Un paesaggio domestico, rami alle finestre, una lucertola nella fioriera, la scansione del tempo personale e il divenire di quel tempo, il suo farsi mito davanti al quale la scrittura della storia appare come un controtempo. E’ il percorso che Luca Nicoletti compie nel suo ultimo libro di poesie Il paese nascosto: titolo che allude alle radici, agli affetti, alle geografie personali, ma che finisce per rivelare, nella seconda parte, una dimensione collettiva a cui la scrittura si offre per la paradossale ma autentica necessità di uno scarto, di una negazione attraverso il giudizio. Scrivere appare allora un diagnosticare, come suggeriva Foucault, ciò di cui si vuole scrivere. La partitura di Nicoletti è omogenea tanto nel tessuto del verso quanto nella sua concezione, che persegue una personale nozione di “poesia verso la prosa” di cui sono parte integrante le citazioni di Vittorio Sereni. Un verso sintattico dove l’immagine dirama dal discorso con estrema leggerezza di pronuncia:
I rami del giardino della casa dove abitavo vorrebbero dirmi tante cose, me le stanno dicendo la luce trova piccoli varchi e accende segmenti vibranti sulla sponda del letto, lì dove appoggiavi i vecchi giochi e mi aspettavi, non dicevi niente volevi vedere come cambiava il mio viso quando finalmente me ne accorgevo (di fuori un uccello fa uno strano verso un lamento, o un tentativo di canto in affanno, come se fosse ferito)
La memoria, l’immagine

Il primo tempo di Paese nascosto discorre in effetti con la memoria e soprattutto con la memoria della madre, fotografa, che consente attraverso le sue immagini una doppia citazione del vissuto. Nella prefazione Giancarlo Pontiggia sottolinea in particolare il ruolo della seconda sezione del libro, dove pare più cospicua questa presenza anche attraverso l’opera fotografica. E’ questo anche il momento in cui i luoghi della parabola esistenziale si fanno mito, cioè esperienza esemplare attraverso cui il vissuto è luminato di senso:
Mai avevamo guardato la luna come quella sera, alla vigilia del tuo ricordo. Sembrava avvicinarsi man mano che si spogliava dell’ombra portata dall’eclissi.
Il tempo della scrittura, la distanza che stabilisce, è al contempo traguardata nel suo farsi esperienza e poetica:
Il cielo va in frantumi vecchi appunti cadono tutt’intorno… parole delle cose di noi rimaste lontano, in un tempo diventato spazio disseminato di momenti trasformati in luoghi.
La scrittura come riconoscimento
Il dettato di Nicoletti è trasparente e vivo come lo è l’omaggio citazionista a Sereni, che diviene cifra personale: non in riferimento alla sezione intitolata “Esile mito”, ma in certi registri discorsivi, nella occasionale ripetizione delle locuzioni («Restane fuori. Resta fuori») o negli incipit: «Non vedrò più le cose che ho amato» (Mia madre) mentre nella lirica successiva, «Continuo a guardare i miei luoghi», non è più il registro a richiamare il poeta di Luino, piuttosto la poetica. C’ è insomma inscritta, in questa raccolta, una nozione di metapoesia al di là di quanto suggerisce il prefatore. Non tanto e non solo in riferimento all’immagine delle immagini colte dalla madre (fotografa) in filigrana del verso, ma nello sguardo autoriale teso a riconoscere (a “diagnosticare” insisto) il proprio fare, etimologicamente poiesis.
Il controtempo della Storia

Nella seconda parte del libro scompare il paesaggio vissuto «sull’orlo dell’estate», il suo breve campo visuale. Al suo posto figura uno scontornato, astratto villaggio globale, pervasivo come una pioggia battente, e ancora immaginato in una cornice stagionale che però rinvia al suo valore emblematico, anziché alla topografia personale. Nella prima sezione di questo secondo tempo, intitolata “Esile mito”, Nicoletti chiosa «L’inafferrabile presente, il suo senso negato/ il rumore creato con grandissima arte,/ l’implosione che segue le deflagrazioni,/ lo spirito delle divisioni, degli italici clan/ del tutti contro tutti »…Dove «Rimane, altresì, un’impressione di vuoto/ una montagna che, all’improvviso, scompare/ e sono gli anni, gli anni che è come/ se fossero niente.» Vuoto simbolico scavalcato, e viceversa corteggiato, nell’allegoria di uno slancio e di una scommessa vitali con la vicenda del funambolo francese Philippe Petit (nel 1974 camminò su una fune tesa tra i due grattacieli del World Trade Center di New York a 417, 50 metri di altezza), al quale è dedicata un’altra breve sezione.
La lingua di Nicoletti è estremamente duttile anche in questo sviluppo inatteso del discorso, ma questa volta il paesaggio è lo schermo di una Storia su cui ogni cosa pare vanificarsi nella replica puntuale che il mondo offre di se stesso:
… il senso sacro che resiste, un’inquadratura senza limiti segue la visione zenitale, il paesaggio in una distensione collinare, dipinto nel silenzio di un grande cielo terso. Dove arriva un alito di vento: è qui che un viso può affacciarsi, un primo piano che lascia leggere negli occhi. Tante immagini, tante immagini e nessuna.
Poesia scritta al parco della Resistenza
Il punto di vista dell’esperienza personale e lo sguardo di una ripresa “in soggettiva” coincidono in “Poesia scritta al parco della Resistenza”, che rappresenta forse uno degli esiti maggiori del libro di Nicoletti.
E ora più in là i rami si interrompono. È bastato girare di poco lo sguardo per accedere al cielo in tutto il suo grande vuoto celeste, a metà colmato da una nuvola sfrangiata. Si interrompono le trame, non c’è nessun destino. Sulle punte più in basso le gemme rosate celebrano questo giorno di canto perfetto, di assoluta primavera. Si nasce ora, non accadrà ancora durante il resto dell’anno.
Questa tersa vacuità definita dalla contingenza di “una nuvola sfrangiata”, così come la ciclicità risorgiva delle gemme colta nel suo assoluto antistorico turgore, cozzano e deflagrano di fronte alla mondanità (che qui intendo nel senso più alto, kierkegaardiano), cui allude discretamente il titolo. Ci si consegna finalmente una lirica che non ha più nulla di quella marginalità letteraria a cui ci ha abituati una certa diffusa e ripetutissima nozione di postmodernità.
Marco Conti
Luca Nicoletti, Il paese nascosto, Pp. 101, Pequod, 2019; Euro 15,00
