
E’ una giornata d’agosto del 1290 quando muore tra gli eremiti di Oropa il maestro Syon, uno studioso, un celebre grammatico che sarà sepolto a Vercelli il 16 dello stesso mese. Gli ultimi giorni del maestro, lontani dalla calura, dagli scocciatori, dai chierici, trascorrono in un eremo. Verde, silenzio, solitudine. A quel tempo gli eremiti non vivono nelle grotte, ma in semplici case che già prendono il nome di priorati. Hanno un saio nero, lo stesso che compare negli affreschi del Trecento della chiesa di Santa Maria dove si trova il sacello della Vergine Nera; hanno probabilmente qualche capo di bestiame, ma vivono soprattutto delle offerte o, come si dirà diffusamente nel corso dei secoli, «vivono della devozione».
Il maestro e la mansione

Il maestro di Syon, che lasciò un trattato ancora oggi consultabile, muore in una casa vicina a quello che diventerà il sacello. Quando viene steso il suo necrologio si specifica che si trovava a San Bartolomeo. Ma sorprendentemente si scrive: «in mansione Sancti Bartholomei de orepa». Una mansione a Oropa anziché una “domus”? Sarà un caso. Nel mondo romano questo termine è usato genericamente per i luoghi di ospitalità lungo le vie di comunicazione. Tuttavia in quegli anni “mansione” è precisamente il nome con cui i Templari indicano diversi loro insediamenti, gli edifici che sorgono lungo le vie di transito commerciale e di pellegrinaggio.
Oropa, pellegrinaggi e transiti

In apparenza Oropa è l’esatto opposto. Eppure la vallata mette in comunicazione i biellesi con Fontainemore dove in quegli anni si svolgono molti scambi commerciali. Si passa lungo gli stessi luoghi degli eremiti. Il primo documento che indica la loro presenza con sicurezza è del 2 maggio 1207, mentre a giudicare dagli edifici costruiti essi erano già presenti nel IX secolo. Di templari, viceversa neppure l’ombra. Le mansioni più vicine al Biellese furono quelle di Livorno Ferraris e di San Giorgio Canavese. La storia dell’Ordine del Tempio ha però un altro tassello equivoco: il ruolo che i templari hanno avuto nel culto delle Vergini Nere.
Qualche decennio prima, in Provenza, nella valle di Vésubie, i Templari crearono una commanderia e dove esisteva una cappella benedettina, collocarono una Madonna Nera che da quel momento verrà chiamata “Notre Dame de la fenêstre”. Non fu un caso isolato. Nello stesso periodo in cui si sviluppa la storia dei Templari, ha inizio in Francia, Italia e Spagna anche il culto delle Vergini Nere. Costituitosi per tenere in vita gli ideali cristiani delle crociate, poi strutturatosi intorno alle vie di comunicazione e di pellegrinaggio, l’ordine aveva anche creato una dottrina non lontana dall’esoterismo gnostico.
Il pendolo di Foucault

Umberto Eco, nel suo romanzo, Il pendolo di Foucault, insiste su questo aspetto. Ma chiuse le pagine della narrazione, fitta di incisi esoterici, resta il dato storico che lo scrittore mi confermò: «E’ certo – disse durante la presentazione del romanzo – che esiste un rapporto tra vergini nere e templari; si tratta però di dimostrare se, nel caso specifico di Oropa, il rapporto è corretto». Nessun documento attesta questo legame né a Oropa, né nella maggior parte dei santuari o delle chiese che ospitano una Madonna Nera. Vésubie è una eccezione. Per contro il mistero della loro presenza, condito con leggende come quelle di Sant’Eusebio che avrebbe peregrinato tra Crea, Cagliari e Oropa con le tre statue nere come l’ebano sottobraccio, suggerisce il tentativo di far rientrare queste presenze nel solco della tradizione. In epoca moderna l’imbarazzo è risultato evidente quando in alcuni santuari, come a Crea, si è tentato di sbiancare le statue sostenendo che solo il fumo dei ceri le aveva annerite.
Eco, le Vergini e i celti

«Le prime vergini che appaiono in Europa – scrive Umberto Eco nel Pendolo di Foucault – sono le vergini nere dei Celti. San Bernardo, da giovane, stava in ginocchio nella chiesa di Saint Voirles, davanti a una vergine nera ed essa spremette dal seno tre gocce di latte che caddero sulle labbra del futuro fondatore dei Templari». Il romanzo con cui Eco si fece mettere all’Indice dall’Osservatore Romano, citava in questa pagina una leggenda ma anche una circostanza storico-religiosa certa: la divinità femminile della Terra per i celti è stata Modron, raffigurata in nero e poi trasformata letterariamente, con il ciclo arturiano, in Morgana.
Altri sincretismi
C’è chi ha osservato una seconda trasposizione tra la Vergine e il culto romano di Iside, nera e materna. Infine i luoghi in cui sorgono i maggiori santuari che custodiscono una Madonna Nera hanno uno scenario che si ripete: montagne, grotte, solitudini, boschi. Così a Oropa, a Crea, a Montserrat, a Manosque, Rocamadur, Tindari, Loreto e altrove.

Lo scenario dice più di quanto non dicano i documenti. La figura femminile, madre e nera, come nera e materna risulta simbolicamente la terra, non poteva trovarsi in un luogo qualsiasi. Ma perché immaginare i cavalieri templari, al posto di Sant’Eusebio, impegnati tra vallate e pianure a insediare statue e culti? Il percorso anziché nello spazio solamente è stato tracciato dal tempo. Il Roch ‘dla vita, (la roccia della vita) il masso della fertilità di Oropa, sembra gridarlo a viva voce. A due passi dalla grotta intorno alla quale è nata la basilica. E’ un teste eloquente, un testimone nato molto prima dell’Ordine del Tempio. Quello stesso edificato a Gerusalemme con un nome che era una promessa: Nostra Signora del Monte di Sion.
Marco Conti ©Tutti i diritti riservati