
Alle sedici Alda Merini è già seduta sul mio sofà. Ha due grossi anelli di plastica gialla alle dita e si guarda intorno. L’aspettavo per la sera, la prenotazione al ristorante è per la cena. Bere non vuol bere ed è meglio così.
“Ce l’ha un pezzo di pane?”
Non ho un pezzo di pane. Non ho fatto in tempo a comprare niente.
“ Ho dei grissini”, dico, mentre vado in cucina. Mi segue col suo cappottone di pelliccia che non ha voluto lasciare all’attaccapanni. Dal balcone si vede la ciminiera del Lanificio Cerruti, il blu delle montagne, la pianura di Candelo.
“Sembra che Carducci, quando ha scritto quella poesia gonfia di enfasi sul Piemonte, avesse visto la città più o meno da questo punto…Sa, Biella… i camini fumanti…”, sorrido.
“Davvero? Io ho avuto dei parenti piemontesi, un generale.”
“Un generale?”
“Sì, sì un generale…Ma allora il pane non ce l’ha?”
“E’ vecchio”, dico, “Posso darle dei grissini”.
Grissini no.
Sul tavolo c’è la vecchia Olivetti verde chiaro, Lettera 32.
“Ce l’ha un foglio di carta?”
“Questi sì, a volontà”. Mi sorride nel suo cappottone grigio di finto astrakan e si mette a battere sui tasti velocemente, a testa bassa. Mi dice che il Piemonte è un salutare ricordo della sua infanzia.
Poi scrive così:
Ove salta il camoscio e la valanga
lì io costrussi la mia poesia
zolla su zolla sera dietro sera
e malaccortamente una preghiera
di farmi luce nel lungo cammino
e aspetto una lettera affettuosa
del padre eterno che mi dica
ancora
sei un ramo di betulla
ancora ancora
in te canta la siepe e poi la rosa
ma anche mi dica anche che
poesia
strapiombo di gelo universale
o non cadere in lei che ti
fai male.
a Marco Conti
Firma, mi guarda, non bada ai miei ringraziamenti per la dedica e infila un altro foglio nel rullo. Scrive che nella poesia si manifestano “tanto il male oscuro quanto il male chiaro di ogni secolo e di ogni tempo e che la poesia è ciò che rimane in ognuno di noi”. Parla della catarsi di ogni arte, ma continua a scrivere un’altra poesia e poi un’altra ancora in cui compare “Titano”, suo compagno di vita di un tempo.
Intanto è arrivato l’editore Nicola Crocetti. Alda, a Milano, è sua ospite da mesi in una casa sui Navigli che appartenne alla madre dell’editore.
“Scrivili bene Alda”, le dice. Lei picchia sui tasti con violenza, i tasti si accavallano e devono essere rimessi a posto con le dita. La prima redazione, che trascrivo ora, è piena di errori di battuta. In serata, alla Biblioteca di Biella, leggerà la poesia dedicata a Titano, insieme ad altre e ai versi tratti dall’antologia “Testamento”, ma adesso è una furia e vuole produrre per me, per Nicola.
Quando ci mostra il lavoro sorride, ha gli occhi lucidi come una caramella. Ha sessantadue anni compiuti da pochi giorni, “Sono nata il ventuno a primavera – dicono i suoi versi- ma non sapevo che nascere folle/ aprire le zolle/potesse scatenar tempesta.”
Ci parla ancora di Titano, della sua storia sfortunata, delle ore passate ad aspettare capitasse qualcosa, della malattia tra i muri dell’ospedale. Poi mi fa vedere le edizioni Pulcino elefante di Alberto Casiraghi. Una lirica e un disegno su carta pregiata, ogni copia un’offerta, secondo il caso, la disponibilità. Ne ha fatte decine, oggi quotate come testi antichi. Ma quel giorno le va di farmi lei un altro regalo.
“Ce l’ha un pianoforte?” mi chiede improvvisamente.
Devo ancora dirle una volta di no.
“Sa – mi dice – Sono brava al pianoforte”. *
* Alda Merini, insieme a Nicola Crocetti, fu ospite ai miei corsi di Scrittura Creativa nel 1993. La poetessa milanese lesse i suoi versi nelle sale della Biblioteca Civica di Biella.

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Che meraviglia di ricordo.
Grazie.
Una giornata con Alda Merini non si dimentica! Ma come vedi il calendario (ora è toccato a Einaudi), qualche sorpresa in serbo ancora l’ha. Grazie a te.