
E’ il 2 febbraio 2022, è il giorno dell’orso ed essendo una bella giornata l’orso è tornato nella grotta: farà freddo ancora, gelate, forse pioggia, forse neve, l’inverno continuerà. E’ anche il giorno di compleanno del romanzo di Joyce, Ulisse, un’idea, un paradigma per la narrativa occidentale, stampato e messo in vendita esattamente cento anni fa a Parigi da Sylvia Beach, di cui parlo in un altro articolo qui accanto (Shakespeare and Company, l’Ulisse e Sylvia Beach- Recensioni – Le Muse Inquiete). Un libro che non voleva nessuno per la sua prospettiva audace nell’eros, non perché difficile, come sappiamo tutti, come ci dicono i traduttori. Tra questi Gianni Celati che, nella sua versione einaudiana spiega in prefazione come ci siano nell’Ulisse, non solo i gerghi irlandese, britannico, sopravvivenze del gaelico, ma anche stratificazioni della lingua e «un ventaglio di versioni canterine che sono la spina dorsale joyciana per scavalcare tutti i discorsi e intendersi con diversi richiami musicali: dall’opera lirica alla filastrocca oscena, da un canto gregoriano» «al rumore della carrozza del viceré che passa sul lungofiume (“Clapclap, Crilelap”), dai nursery rhymes a una poesia tedesca sul canto delle sirene».
Le canzoni di James Joyce
Eppure si parla di una giornata del signor Leopold Bloom. Se ne parla soprattutto con la mente, con il sogno, con il monologo con se stessi e come la filigrana di un foglio ovunque compare la canzone, il verso, il rinvio ad una armonia o a un ritmo. Celati scrive che avendo attraversato la traduzione del romanzo come un oceano in tempesta ha avuto l’impressione che Joyce «non riuscisse a pensare a nulla che non fosse un fenomeno musicale al di là di tutte le imperanti categorie di verità logica o di certezza dialettica, che l’Umanesimo ha lasciato in eredità a tutto l’Occidente.»
Un compleanno e qualche domanda sul presente
A distanza di un secolo mentre celebriamo Ulisse c’è tuttavia un pensiero che risulta assai poco celebrativo: oggi Ulisse avrebbe trovato subito uno stampatore, qualcuno come Sylvia Beach ma poi non troppo come lei visto che la libraia aveva sostenuto le spese? Occorse un ventennio perché Joyce, già famoso, fosse remunerato con un contratto editoriale. La differenza sta tutta in questa domanda: oggi ce ne saremmo accorti? Poniamo nel 2032, Joyce avrebbe ottenuto il contratto editoriale? Oppure Ulisse sarebbe rimasto impigliato nel chiacchiericcio dei social, nella marea di cose stampate da piccoli e grandi editori? Sarebbe stato insomma un testo tra gli altri e, come altri, nascosto da un gratuito e cospicuo ottenebramento per effetto dei media? La critica letteraria, o più esattamente cosa è rimasto in sua vece, se ne sarebbe accorta al di là della trasgressione di quelle pagine (il “politicamente corretto” oggi, la sessualità ieri)? E infine: davvero il XXI secolo è in cerca di qualcosa e quel qualcosa non ha niente a che fare con quanto scriveva Marsall McLuhan: « Cedere occhi, orecchie e nervi a interessi commerciali è come consegnare il linguaggio comune a un’azienda privata o dare in monopolio a una società l’atmosfera terrestre»?
