Dentro la storia di Martin Amis

Dentro la sua storia, dentro le storie. L’ultimo libro di Martin Amis, un’autobiografia fatta di narrazioni frammentarie tematicamente riprese nel corso del tempo, di perlustrazioni nella fucina del romanzo,  conferma benché non ce ne fosse bisogno, l’originalità di questo scrittore immerso da sempre nella letteratura: figlio di una scrittore, sposato con la scrittrice Isabel Fonseca, vissuto tra autori cruciali del secondo Novecento inglese e americano. Ce n’è abbastanza per farne un modello e uno specchio dell’autofiction più sofisticata ma non per questo meno autentica. Scritto in prima e a tratti in terza persona,  La storia da dentro. Come scrivere  è un corposo memoir del 2020 (Inside story il titolo originale)  la cui pubblicazione in Italia è avvenuta qualche giorno dopo la morte dell’autore a 73 anni. Molti sono i fili narrativi che vi compaiono come, in misura minore, accadeva nel precedente romanzo autobiografico Esperienza dove il tema dominante era il rapporto con il padre, Kinglsey, autore che fece parte della generazione letteraria dei “giovani arrabbiati” (quegli angry young man di cui si ricordano soprattutto le opere di John Osborne e Alan Sillitoe e, per l’appunto, di Kingsley Amis per il suo Lucky Jim nel 1954).

Vita e opera

Indubbiamente il sottotitolo dell’opera ci mette sulla strada giusta: come scrivere…Non fosse che questa locuzione interpella l’intero mondo di Martin. E dunque l’adolescenza, dunque il primo libro, il primo amore, la cerchia di autori con i quali spende la giovinezza e la maturità: il premio Nobel Saul Bellow, nume tutelare di cui  Amis  ricorda battute e tesi, il poeta Philip Larkin, presenza casalinga in compagnia del padre Kingsley, il saggista Christopher Hitchens, Vladimir Nabokov che l’autore chiama amichevolmente Twin Peaks, la romanziera e filosofa Iris Murdoch, l’amicizia con Salman Rushdie divenuta più salda e sodale dopo la fatwa pronunciata contro “Versetti satanici” e gli scrittori suoi coetanei Julian Barnes e Ian McEwan. In questo modo commento letterario e vita emotiva si intrecciano indissolubilmente come quando scrive, nelle prime pagine: «E’ quasi inevitabile che i romanzi prodotti da scrittori poco più che ventenni siano liberamente autobiografici. “ Scrivi di ciò che conosci e di ciò che hai vissuto” è divenuto un consiglio prezioso assai diffuso; ma intanto è quello che faresti comunque, volente o nolente, perché su tutto il resto sei uno sprovveduto. Così ho messo “Rachel” nel mio primo libro, addirittura nel titolo (Il dossier Rachel). Quando uscì, lei lo lesse e mi telefonò. Ci incontrammo e quella notte ci rimettemmo insieme.»

Phoebe

Ma la storia amorosa che tra balzi, dossi e interrogazioni percorre gran parte del libro fino a rispuntare negli ultimi paragrafi è quella con una donna sensibilmente più vecchia di Martin, vale a dire Phoebe Phelps,  un personaggio singolare e trasgressivo la cui infanzia è stata traumatizzata dalle attenzioni sessuali di un insegnante, che Martin  rivede anziana ma capace ancora di sorprenderlo: «Martin incontrò Phoebe – no, la abbordò, la sedusse – un pomeriggio di aprile in una via laterale vicino a Notting Hill Gate. Il cuore dell’operazione fu una cabina telefonica.»

E’ il 1976 e nel 2017 ecco che Phoebe settantacinquenne invita l’ormai famoso scrittore a casa sua per rileggere un episodio del passato, un motivo di divisione: «Anche tu sei sputato Kinglesy, pezzo d’idiota – gli dice l’anziana innamorata – E sei davvero un pezzo d’idiota. E’ quello che ti impedisce di essere del tutto palloso…Vedi,  Martin, il problema è che tu sei nel flusso, sei nella corrente. Volevi bene ai tuoi genitori e adesso vuoi bene ai tuoi figli. E per questo ti odio. Io sono come una di quelle squilibrate su Internet. Perché io, io sono fuori della corrente. Fuori. Sono io quella come Larkin.» Un riferimento alla vita appartata del poeta di “Finestre alte” che nel libro comparirà in diversi momenti e fino ai suoi ultimi giorni.

Così, presa una raccolta di poesie di Larkin, Phoebe cita Il guaritore: «Dorme in ciascuno/ un senso di vita vissuta secondo l’amore». Nella stessa conversazione la donna lo libera anche da ogni vincolo di intimità: «Ho letto una cosa su di te sul “Dayly Mail”. Su di te e sul romanzo  in cui sostiene di voler raccontare tutto. Sappi che su di me puoi dire qualsiasi cosa. Qualsiasi. Non cambiare neppure il nome. Una cosa, Martin. Mi amavi? Io credo di sì, altrimenti come avresti resistito? Io sentivo il tuo amore, e mi piaceva; un po’ fingevo, ma non riuscivo a ricambiarlo. Come l’asma. Puoi inspirare, ma non espirare. Scusa, ma non ci riuscivo.»

La scrittura di Amis

Tornando indietro dalla pagina appena qui citata, dove si svolge la scena dell’incontro di Martin e Phoebe, a pagina 37, ovvero al capitolo “Linee guida”, leggiamo invece che l’autore, parlando dell’approccio ai romanzi, dopo aver spiegato che l’esordio è legato al vissuto autobiografico, scrive: «Adesso immagina per un istante che la stessa Phoebe sia immaginaria: ispirata alla vita solo molto vagamente, un personaggio inventato in un romanzo inventato. Mentre mi accingo a modellarla, come procederei? Beh, innanzitutto prenderei Phoebe e ne stilizzerei l’aspetto e la sensibilità, ricorrendo in gran parte a grossolane esagerazioni (questa parte è sempre divertente). Poi la caricherei gradualmente di qualità che rispondano al progetto generale del romanzo che sto cercando di scrivere (argomenti, temi, modelli, immagini e tutto il resto). E lei dovrebbe comportarsi bene, senza mai scostarsi dalla parte assegnatale. A quel punto, dopo tutti questi rimaneggiamenti, la Phoebe originale sarebbe scomparsa, sepolta come un fossile sotto i sedimenti dell’invenzione.  Questo romanzo non è liberamente e rigorosamente autobiografico. E per avere diritto di comparire  in un’ opera simile hai bisogno solo di storicità. Basta che tu sia realmente accaduto…e sei dentro.»

I romanzi

Martin Amis nel 2007 (Wikimedia)

Insomma…Si inventa dove è il caso, dove l’esperienza non sorregge, dove l’immaginario la sostituisce o chiama altrove. Senza la libertà dell’immaginazione  e il piacere di poter scegliere il destino del personaggio, la narrazione sarebbe poca cosa e non ci sarebbero i romanzi cruciali di Amis: innanzitutto  Money  (1984) il suo capolavoro, inserito dal Times tra i cento migliori romanzi  in inglese dal 1923 al 2005. E’ un ritratto della nostra epoca attraverso la figura di un protagonista affamato di denaro, sesso, droga, alcool, e abbastanza lucido per osservarsi nei dettagli più infimi. Il parlato monologante di John Self con il suo cinismo, l’autoironia, il piacere per la caricatura e il dettaglio realistico ne fa un personaggio paradigmatico, scavato nel suo tempo: «I miei abiti sono fatti di gluttamato monosodico ed esaclorofene. Quello che mangio è fatto di poliestere, rayon e lurex. Le lozioni che uso per i capelli contengono vitamine. Chissà se le vitamine che assumo contengono detergenti? Lo spero. Al funzionamento del mio cervello è preposto un microprocessore delle dimensioni di un quark che, per un costo di dieci penny, smaltisce tutto il lavoro. Quanto a me, sono fatto di…spazzatura, anzi sono spazzatura.» Il plot standard del realismo sociale che informa una parte cospicua della narrativa è osservato e utilizzato da Amis per essere fatto deflagrare in maniera ben più radicale di quanto non accadesse con gli angry  young man. Postomodernità che si estende nella libertà della forma rintracciabile anche nell’uso del thriller che Amis farà con London Fields (“Territori londinesi”), del 1989, dove il narratore racconta l’incontro con una giovane che crede di sapere che sarà uccisa da un buono a nulla. Uno straniamento simile o opposto a quello de La freccia del tempo nel 1991dove la vita del protagonista, un criminale nazista, è raccontata in prima persona ma a ritroso: dalla morte alla nascita. E’ curioso (ma non poi troppo vista l’aziendalizzazione della letteratura in corso) che siano sfuggiti ad Amis i premi più prestigiosi tranne il S. Maugham per il primo romanzo.

Il presente, il futuro, il narratore inaffidabile

Il mondo corre in fretta più di quanto non sia mai accaduto nel passato. Amis ha la sensazione che ciò sia diventato ben visibile a tutti con l’attentato terroristico alle Twin Towers l’11 settembre 2001. Per questo, dice,  anche il romanzo ha abbandonato alcuni elementi di forza del modernismo. Per esempio il narratore inaffidabile, personaggi come Zeno Cosini (Svevo), come Holden Caufield (Salinger) e  il flusso di coscienza sono «binari morti» e, per questo, la poesia «cederà altro terreno (come prima o poi potrebbe succedere anche al romanzo letterario), diventando un campo di interesse minoritario, più ombroso e più appartato…». Secondo lo scrittore il motivo che unisce rapidità dei mutamenti e  forme letterarie si spiega attraverso un terzo elemento; il fatto che la narrativa romanzesca oltre ad essere una forma razionale e morale è anche una forma sociale: «Per questo il realismo sociale, da sempre il genere dominante, è diventato l’egemone indiscusso». Da qui la necessità di diventare “ospiti”, vocabolo che, ricorda Amis, indica sia chi accoglie, sia chi è accolto. «E voglio che tu mediti – aggiunge riferendosi a sé – sulla terribile importanza delle pagine iniziali». Ed ecco le prime parole di La storia da dentro: «Benvenuto! Fatti avanti, questo è un piacere e un privilegio. Lascia che ti aiuti. Dammi il cappotto, lo appendo qui (Oh, per inciso, il bagno è da quella parte). Perché non ti siedi sul sofà….».

Marco Conti

Martin Amis, La storia da dentro. Come scrivere, trad. G. Bona, pp. 657, Einaudi, 2023; euro 25,00

 

 

 

 

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