
In un tempo che non ci regala certezze economiche, ho scoperto un saggio di Bruno Amoroso, molto interessante: Federico Caffè. Le riflessioni della stanza rossa (Castelvecchi). Per chi non lo sapesse, Caffè fu un geniale economista italiano, intellettuale raffinatissimo, docente alla Sapienza di Roma; Amoroso fu il suo assistente preferito e poi divenne suo caro amico. Il libro è una rielaborazione di lettere scritte da Caffè a Amoroso, dei loro colloqui, delle registrazioni di lezioni.
Non dimentichiamo che, negli anni ’70, Caffè ebbe tra i suoi allievi Ignazio Visco e Mario Draghi. Ancora oggi quest’ultimo parla con riconoscenza del suo professore: “Caffè, pur avendo maturato convinzioni forti e una visione coerente, non volle mai trasmettere un credo, ma agì per aiutare gli studenti a pensare con la propria mente e a divenire cittadini consapevoli”. L’attualità del pensiero e dell’opera di Caffè va ben oltre il metodo di insegnamento e di ricerca: il professore fu tra i principali divulgatori della dottrina keynesiana in Italia.
Keynes e la parabola del bambino
John Maynard Keynes, britannico, nel 1936 pubblicò Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, opera che teorizza il “Welfare State”. Nello stesso anno Caffè si laureava con una tesi incentrata sul rapporto tra le politiche macroeconomiche e il benessere dei ceti più deboli, al fine di assicurare occupazione e protezione sociale.
Welfare, dunque, cioè vera solidarietà: Caffè esemplifica il concetto con un episodio narrato da Raimon Panikkar: “Una ragazza si arrampica su un sentiero di montagna, in India, e tiene in braccio un bambino. Una turista, carica di zainetto e con una pesante macchina fotografica in mano, le va incontro e le chiede, indicando il bambino: “E’ pesante, vero?”. La ragazza la guarda stupita e con sorriso risponde: “No. E’ mio fratello”.
Il mistero della scomparsa
Il 15 aprile 1987 Caffè scomparve nel nulla… Pare che il suicidio di Primo Levi, pochi giorni prima, lo avesse sconvolto. Nel film del 2001 L’ultima lezione, di Fabio Rosi, si ipotizza che, per pianificare la propria scomparsa, il professore si sia ispirato a La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia (1975), saggio sulla sparizione del fisico siciliano. E’ comunque un fatto che la personalità benevola e disarmata di Caffè lo abbia reso fragile di fronte a un mondo accademico spietato. Molti anni prima Caffè scriveva ad Amoroso: «Sei stato molto poetico […] a ringraziarmi “perché ci sono”. E’ un conforto che è giusto a proposito, perché, a mano a mano che si avvicina l’epoca dei bilanci e dei riepiloghi personali, capita spesso di chiedersi se è poi valsa la pena di esserci stato…».
Laura Prete
Bruno Amoroso, Federico Caffè. Le riflessioni della stanza rossa, pp. 144, Castelvecchi. Euro 17, 50
