Raffaela Fazio, “Gli spostamenti del desiderio”

Innanzitutto libro, e non raccolta di poesia, Gli spostamenti del desiderio di Raffaela Fazio, scrive più di quanto non annunci il titolo. In una nota l’autrice avverte che «il desiderio ridefinisce il senso del reale» e il lettore ne ha subito nozione perché il desiderio di cui parla Fazio non ha i connotati lineari di cui parlano Deleuze e Guattari trasformandoci in «macchine desideranti». Dalle sei sezioni in cui è divisa l’opera, scaturisce invece una visione dell’esserci, dell’essere al mondo, in cui il desiderio è alleato, misura e inganno, specchio e tensione verso una nozione di verità che coincide con il vissuto. Ma proprio qui si stendono, giganti, le ombre della memoria e dell’immaginario: «Come si riduce la lontananza tra due stati della coscienza o tra due vissuti diversi?».

Da questa radice etica Raffaela Fazio fa emergere una voce lirica in cui il verso spicca tra settenari e quinari con una pronuncia tersa dove l’immagine è netta ma sorprendentemente duttile al discorso dialettico. Forse uno dei gli esiti più alti è rintracciabile nel testo che anticipa la prima sezione:

Non la cerco

per lasciare il bosco

(se è nel bosco

indicibile la vita)

 

o come chi si arresta

a un cerchio di radura

 

la cerco per vederla

dentro la foresta

anche nel folto dei fantasmi amati

declinati

             a seconda del dolore

 

qualcosa di vivo

personale, che resta

parziale ma non mente

(comune la sorgiva)

onnipresente seppure discontinuo

 persino in ciò che tace

o dice

sia il vuoto sia l’eterno

oltre il confine

 

e nel fitto dei racconti umani

luce che filtra

                     come un sogno ripetuto

 pare si spezzi

e invece si rivela

                    (a unire i tempi

                     a renderli reali)

filo abissale

                     materna chiarezza.

Black-Out

La prima sezione – anticipa Alfredo Rienzi nella prefazione – è posteriore alle altre perché  dovuta a «un lutto improvviso, la perdita di una persona amata» di cui il verso è testimone della necessità di condividere  «l’aura di vita», come preciserà l’autrice citando Proust in epigrafe. E’ un luogo  dove si abita a lungo benché La memoria sia un campo di mine. E non si lasci abitare. Proprio questo sentimento di appartenenza e dolorosa vacuità ha accenti particolarmente intensi: «Qui dove nessuno/ mi conosce né io nulla conosco/ cani randagi case non finite/ cose a logo agio/ nella sospensione o nella fuga/ mi scopro più vicina/ a te che come me/ non sei in nessun luogo.»  Il paesaggio diviene correlativo di uno straniamento: «A un angolo di strada/ mi aspetto una sorpresa e la sorpresa/ è questo mio improvviso/ aspettarti», scrive in “20 giorni dalla tua morte”. Il sogno si fa così carne, il mondo fittizio replica il dettato della realtà più intima.

A dispetto dell’architettura complessiva dell’opera, così puntuale, “Black-Out”  consegna versi di un registro più diretto e immaginoso pur restando nel contesto di una scrittura che con costanza cerca linearità e intensità:

Nessuno ha detto tutto in vita.

Chi muore soffia

attraverso la fessura

un vapore di nubi

per chi resta

E altrove nella medesima sezione:

A cosa tenermi?

Il mare è grosso. La terra ferma

non esiste:

come si legge l’accaduto quando accade?

Le immagini

Se il discorso lirico di Raffaela Fazio cerca innanzitutto di restare tale, dunque  in controtendenza rispetto a numerosi percorsi che, dalla fine del ‘900 ad oggi, prediligono il frammento e l’ellisse quando non la polverizzazione dell’immagine,  l’autrice fa dell’imago un momento essenziale con la scorta della filosofia di Jean-Jacques Wunenburger per cui l’immagine è mediatrice tra la conoscenza del reale e la dissoluzione dello stesso: in versi il paradosso di «la nebbia che trattiene/la nebbia che nasconde». D’altro canto Fazio è di pari passo autrice di numerosi studi sull’arte cristiana: uno sguardo da cui nasce in definitiva il desiderio di forma che, in questo libro, è uno dei dati più evidenti, sottolineato persino dal cemento dei parallelismi fonici (spesso l’assonanza) frequentissimi nel dettato poetico. L’immagine è altrettanto spesso il segno decisivo e la radice di un discorso prevalentemente interrogativo e allusivo: «nel freddo le dita/ si muovono invano/ il corpo si piega/ in avanti col piede/ che incrina/ la lente del lago»; «negli anni il mistero/ si sposta tra le cose:/ una scatola di latta/ sotto il letto/ una biglia che scompare/ un biglietto/ tra i cuscini del divano».

Per contrappasso ecco però comparire una sequenza in cui il desiderio si declina e definisce attraverso la cecità paradigmatica presente in quattro opere narrative, e in altrettanti personaggi che con la cecità si confrontano: la moglie del medico in “Cecità” di José Saramago (l’unica vedente in un universo di ciechi che concluderà come la sola, autentica visione, sia quella della mente); Nasten’ka (protagonista delle “Notti bianche” di Dostoevskij) il cui desiderio è tenuto a bada da uno spillo che la unisce alla nonna cieca; la sapiente “signora-del-villaggi-dei-fiori-che-cadono” (in “Novelle orientali” di Margurite Youcenar) e infine il cieco, ospite di un tranquillo e cinico borghese in “Cattedrale” di Raymond Carver, a cui Fazio fa  recitare in chiusura: «Amico, non ho nessun ricordo./ Non vedo, tu non credi./ E non ci conosciamo. Ma insieme in una notte costruiamo/ la prima cattedrale». Dunque la visione più che lo sguardo, l’essenza oltre l’eidolon: «E’ il cuore che detta/ la prima visione/ (…) Ha il difetto di vedere/ ciò che è suo/ solo come vivo».

Math-Cuts e altro

Senza accenti polemici ma proseguendo l’architettura del libro intesa a riconoscere la verità e semmai a scalzare il Velo di Maja, la terza sezione, “Match cuts”, è una ricognizione nel mondo artificiale. Raffaela Fazio prende allora in consegna la cinematografia recente, da “Inception” di Christopher Nolan ad “Artificial Intelligence” di Steven Spielberg, per introdurci nelle terre dei nuovi Pinocchio, e concludere così con i versi di “Perfetto” che al film di Spielberg si collega (in riferimento alla vicenda di un robot programmaticamente affettivo, allontanato dalla famiglia adottiva):

Non sono

un conto che ritorna

un vuoto che si colma.

                     Sono soltanto

il tempo che mi presti

la cura con cui vesti la mia non-adesione

il modo in cui mi vedi

                  oltre lo sbaglio.

In sintonia la penultima sezione, “Retina oscura”, racconta le apparenze, ovvero quelle fisionomie del reale riconducibili alla contingenza: «Realtà – suggerisce l’autrice – è la forma dell’apparenza?» Forse c’è qualcosa che vuole la nostra attenzione quando l’albero «prende la forma/ di ciò che premeva e che preme/ diventa il suo inizio/ in attesa di un becco// è già seme»?

Come osserva Giancarlo Pontiggia nel risvolto di copertina, il libro procede da una messa a fuoco continua che si era delineata nei titoli precedenti: in Midbar (ispirato a narrazioni dell’Antico Testamento), con gli archetipi femminili evocati da Ti slegherai le trecce e con Meccanica dei solidi dove personaggi qualsiasi diventano vittime ed eroi per aiutare gli altri. Diversa e analoga è invece la galleria di figure convocate nell’ultima sezione dell’attuale libro, “Tra occhio e parola”, dove parlano tra le altre le esperienze di Sophie Scoll ed Etty Hillesum: la prima, attivista tedesca del movimento di opposizione al nazismo La rosa bianca, condannata a morte; la seconda ebrea olandese deceduta ad Auschwitz a 29 anni preferendo condividere il destino  della sua comunità anziché cogliere una occasione per salvarsi.

Marco Conti

Raffaela Fazio, Gli spostamenti del desiderio, pp. 164, Moretti & Vitali, 2023; euro 14, 00

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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