazzi di vita, una narrazione in una lingua gergale, frammentaria, in cui si parla di prostituzione maschile. Non contento l’editore dà la caccia a uno dei grandi del Novecento italiano, restio a mandare in vetrina le sue opere e di ardua lettura per i canoni ordinari: Carlo Emilio Gadda con Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Più avanti è la volta di Fenoglio (portato via da Einaudi) e del giovanissimo Goffredo Parise.
Certo la questione del denaro non è ininfluente. L’autore e direttore della Mondadori lo sottolinea come meglio non potrebbe. Parlando delle sorti di Einaudi, scrive: «Il tallone d’Achille dell’Einaudi – sempre stato e sempre sarà – sono i soldi. Quelli che servirebbero, quelli che non ci sono. La casa editrice, per dirla in gergo tecnico, è cronicamente sottocapitalizzata. In parole povere non ha i denari sufficienti per sostenere, cioè finanziare, il grandioso programma in cui vuole impegnarsi.» Einaudi non cerca dei soci per non essere condizionato, ricorre ai prestiti e più tardi inventa la rateizzazione che – ancora oggi – è operativa con le varie agenzie Einaudi: dà al lettore la possibilità di acquisire molti libri con un piccolo esborso mensile. Ma i denari tornano lentamente. Da qui nasce anche l’esigenza di “affittare” il proprio catalogo. Il che accade con la cessione alla Mondadori, nel 1957, del catalogo in edizioni economiche e per dieci anni. Gli Oscar Mondadori si avvantaggiano di titoli e autori di qualità e la casa editrice torinese può nuovamente respirare, così come accade con la cessione del catalogo scientifico diventato patrimonio della Bollati Boringhieri. Va detto peraltro sul fronte degli “economici” che il primo editore a creare una collana di grande tenuta fu Rizzoli su consiglio del suo direttore, Rusca: la Bur, fatta di classici della letteratura di ogni tempo e paese, si affacciò nelle librerie al costo di cento-duecento lire offrendo per ogni titolo una introduzione critica e traduzioni non raffazzonate.
Le cose cambiano. Einaudi in difficoltà; Rizzoli e “la P2”
Il primo sentore di concentrazioni pericolose nasce negli anni Ottanta. Mentre Einaudi cerca, senza riuscirci, di sopravvivere editando una serie impressionante di grandi opere: la Storia d’Italia, la Storia della letteratura italiana, la Storia d’Europa, I Greci, La Storia di Roma, e infine L’Enciclopedia Einaudi, Rizzoli (siamo nel 1981) corre incontro alla catastrofe. Nel ’74 ha acquistato Il Corriere della Sera e sette anni dopo esplode il caso della Loggia massonica P2 a cui Angelone Rizzoli risulta affiliato con il suo factotum Bruno Tassan Din. L’amministrazione controllata mette una seria ipoteca sugli affari poiché anche gli autori non possono essere pagati. L’agente letterario Eric Linder – sottolinea Ferrari – finisce per trasferire tutti i “suoi” scrittori alla Mondadori: con Enzo Biagi anche John Le Carré, cioè due miniere. Ma i problemi investiranno ugualmente Segrate sotto un altro profilo: la Mondadori ha fondato nel 1982 il canale televisivo Rete 4 e la programmazione assorbe una parte gigantesca del fatturato. «Viene in soccorso Enrico Cuccia – spiega l’ex direttore di Mondadori – che per evitare il fallimento costruisce una delle sue classiche scatole cinesi. Rete 4 viene ceduta a Berlusconi e la maggioranza della Mondadori, il 51 per cento, diventa una finanziaria la cui maggioranza, a sua volta il 51 per cento, resta in mano alla famiglia che in pratica con il 25 per cento mantiene il controllo dell’azienda.»
Ma qui già si può osservare l’anomalia italiana del connubio tra editoria libraria e mediatica, aggravato dalle vicende conflittuali che dagli anni Ottanta arriveranno alle soglie del nuovo secolo. L’autore di Storia confidenziale dell’editoria italiana recensisce i momenti importanti di questo percorso, ma la struttura del libro, a tappe alterne, tra vita vissuta, panorama editoriale ed episodi cruciali, non gli permette una interpretazione complessiva di queste vicende. Di certo non ha cronaca esaustiva il percorso degli anni Ottanta tra l’acquisizione di quote della CIR di De Benedetti (che porterà L’Espresso in Mondadori) e che vorrebbe ottenere la maggioranza della casa editrice milanese. Un progetto contrastato da Silvio Berlusconi il quale è già socio di minoranza. Da qui, come è noto, nascerà un lungo contenzioso giudiziario. La scaturigine sarà la morte del presidente di Mondadori Luca Formenton, marito di Cristina Mondadori, nel 1987. I due rami della famiglia si dividono con i rispettivi figli e «scendono in campo i rispettivi alleati, Berlusconi per Leonardo da una parte e De Benedetti, il partito Formenton-Debenedetti, grazie a un colpo di mano (o di stato?), prevale» commenta Ferrari.
La coda del drago
La storia del più grande editore italiano non è però finita con il capitolo De Benedetti. Di fatto la famiglia Mondadori-Formenton, forse sconcertata dai modi impositivi del nuovo presidente incaricato, cioè Caracciolo, fa una giravolta e vende le sue quote a Berlusconi che così le somma a quelle acquisite da Leonardo Mondadori. Il seguito è guerra aperta nei tribunali. Il cosiddetto “Lodo Mondadori” si conclude momentaneamente solo nel gennaio 1991.
L’impero editoriale
Berlusconi diventa dunque il dominus di un impero mediatico con «tre reti televisive, il primo quotidiano italiano, un’infinità di altri giornali minori. i due principali news magazine. E non da ultimo una casa editrice di libri», chiosa Ferrari. E’ a questo punto che il presidente del Consiglio, Andreotti, perché organizzi la spartizione. I libri con la vecchia Mondadori resteranno a Berlusconi ma il tema si riproporrà nel 1993 con la celebre «discesa in campo» del leader politico, tanto più che l’anno dopo Berlusconi vincerà le elezioni. Il frangente comporta, nel mondo letterario, qualche netto diniego: Sandro Veronesi e Walter Veltroni lasceranno la Mondadori. Ma Ferrari aggiunge alla questione di merito sul ruolo del leader in ambito letterario che Berlusconi non esercita alcun controllo diretto (il che, invece, secondo la testimonianza dell’autore, accade con Agnelli nel gruppo Rcs, quando Ferrari dirigeva il settore). Ci sono invece i conoscenti di Berlusconi che chiedono talvolta di pubblicare con la sigla di Segrate ma in quei contesti il leader di Forza Italia non impone niente. Invece, quando il giornalista economico Marco Borsa scrive «un libro non tenero su Agnelli, De Benedetti, Romiti, Ferruzzi, Gardini, Pirelli, intitolato Capitani di sventura, con la significativa omissione di Berlusconi», il dominus dell’editoria si ritrova chiamato in causa perché a un’assemblea di Confindustria «Romiti lo ha aggredito per via del libro. Romiti, nel suo stile, pensa che l’autore non conti niente e il direttore editoriale meno di niente. Secondo lui è stato chiaramente Berlusconi a ordire e ordinare questo agguato. Berlusconi mi ingiunge di ritirare il libro, l’ha promesso a Romiti, Io gli dico che non possibile perché i librai sono legalmente i proprietari delle copie che hanno acquistato, Ripiega sul divieto, assoluto, di ristamparlo. Lo ristampiamo due, tre volte senza scriversi copra “seconda edizione”, “terza edizione”».
Einaudi è in vendita
Anche Einaudi finisce tra le braccia di Mondadori. L’editore torinese dopo anni di amministrazione controllata può risolversi solo con la vendita. I candidati sono Guido Accornero (fondatore del Salone del Libro), Luciano Mauri delle Messaggerie Italiane che distribuisce Einaudi e proprietario con Mario Spagnol del gruppo Longanesi e Giorgio Fantoni, editore insieme a Emilio Vitta Zelman, di Electa. Prevarrà nel 1989 quest’ultimo che costituirà una nuova società accordandosi con Mondadori. Si chiamerà infatti Elemond, fusione dei due marchi. Il contratto stabilisce che «di lì a cinque anni (dunque nel ’94) uno dei due soci – presumibilmente Electa – potrà cedere la propria metà all’altro – presumibilmente Mondadori, che sarà obbligato ad acquistarla. In pratica è una vendita a Mondadori rimandata di cinque anni».
Da questo nuovo accorpamento nasce anche un orientamento non più spiccatamente rivolto alla saggistica – aggiungo in margine al saggio di Ferrero – come era nella tradizione einaudiana, ma un percorso narrativo che ha due orientamenti: gli autori di qualità letteraria più intellettuale (De Lillo, Roth, Auster, Modiano, Marìas, per restare tra gli “stranieri” ) verranno pubblicati da Einaudi e nascerà la collana dei tascabili “Et”, secondo Ferrari il vero «pilastro economico della casa editrice». Resta però il fatto che, al di là del catalogo storico, la qualità einaudiana si è persa, né altrove nessuno ha la forza economica e la volontà per ritentare una analoga avventura di alto profilo e numero di titoli.
I libri della Fiat
«La curiosa situazione per cui la medesima proprietà, la Fiat in ultima analisi, agisce nei libri con due braccia separate – la Rcs da una parte e il gruppo Fabbri (oltre alla Fabbri, Bompiani, Sonzogno ed Etas dall’altra – viene sanata nel ’90 quando il gruppo Fabbri confluisce (è acquistato) in Rcs». Dunque Berlusconi non è il solo a estendersi in quegli anni con grinta nell’impero di carta. Ma nel 2016 Fiat Chrysler lascia il gruppo. La Rcs Libri sarà acquistata per intero da Mondadori, mentre i giornali, saranno acquisiti da Cairo Communication nello stesso anno.
Una mappa di sigle e concentrazioni
Se non la vetrina, dedicata ai best-seller e ai titoli più vendibili, gli scaffali delle librerie non sono forse mai stati così eterogenei in fatto di sigle editoriali. Almeno all’apparenza e al netto dei gruppi che invece racchiudono, come il guscio delle noci, gherigli di nomi. Gli editori che marciano in splendida solitudine sono pochi ma tra questi ci sono, per fortuna, alcune biblioteche di qualità: Adelphi innanzitutto, Sellerio, E/O, Neri Pozza, Nottetempo, Marcos y Marcos, Fazi, il Saggiatore, Cortina e naturalmente La nave di Teseo, nata dal dispetto dell’omogeneizzazione per iniziativa di Umberto Eco quando ancora (ma qui è Ferrari a parlare) l’antitrust non si era pronunciata sulla Mondadori. Dopo l’acquisto della Rizzoli Libri, l’antitrust chiese infatti l’alienazione di una parte delle case editrici. Bompiani, Marsilio furono così acquistate la prima da Giunti, la seconda da Feltrinelli.
A proposito di Feltrinelli, nel corso degli ultimi anni, l’editore ha proseguito la strategia legata alle librerie. Oggi rappresenta forse la prima catena di vendita nazionale. Ma nel 2005 dandosi la struttura di Gruppo con Carlo Feltrinelli ha acquisito non solo Marsilio ma Sonzogno, Gribaudo e in ultimo Crocetti, editore di poesia e fino a due anni fa dell’unica e forse più letta rivista di cultura poetica. Con il passaggio editoriale, la rivista è però cambiata: la cadenza è divenuta bimestrale, le recensioni sono scomparse, la grafica e l’edizione lussuosa ne hanno fatto un altro oggetto, prezioso ma meno ricco di contenuti. Nello stesso 2005 è nato anche il Gruppo Mauri Spagnol (Gems) «che comprende le case editrici pazientemente collezionate dagli anni Ottanta da Mario Spagnol e dunque, oltre a Longanesi, Guanda, Salani, Tea, Corbaccio, Ponte alle Grazie, Vallardi». Ma non solo. Del gruppo fanno parte Newton Compton e Chiarelettere, e soprattutto sia Garzanti che Bollati Boringhieri (dal 2009). Mondadori riunisce invece con il suo brand storico, quelli di Einaudi, De Agosti, Sperling & Kupfer e Fabbri Editori. Ma naturalmente conta sul catalogo storico Rizzoli.
Un’ ultima compagine che, forse per la più discreta presenza in vetrina, rischia di essere dimenticato è Giunti Editore Spa. Ferrari ricorda che dopo l’acquisizione di Bemporad (poi divenuta Marzocco), il gruppo contava sul sempreverde di Collodi, Pinocchio, «maggior successo italiano di tutti i tempi e a quanto si dice il secondo libro più venduto nel mondo dopo la Bibbia».
Della fine degli anni Cinquanta è l’acquisizione di Barbèra. Dal ’75 Sergio Giunti orienta l’attività verso l’editoria d’arte e i libri per bambini. Ma ha creato anche una catena di librerie e, come si è detto, ha ottenuto Bompiani (e De Vecchi) senza venir meno a una attività editoriale legata all’infanzia di cui il capitolo forse più rilevante e recente è l’accordo, nel 2014 con Disney Italia e Marvel per i prodotti cartacei e digitali. Il fatturato è straordinario, oggi pare essere, sotto questo aspetto, il secondo editore italiano.
Marco Conti
(2-fine)