
“Nessuno è perfetto”. Con questa battuta pronunciata da Osgood Fielding III (al secolo Joe E. Brown) si chiude il capolavoro di Billy Wilder “A qualcuno piace caldo”. Notoriamente l’interesse degli scrittori non è attirato dai capolavori, dalle opere perfette o dalle grandi vittorie. Proprio per questo, Jonathan Coe ha affermato che ad un capolavoro non c’è nulla da aggiungere, un capolavoro è completo. Di conseguenza, nel romanzo Io e Mr Wilder di Jonathan Coe in libreria per Feltrinelli dalla scorsa settimana, non aspettatevi di leggere il resoconto delle riprese del film perfetto.
L’ultimo romanzo dello scrittore britannico mostra al lettore la lavorazione di un altro film, “Fedora”, che rappresenta l’ultima tappa della parabola discendente del regista di origini austriache che fece sognare Hollywood. Quando era iniziata la discesa di Wilder? Il romanzo risponde, confermando qualcosa di noto, individuando in “La vita privata di Sherlock Holmes” il punto di non ritorno. Questo film, girato in Inghilterra e sottoposto a ingenti tagli da parte della produzione, è l’ossessione di Jonathan Coe, come ammette in Billy Wilder, diario di un’ossessione (in Disaccordi imperfetti, Feltrinelli, 2015). Nel 1975 Coe vede in televisione il film sul detective inglese più celebre al mondo e si lega indissolubilmente al lungometraggio e al regista, che diviene il suo preferito. Le tracce del film sono rilevabili anche in La casa del sonno (Feltrinelli, 1998) con sottili allusioni e riferimenti, ai quali la scrittura di Coe ha abituato i suoi lettori.
Io e Mr Wilder

In questa narrazione l’autore inglese non ricorre invece ad allusioni e riferimenti ma racconta la storia delle riprese del penultimo film della carriera del cineasta attraverso il ricordo di quei giorni alle fine degli anni Settanta. La storia del film, per il quale Wilder dovette cercare i finanziamenti in Europa, è inserita in una cornice contemporanea in cui la protagonista, Calista, accompagnando la figlia in aeroporto ripensa alla sua partenza da ventenne per una vacanza americana. In quel viaggio si ritrova casualmente a cena una sera con Billy Wilder, con Iz Diamonds e con le rispettive mogli. Al rientro dall’America viene assunta come interprete prima e assistente personale di Diamonds poi e segue la troupe durante le riprese del film, vivendo a stretto contatto dei due sceneggiatori e delle consorti. Nel corso delle cene e delle gite fuori porta il lettore scopre le difficoltà della messinscena di “Fedora”, incontra Al Pacino e Miklós Rózsa, viaggia tra la Grecia, Monaco e Parigi.
Il cerchio si rivela
“Il cerchio si rivela sempre più chiaramente, ma non si chiude mai del tutto” scrive Coe per i Cahiers du Cinema alla fine degli anni Novanta. In Io e Mr Wilder controluce si possono intravedere controluce i contorni del cerchio: il regista amato in un momento cruciale e nostalgico; il legame intriso di nostalgia con la vecchia Europa; il compositore Miklós Rózsa autore della maggior parte delle musiche del film su Holmes; la ricerca di un ritorno impossibile. La circonferenza, delineata da questi elementi che si rincorrono spesso nell’opera dello scrittore britannico, avrebbe potuto tendere alla chiusura solo con un libro dedicato a Billy Wilder. Il volume considerato “una lettera d’amore al cinema” dal The Guardian non avrebbe potuto essere altro che un romanzo. Una biografia, parafrasando le parole di Coe in un’intervista, non offre la libertà di raccontare la “verità emotiva” allo stesso modo della finzione narrativa. La prosa di romanzi e racconti vincola lettori e scrittori al patto narrativo, all’accettazione della finzione in qualità di realtà, ad accogliere per veri Renzo e Lucia, nati a loro volta dalla fantasia miscelata alla ricerca storica
La voce femminile

Ad una voce femminile viene affidato dunque il compito di rendere omaggio al regista preferito. Per quale motivo una voce femminile? Lo scrittore (nella foto a destra) ammette, in un’intervista, che la scelta è nata per allontanarsi dalla sua stessa voce. Lo scrittore crea così Calista Frangopoulou, che è vera e reale come lo sono Renzo e Lucia, ma che ha in sé il seme dell’adolescente Jonathan, perché quando incontra casualmente Billy Wilder a Los Angeles non conosce il grande regista, esattamente come non lo conosceva Coe nel 1975. Questo incontro fortuito cambia la vita della protagonista del film “Fedora”. Calista segue la troupe anche quando le riprese in Grecia terminano e in questo svolgersi il lettore arriva a percepire la verità emotiva dell’opera. La verità emotiva della scelta del film “Fedora”, fortemente voluto dal regista; la verità emotiva sul legame nostalgico con l’Europa del maestro della commedia americana; la verità emotiva del legame tra Wilder e i campi di concentramento.
La storia in una finta sceneggiatura
Il rapporto tra Wilder e i campi di concentramento, fin dall’inizio, avrebbe dovuto costituire il cuore del romanzo, secondo le intenzioni dello scrittore e fino a pagina 126, circa, ci si potrebbe domandare come possa inserirsi una digressione sulla Shoa nel racconto dell’esperienza vissuta da Calista negli anni Settanta. Coe trova magistralmente la strada inserendo una finta sceneggiatura di quasi cinquanta pagine perfettamente omogenea al resto della narrazione. Il lettore apprende, così, ciò che gli occhi di Wilder cercano in “Schindler’s list” e che Billy chiarisce a Calista nel loro ultimo incontro, quasi vent’anni dopo le riprese di “Fedora”. Una ricerca fatta attraverso gli occhi del regista e che non pertiene all’immaginario dello scrittore nonostante la finzione narrativa. Il lettore potrà verificarne i referenti reali tra i “ringraziamenti e fonti”, ovvero nei titoli di coda del romanzo.
Giancarla Savino
Jonathan Coe, Io e Mr. Wilder, pp. 240, Feltrinelli, 2021. Euro 16,50