Nel 1936 Georges Simenon è sulle vette del Tirolo. Sotto di lui è un paesaggio di nuvole e di valli innevate. Si sente l’aria pura, l’odore delle conifere. Ed è precisamente in quel posto che avverte la nostalgia di altri inverni, il porto di Fécamp in Normandia, dove ha varato la sua prima barca, l’odore di aringhe, i piccoli bui caffè del porto. Nella nota che precede le prime pagine di I superstiti del Télémaque (1937), Simenon ci tiene a sottolineare questo desiderio di altrove: «Non so come funzioni per gli altri scrittori. A me, la voglia di scrivere un romanzo gravido di sole è sempre venuta in Olanda o in Norvegia, o addirittura più a nord, in una piccola isola del Mar Glaciale Artico, quando avevo fame di luce calda, satura del canto delle cicale.»
La premessa è importate perché mette in chiaro, sotto il profilo biografico, come nasce uno degli attributi più marcati dell’opera: precisamente il timbro, il colore di un’atmosfera. Se si corre alla prima pagina del romanzo scritto sulle vette tirolesi, si trova questa rapida descrizione: «Il peschereccio beccheggiava in lontananza, con il fanale issato in cima all’albero maestro che sbiadiva alle prime luci dell’alba. Dietro le imposte ancora chiuse del Café de l’Amiral le luci erano accese, le sedie e i tavoli accatastati, e un secchio nerastro campeggiava nel bel mezzo del pavimento.»
L’ambiente

In poche righe Simenon delinea l’ambiente che accompagnerà il lettore nell’intero romanzo: un piccolo porto, un minuscolo villaggio senza attrattive, dove sfileranno poco dopo i carretti col pesce, le donne, che salutati i mariti o i figli, potranno saldare i conti delle ultime settimane. In questo ambiente un delitto sembra una faccenda di liti e di ubriachi che non promette mistero ed enigmi. A maggior ragione Simenon sembra sentirsi a suo agio raccontando la storia di un naufragio avvenuto molti anni prima e in cui perde la vita il padre dei due protagonisti, tra loro fratelli gemelli: l’uno accusato dell’omicidio di un uomo salvatosi dal naufragio e poi arricchitosi, l’altro destinato a condurre l’indagine come può.
Charles e Pierre, due caratteri
I caratteri psicologici dei romanzi di Simenon sono spesso contrastativi quando i personaggi sono contigui: coniugi, amiche, fratelli. E in questo romanzo lo scrittore non fa eccezione. Scrive di regola rapide annotazioni, fornisce rari scorci introspettivi e analitici (l’unica eccezione sarà fatta con le pagine di Le campane di Bicêtre ), ma il tema dei due caratteri opposti (Charles è «il cervello della famiglia», Pierre «era bello e forte», «ispirava una fiducia immediata, un’immediata simpatia») percorre tutto il romanzo. Proprio Pierre è accusato di un delitto che appare un gesto di vendetta: la morte di un vecchio salvatosi, insieme ad altri naufraghi con un atto di cannibalismo sulla scialuppa di salvataggio. Intorno l’ambiente dei marinai non crede che Pierre sia un omicida, promette addirittura uno sciopero, ma nessuno conta sul ruolo del fratello. Charles è timido, non ha mai lavorato sui pescherecci, è malato. In breve la gemellarità viene fatta a pezzi dallo scrittore che crea due ritratti psicologici opposti e delinea su entrambi lo “sguardo” ben distinto del paese, degli “altri”, riflesso nella consapevolezza di Charles.
La svolta

Se Simenon fosse uno scrittore mediocre o uno sceneggiatore di thriller, dopo aver approntato un struttura come questa convoglierebbe i sospetti del lettore verso il solitario ed introverso Charles. Simenon ci fa leggere invece il piccolo mondo di Fécamp con gli occhi di Charles e propone alla sua indagine la figura del falso colpevole, Gaston, un piccolo, torvo pregiudicato, che vive alla giornata. Il fulcro della narrazione diventa così il desiderio di cambiare di Charles, di diventare un altro uomo:« Due giorni dopo, il giovedì, alle undici di mattina, quando scese dal treno di Fécamp, Charles Canut era un altro uomo. Se ne accorse, uscendo dalla stazione, non appena vide la darsena satura di pioggia e di salsedine, i moli nerastri e viscidi, le misere case male allineate: Fécamp, insomma, cioè tutto il suo universo.»
Il romanzo nel romanzo
La detective-story diventa qui solo il filo conduttore, poco più di un crocevia, che permette di entrare nella vita di Charles e, specularmente, di un paese. La struttura nasce da tre movimenti narrativi: il passato che trapela nell’omicidio, la ruvida prosa del quotidiano dei pescatori che si confronta con il mistero, l’opposizione tra i due fratelli e tra il protagonista e il suo paese. Come corollario c’è l’uccisione di un sopravvissuto che ha lasciato un testamento, la madre dei due gemelli sull’orlo della follia, le figure marginali estromesse dalla comunità. Il vero romanzo che scrive Simenon con I superstiti del Télémaque è precisamente questo, quello di un dramma esistenziale anziché di un noir fatto di svelamenti.
Fécamp e “Il buffone del Saint-Antoine

In merito al ruolo dell’ambiente e del registro dell’autore, vale la pena di rilevare che il porto e il villaggio di Fécamp tornano nel racconto Il buffone del Saint-Antoine che apre la raccolta appena editata da Adelphi Annette e la signora bionda. In questo caso Simenon scrive però col sorriso a fior di labbra. Il protagonista è un giovane marinaio che dovrebbe sposarsi due giorni dopo l’approdo. Conoscendosi, sapendo che finirà con lo spendere tutta la paga della navigazione in bevute e scommesse, lascia il suo denaro al barista di un caffè raccomandandogli di non restituirgli il portafogli per l’intera notte. Peccato che questa precauzione non sia sufficiente e la vicenda prenda altre strade. Anche qui tuttavia, nella misura di un racconto breve, quasi un quadro di costume, lo scrittore belga fa trapelare poco alla volta il suo personaggio osservandolo nel suo ambiente.
La leggerezza di Simenon
Di storie di barche, di porti, di riviere è costellata questa silloge adelphiana che ha come comune denominatore il timbro lieve della narrazione: così avviene nella storia di un immobiliarista che scopre un cadavere nel frigorifero della villa da affittare (Il delitto dello scorbutico) e nella vicenda de Il capitano del Vasco dove il comandante Josse ha come obiettivo principale della sua carriera lasciarsi alle spalle il suo disgustoso capo meccanico e, in definitiva, lieve è anche il registro di Annette e la signora bionda. Ma va annotato che lo scrittore più prolifico del Novecento, e non solo del Novecento, avvicina il racconto soprattutto come una sorta di ridimensionamento del romanzo. L’energia più autentica è altrove.
Marco Conti ©Riproduzione riservata
