Un albero e due rime per sposarsi

Pieter Bruegel – il Giovane, (part.) Danza intorno al palo di maggio (1634)

– Sei innamorato?
La bambina ti sorride e ti chiede un capello. Se hai dei dubbi ti dice “sei una femminuccia paurosa”, poi appena può te lo strappa con una sola mossa rapida e decisa.
– Sei innamorato?
Cosa può rispondere un tipo in pantaloni corti che ha il fiato lungo per l’ultima corsa nel cortile e si sta grattando la testa.
Invece la ragazzina  si mette nel palmo della mano il capello, ci passa l’indice una, due, tre volte, e torna a chiedere:
– Sei innamorato?
Lei sa che ormai non conta più. Puoi dire quello che ti pare. Non conta. Lo dirà il capello. Eccolo, appena visibile o, al contrario, confuso insieme ad altri come un patetico ciuffo d’erba.
 Adesso la bambina lo distende ancora sul palmo e con le unghie dell’indice e del pollice lo tira, lo stira. Il capello si deforma a una delle estremità, fa una specie di spirale.
– Ecco, sei innamorato – dice la ragazzina e comincia a ridere, a correre e a gridare che sei innamorato. Anche se non c’è nessuno. Anzi meglio. Così resti impalato, senza sapere cosa fare, con le mani sprofondate nelle tasche, il muso lungo, le guance rosse.


Capitava così.
Capitava per gioco, anche se le cose potevano mettersi male. Se il capello non si arricciava non eri innamorato. Facevi finta… Tanto per dire, tanto per fare.
Nei cortili era un gioco per bambini verso la metà del secolo scorso in diverse parti del Settentrione. Per qualche inspiegabile ragione, ci sono divinazioni e magie che col passare del tempo diventano giochi. Come quei fuochi natalizi su cui saltano i bambini e che duecento, trecento anni prima erano attesi dagli agricoltori per conoscere il futuro dei raccolti, delle messi.

La damina veneziana

Torniamo indietro.
A Venezia, nel Settecento, tra le damine imbiancate e le fidanzate col viso reso rosso da inverni impietosi. Precisamente allora, il capello che s’arriccia o non s’arriccia è un segno che fa pensare. E se fosse vero? E se il gondoliere non fosse innamorato? …Per l’appunto. 
Il folclorista Angelo De Gubernatis scrive di questo rituale riferendolo a Venezia, anno domini 1878. É una storia vecchia che fa il paio con quella dei tarocchi.
 Ci spostiamo ora nella casa di una donna che mischia il mazzo e fa passare le carte, una per una, davanti a una ragazza. Per ogni nuova carta, invariabilmente, ripete in successione figura dopo figura: “Uomo”, “Bell’uomo”, “Mercante”, “Ladro”, “Spia”.  
Se quando compare il due di spade sta dicendo “Bell’uomo”,  è segno di nozze imminenti. Sia come sia, non si discute con la magia. La donna si sposerà.

Una fronda per dichiararsi

La storia di un fascio di fronde legate a un albero,  per dichiararsi, è un rito tutto biellese. Così almeno sembra, perché se ne ha traccia e documenti solo nel paese di Candelo.  
Poteva capitare che una Anna, o Carla, o Renza, alzandosi un mattino del mese di maggio, gettasse uno sguardo fuori dalla finestra… E là in fondo, sul ciliegio davanti a casa, oppure sul frassino lungo il fosso del prato, ecco agitarsi qualcosa.
 In alto c’erano foglie nuove, rami che il giorno prima non c’erano. Se  la ragazza osservava meglio,  le cose non potevano essere più chiare. Proprio in cima al ciliegio c’era una fronda di pioppo e addirittura una fascina di rami, di foglie verdi. Allora la giornata si annunciava tra quelle agitate.
La fronda era un indizio chiaro, ma di chi era? Se in quelle ultime settimane, al ballo, per strada, nessuno si era avvicinato, nessuno aveva fatto una gentilezza, diventava un rebus.
Doveva spargersi la voce: “Ieri mattina hanno legato il pioppo sul ciliegio della Renzina!”
 Prima o poi un nome saltava fuori. Ma se si sbagliava? Se Renzina aveva le fattezze di Greta Garbo?  Se di sorrisi e gentilezze ne aveva ricevute più del solito?
La questione in questi casi prendeva un’altra piega e il ragazzo aveva solo un’opportunità: dopo essere salito a notte fonda sull’albero dell’amata, doveva agire in fretta e il giorno dopo mandare un amico per riferire alla famiglia che il tale aveva intenzioni serie. Il capello, insomma, era arricciato. Che Renzina volesse oppure no.
Questa tradizione aveva una scadenza. Alessandro Roccavilla scrisse che il padre aveva otto giorni di tempo prima di rispondere. Nella scena cruciale del fidanzamento il ruolo paterno era importante. Al padre toccava valutare la consistenza dei beni dell’altra famiglia; ma in ogni caso era il padre che toglieva dall’imbarazzo la figlia quando il responso era un rotondo “no”.
Viceversa la love story era una intrepida discesa.

Promesse di fertilità

Ma gli alberi servivano anche per sposarsi in clandestinità o raddoppiare la cerimonia ufficiale.
 La tradizione era diffusa in diverse parti, dalla Lunigiana alla Basilicata alla Calabria. Si facevano tre giri di danza intorno ad un albero, poi lo sposo recitava: “Albero mio fiorito, /Tu sei la moglie, io sono il marito”. Subito dopo la sposa controbatteva: “Albero delle foglie,/ Tu sei il marito, io sono la moglie”. L’essenza arborea era una promessa di fertilità.
 Del resto, nei prati e nei cortili dove le bambine stiracchiavano un capello  preso tra pollice e indice c’erano diversi alberi che erano stati piantati esattamente il giorno della loro nascita. Ma chissà perché (ed è una superstizione del tutto contemporanea) c’è chi crede questa sia un’altra storia.

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