
La storia ha per protagonisti un impiccato, un gallo e un monastero cluniacense. Il monastero è quello di Castelletto Cervo, il gallo e l’impiccato sono in un affresco che potrebbe essere quasi un cartiglio di grande eloquenza. Ma non è così. Anzi, la storia racconta in realtà i pellegrini dell’undicesimo secolo e un medioevo fitto di slanci verso l’assoluto accanto a tagliagole e tagliaborse.
Tra le quinte di tutto questo c’è il Genio del Luogo, la sua essenza, che si può immaginare appena avete svoltato dall’orrido degli svincoli che tagliano la pianura, tra Castelletto e Mottalciata, tra Biella e Vercelli, lungo la strada che fu quella per Santiago di Compostela.
Non troppo in alto ma dominante nel verde della pianura, il monastero si confonde con un passato di bassa corte: le galline ci sono ancora, il silenzio della cascina anche. Tra le bifore, i mattoni rossi, il verde pallido della stagione e gli squarci del tempo appena rappezzati.
Come Casa Usher

Anni fa chiunque poteva entrare nella chiesa in qualsiasi momento come tra i ruderi abbandonati di Casa Usher. L’orrido, è chiaro, era quello a valle, quello dei magnifici “manufatti” di cemento, ma per convenzione il dizionario lo avrebbe aggiudicato all’antico monastero. Costruito mille e cento anni fa e immerso in una solitudine notturna di bellezze sbrecciate, di absidi polverose e robinie centenarie. Entrando, alla sinistra dell’altare una porta ti conduceva verso un’altra stanza dove si vede l’affresco, oggi restaurato, della Trinità: tre ieratici barbuti seduti ad una mensa, le dita alzate per indicare il numero tre. Un modo popolare per mostrare un concetto che ai vescovi del Concilio di Trento non piacque più. Dal Concilio in poi ai pittori fu infatti vietato di rappresentare il mistero della Trinità con tre figure. Ed è un miracolo che quello non sia stato cancellato.
Viceversa a nessuno importò mai niente dell’enigmatica storia dell’impiccato. Accanto a San Giacomo compaiono un gallo, due pellegrini che pregano e un nobiluomo, mentre sullo sfondo una figura umana pende da una forca e sembra l’ultima cosa di cui ci si debba preoccupare.
Occorre quindi ricostruire questa storia che sta tutta in una lettera salvatasi dal tempo grazie ai monaci di Cluny.
Una lettera denuncia un omicidio

Tra il 1095 e il 1096, i titolati di Castelletto, il conte Oberto di San Martino e il suo vassallo, un certo Ardizzone, si prendono il fastidio di scrivere una lettera all’abate di Cluny. Gli dicono che il piccolo monastero piemontese è gestito in modo scandaloso e che tra i viaggiatori ospitati avvengono furti, aggressioni, rapine. C’è stato anche un omicidio. La chiesa e gli altri edifici annessi, trovandosi sulla strada del pellegrinaggio, sono molto frequentati. Tanti sono i viaggiatori che si fermano per la notte o per qualche giorno.
Nella missiva Conte e vassallo chiedono che il priore venga sostituito con quello precedente, un certo Garnerio a quel tempo impegnato nel comasco.
La faccenda è seria.
Cosa sia avvenuto di preciso immediatamente dopo quella corrispondenza non si sa. Di sicuro la missiva (che oggi si può consultare alla Biblioteca Nazionale di Parigi), non venne dimenticata. E qualche tempo dopo il priore fu sostituito.
E l’impiccato? E il gallo?
Per saperne qualcosa di più, né il carteggio né l’affresco sono sufficienti. Bisogna ricorrere ad una leggenda che prende le mosse proprio dall’anno mille e spiega perché i religiosi abbiano successivamente fatto dipingere nella chiesa un San Giacomo (patrono di Santiago di Compostela e dei viaggiatori) in compagnia di un impiccato.
La leggenda del gallo e dell’impiccato

Si racconta che una famiglia diretta in Spagna si era fermata nel monastero per la notte. Ma il mattino successivo il padre di famiglia – così dice la leggenda – venne svegliato e portato di peso davanti al signore del posto mentre gli altri pellegrini se la svignavano rapidamente.
Al presunto colpevole fu mostrata una scarsella vuota trovata accanto al suo pagliericcio. Era l’ennesimo furto ma questa volta si conosceva il responsabile. Processo e condanna furono rapidi come l’esecuzione, fissata per l’alba del giorno successivo.
Ogni cosa era già decisa quando il figlio del condannato giurò che suo padre era innocente e che era disposto a prendere il suo posto sul patibolo. Detto e fatto. Il giudice si convinse che il ragazzo diceva la verità, ed era quindi colpevole. Ma le cose si complicarono.
Nella notte la madre del condannato ebbe una visione. «Andrai domani da giudice – le disse San Giacomo – e dirai esattamente queste parole: “Liberate mio figlio perché egli è vivo”». Insomma, il patrono dei viaggiatori si prese il disturbo di comparire in sogno. Com’ era possibile, del resto, si chiedeva la donna, che un innocente fosse impiccato?
Racconti sulla strada di Santiago
Così, di buon’ora, la madre bussò alla casa del giudice e lo trovò seduto davanti al tavolo imbandito. Poiché non sapeva come iniziare il discorso, finì per ripetere le parole del sogno: «Libera mio figlio perché lui è vivo». Il giudice la guardò sogghignando: «Tuo figlio è vivo come questo pollo sul tavolo». E in quel preciso momento il pollo riacquistò d’un colpo il suo piumaggio colorato mentre il ragazzo si alzò dal tavolaccio del patibolo.
Qualche decennio dopo la leggenda diventò un affresco o, forse, l’affresco della Trinità e di San Giacomo prese a prestito un racconto di devozione colto sulla strada di Compostela.
Marco Conti

A Santo Domingo de la Calzada, paese di 7 mila abitanti nella Rioja, in Spagna. Una leggenda del XV secolo spiega il motivo della più curiosa delle caratteristiche di questa cittadina (meta obbligata dei pellegrini che percorrono il cammino di Santiago) ossia la gallina e il gallo che troneggiano, vivi e vegeti, all’interno della stupenda cattedrale di Santo Domingo.
Secondo la leggenda il figlio di una coppia di pellegrini fu impiccato ingiustamente per furto, ma quando i genitori andarono a reclamarne il corpo, trovarono il figlio vivo e vegeto. Questi raccontò loro che a salvarlo era stato Santo Domingo. Quando il governatore locale venne a sapere del miracolo disse che il pellegrino era vivo come la gallina che stava mangiando, al che la gallina arrostita (asada) si mise a cantare…
Nasce così il famoso detto Santo Domingo de la Calzada, donde cantò la gallina despùes de asada!
Grazie Laura per questo contributo. Non solo è interessante ma conferma un carattere delle leggende, cioè quello di viaggiare di bocca in bocca con tracce narrative diverse ma sostanzialmente (e simbolicamente) analoghe o uguali. Si pensi che di Cenerentola sono state inventariate circa 500 versioni fiabesche. Il fatto che la leggenda biellese trovi una corrispondenza proprio in Spagna (meta del pellegrinaggio) non è casuale.
l’autore del mio scritto precedente è
Simona Traversini. Grazie.
Grazie anche a Simona Traversini!
Affascinante, si può visitare il monastero?
Il monastero è visitabile all’interno in occasione di visite guidate. Cercando su un motore di ricerca con la stringa Monastero-Castelletto Cervo-Visite guidate, penso si trovi facilmente. Grazie.