
Lawrence Ferlinghetti è morto l’altro giorno a San Francisco all’età di 101 anni. Poeta, editore della beat generation, libraio, pittore, combattente durante lo sbarco in Normandia, poi figlio dei fiori e pacifista (partecipò al movimento Flower Power negli anni Sessanta), è stato molte altre cose e, proprio per questo – come un eroe dell’antica Grecia – appare oggi un paradigma, una voce delle motivazioni più importanti del nostro Novecento, forse le sole che possano essere salvate senza incertezze. Chi come me lo aveva letto all’inizio degli anni Settanta, subito dopo Henry Miller, Kerouac, Ginsberg e Gregory Corso, e ne aveva poi perso le tracce con le sorti letterarie della beat generation, si era stupito, quindici anni fa, di ritrovarlo casualmente nelle cronache italiane e poi in un reading-poetry nel Biellese, quando ormai le letture poetiche erano più vicine al rito mondano che a illuminare speranze. Ma anche in quelle circostanze l’aura se non il destino del dissidente è sembrata inseguire Lawrence Ferlinghetti – orfano di un padre originario della provincia di Brescia e di una mamma di origine ebraica internata in un ospedale psichiatrico.
Cronaca di un arresto

In cerca delle sue radici, nel 2005, Lawrence Ferlinghetti fu arrestato nel cuore della città vecchia di Brescia. Scattava fotografie, suonava i campanelli in via Cossere e, al numero 20, dov’era stata la casa dei suoi genitori. Barba lunga, abiti vistosi, venne scambiato dai residenti per un clandestino, portato in commissariato e rilasciato appena chiarito l’equivoco. Ma a chi mai poteva capitare un fastidio come questo? E per contro, nel Biellese, ospite della vecchia elegante dimora di Villa Cernigliaro, che fu luogo di oppositori del regime durante e dopo il fascismo (tra di loro Franco Antonicelli, Primo Levi, Cesare Pavese, Giulio Einaudi, Benedetto Croce), chi mai poteva interpretare nuovamente le ambizioni di Fluxus, l’incontro tra arte, happening e istanza politica, se non l’editore di Howl di Allen Ginsberg?
Editore di Allen Ginsberg
Ferlinghetti aveva ascoltato Ginsberg recitarne dei versi nella sua libreria, la City Lights Bookstore di San Francisco, e aveva chiesto di poterlo pubblicare. Pochi mesi dopo aver editato il testo, Ferlinghetti si trovò imputato di oscenità insieme all’autore e volle sostenere il processo difendendosi da solo. Il tribunale assolse Urlo dall’accusa ma non fu la sola battaglia intrapresa in anni che – nel bene come nel male – riconoscevano quantomeno l’importanza all’espressione letteraria. Probabilmente niente avrebbe fatto arrabbiare Ferlinghetti come l’odierna concezione mercantile e liberista, che oggi serpeggia in ogni angolo dell’Occidente, ovvero quella dell’arte e della letteratura intesa come intrattenimento, con tutte le derive conseguenti e variabili tra la promessa e la minaccia.
La poesia e la beat generation

Uno sguardo complessivo alla sua opera poetica dice subito che Lawrence Ferlinghetti (qui a fianco e sotto due suoi dipinti) non è mai stato un nome che possa essere assorbito completamente all’interno della beat generation. La critica di ieri e di oggi ne ha sempre rilevato correttamente il verso colloquiale, la disposizione all’oralità e all’immediatezza che furono anche di Ginsberg, di Corso e di molti altri autori degli anni Cinquanta e Sessanta. Tratti ugualmente risalenti, in misura diversa, alla poetica di William Carlos Williams e, appena si voglia prestare attenzione non solamente al timbro della poesia, ma anche ai temi, si avrà una pari attenzione al mondo quotidiano che fu di T.S. Eliot, poeta molto amato da Ferlinghetti. Per disegnare il profilo dell’autore si dovrà allora andare oltre questo dato per ritrovare accanto a certe motivazioni politiche, e all’ironia che fa il verso a Whitman, i temi dei luoghi, dei viaggi, degli incontri.
Soprattutto i luoghi e la visualità condivisa con alcuni pittori amati sembrano essere il filo conduttore dei suoi libri di poesia…A iniziare dalla sua prima raccolta Quadri del mondo scomparso del 1955.
Via su un porticciolo… Via su un porticciolo di case non calafatate tra i vecchi nobili comignoli di un tetto attrezzato con i fili del bucato una donna rappezza vele contro vento stendendo i suoi lenzuoli del mattino (1)
I luoghi, i viaggi
L’Italia, Parigi, la Provenza, Nizza, sono le circostanze della biografia e altrettante visioni: «A Parigi un lungo inverno buio/ quando il sole brillava in Provenza/ quando m’imbattei nella poesia/ di René Char/ Vidi ancora la Vaucluse/ in un’estate di cavallette/ le fontane colme di petali/ e il suo fiume abbandonato (…)». Nel 1958 con Un luna park della mente un’opera di Goya rappresenta il motivo principale del testo: «Nelle più belle scene di Goya crediamo di vedere/ la gente del mondo/proprio nell’istante in cui/ottennero per la prima volta il titolo di/”umanità sofferente”».
Ma andrà subito detto che tra gli esiti più intesi e personali di questa lirica si staglia un’espressività visuale e netta (opposta alla visionarietà caotica di molti compagni di strada) che ricorda lontanamente certi tratti del migliore Prévert, poeta del resto tradotto, insieme a Pier Paolo Pasolini, dall’autore.
L’occhio del poeta guarda in modo indecente e vede la superficie del mondo rotondo con i suoi tetti ubriachi e oiseaux di legno sui fili del bucato e i suoi maschi e le sue femmine d’argilla con gambe bollenti e seni a bocciolo (2)

I luoghi dell’infanzia: Nei boschi scorrono molti fiumi, Il negozio di dolciumi dietro l’Elevata, Autobiografia, condividono la stessa disposizione. Del resto A Coney Island of the mind è forse il libro più intenso di Ferlinghetti. A distanza di tanto tempo se ne coglie la visionarietà, la leggerezza, la radice legata alla ricerca di identità ripercorrendo con l’immaginazione il vissuto:
Venuto a galla
il cuore sussulta
boccheggiando “Amore”
uno sciocco pesce che tenta di tirare
il respiro dalla linfa del cielo
E nessuno là a udire la sua morte
tra le tristi boscaglie
dove il mondo passa in fretta
in una chiacchiera vana d’asfalto e di ritardi (3)
“Questi sono i miei fiumi”
La visualità del verso, non meno dell’inarcamento (cioè l’enjambement) partecipano fin dall’inizio dell’opera al ritmo e alla dizione. Ferlinghetti avrebbe voluto un ritorno alle fonti più antiche del verso, un’oralità che comporta la partecipazione attraverso la voce. Ammirava tra gli altri la pronuncia di Giuseppe Ungaretti, una pronuncia vibrata ma sommessa, distante da quelle tradizionali dei reading. La sua antologia personale editata nel 1993 These Are My Rivers (4) riprende nel titolo e in epigrafe i versi di Ungaretti, I fiumi: «Ho ripassato/ le epoche della mia vita// Questi sono/i miei fiumi»…Immagine flagrante dei luoghi nel tempo, ma anche immagine di una vita che a balzi e fiotti ha corso e unito un secolo intero di passioni.
Marco Conti
1)”Via su un porticciolo”, trad. Lucia Cucciarelli, da “Poesie. Questi sono i miei fiumi. Antologia personale 1955/1993, a cura di Massimo Bacigalupo, Newton, 1996; 2) ibidem; 3) trad. Romano Giachetti e Bruno Marcer, da Lawrence Ferlinghetti, Poesie, a cura di Roberto Sanesi, Guanda, 1978; 4) These Are My Rivers: New & Selected Poems 1955-1993, New Directions, 1993.