La lettura del vocabolario è più importante dell’ispirazione, l’immedesimazione del narratore con il personaggio è l’atto creativo fondante di una narrazione, la distanza dello scrittore con la materia narrata è ugualmente vitale. Sono consigli di Sebastiano Vassalli contenuti negli appunti con i quali ha parlato del mestiere di «raccontare storie» nei suoi corsi di scrittura. Lezioni, interventi occasionali, fogli di note sparse redatti tra il 1992 e il 2005, compaiono oggi in un volumetto introdotto da Roberto Cicala, Il mestiere di Omero. Come scrivere per raccontare storie.
Le prime pagine sembrano voler procedere con un approccio organico. In realtà Vassalli cita Omero e la figura eroica di Ulisse, per spiegare attraverso i miti la straordinaria stratificazione culturale dell’Occidente e per dirci che il sapere letterario non è inutile: «Quale progresso avrebbe avuto il genere umano, senza la memoria e senza le storie che ne sono il tramite?» Ma tra narrazione e scrittura si apre un varco di secoli: la letteratura nasce solo come prolungamento della vita umana e ulteriore mito augusteo nel momento in cui l’imperatore affida a Virgilio il compito di narrare la fondazione di Roma. Così «per noi, oggi, raccontare storie significa scrivere storie.» E con un passaggio altrettanto rapido ma di cruciale esattezza, Vassalli avvicina la postmodernità e la metaletteratura: «A forza di registrare, nei secoli, le nostre storie, la scrittura è diventata un universo parallelo a quello delle cose reali, con leggi e percorsi suoi propri e con una tendenza all’assoluto (al suo assoluto) che è forse il maggior ostacolo, nel presente, all’arte di narrare.»
Narrazione e scrittura
La letteratura come ostacolo? Sebastiano Vassalli parla della stagione che ha fatto della letteratura un oggetto narrativo. E ne può ben parlare perché è stato uno dei protagonisti di quel periodo per quanto ne abbia poi rifiutato ogni pretesa. In Italia la neoavanguardia, il Gruppo ’63, si adoperò per rimuovere il realismo promuovendo la pagina di scrittura come evento del linguaggio. Con Narcisso e Tempo di màssacro, Vassalli entrò nel laboratorio linguistico della sperimentazione per poi uscirne in modo definitivo con la storia di Dino Campana, La notte della cometa. Lo scrittore ne fa direttamente cenno in questi appunti posteriori senza citare di quel periodo le sue opere, e scrive: «Chi, come me, è nato circa la metà del secolo scorso in un Paese europeo, si è sentito ripetere in molti modi da molti maestri che tutte le storie, nel mondo, erano già state scritte e raccontate; che non c’era più nulla da raccontare, e che l’unica impresa lodevole e sensata era quella di raccontare il nulla. (Cioè la scrittura). Invece, il mondo è un gomitolo di storie che aspettano ancora di essere dipanate e raccontate: oggi come ai tempi di Omero». E in un altro inciso aggiunge: «Le avanguardie sono le malattie senili dell’arte».
Si comprende allora che le fonti della narrazione sono state chiamate in causa proprio perché Vassalli insiste sulla centralità delle “storie”, vale a dire sull’atto del narrare, la fabula direbbero i formalisti, contro una visione libresca e analitica della letteratura: «Il mio mestiere è scrivere storie. Raccontare storie, non scrivere storie. La relazione con la scrittura è importante ma non determinante.»
Il corteggiamento
Il laboratorio di scrittura di Vassalli inizia con il rapporto che lo scrittore intrattiene con il soggetto della storia e il suo protagonista. Lo scrittore comincia con l’ideazione: «La prima fase, quella del corteggiamento, è immune da scrittura» mentre coinvolge invece l’immaginario e la categoria delle possibilità. Scrivere è la seconda fase, «un bosco intricato e impenetrabile», dove si innesca la paura di mettersi davanti ad un foglio bianco per dare forma all’informe. Ma a questo punto sarà meglio per l’autore conoscere bene il territorio da attraversare. La documentazione personale, la conoscenza dei luoghi e delle persone che vi si muovono. Tuttavia luoghi reali e immaginari dovranno ugualmente essere costruiti con la fantasia per sostenere il peso della storia e dei suoi personaggi. «Per quanto mi riguarda – chiosa – posso dire che raccontare storie del passato e con personaggi realmente esistiti, non è molto diverso né più faticoso che raccontare storie del futuro o dell’altrove.»
Più in dettaglio Vassalli raccomanda di avere un progetto per potersi orientare, una “scaletta”. Poi inizia quello che per John Gardner, autore del “Mestiere dello scrittore”, era il lavoro faticoso, un lavoro da contadini. «La prima stesura è per lo scrittore di storie ciò che è il blocco di marmo per lo scultore». E’ il momento più duro perché successivamente l’autore lavorerà su quelle pagine per quanto, in qualche caso occorra procedere a più stesure. Come diceva Marguerite Yourcenar: «Si consuma molta carta».
Altri appunti
Vassalli ha scritto raramente versi ma ritiene che la poesia sia «la religione delle parole». Senza entrare nel merito del linguaggio, sembra però propendere per una visione che fa della lirica un mondo a sé, che «niente ha a che fare con la cultura e l’abilità di maneggiare parole: la poesia accade.» Interpretazione antica e inspiegata. Né il richiamo ai casi di Rimbaud (sedicenne eruditissimo sulla poesia del suo tempo) e a Campana (tutt’altro che sprovveduto in materia), sono criteri esemplari di giudizio. Tanto più che lo stesso Vassalli ci convince appieno quando, in termini generali, parla della scrittura come distanza e dello specchio di Alice in contrapposizione a quello di Narciso. «Lo specchio di Alice è il linguaggio e la prima distanza è quella tra le parole e le cose. Il secondo passo oltre lo specchio: l’assenza. Vedere il mondo senza di noi. Vederlo come può vederlo il ciottolo o il filo d’erba». Viceversa, in questa suddivisione, lo specchio di Narciso è traslato della semplice mimesi, della riproduzione della realtà. Rispetto allo status della poesia appena enunciato, si tratta di una contraddizione che lo stesso scrittore fa rilevare.
I consigli al giovane esordiente cui si rivolgono queste note sono numerosi: «Non cercare mai le storie. Vengono da sole. Non imitare nessuno (i sudamericani, Hesse, il “genere patacca”); non scrivere mai “alla maniera di”; dimenticare tutto ciò che si è letto. Siete soli voi e la storia, nel deserto della scrittura». E altrove: «Soprattutto sono importanti i personaggi. Le grandi storie si fanno con i grandi personaggi. I grandi personaggi devono essere costruiti al di fuori dell’autore (non sono lui), ma vivono con la sua vita e vedono con i suoi occhi.» E infine una nozione di modernità della narrazione: la necessità di dire tutto senza spiegare, di dire semplicemente raccontando.
Marco Conti
Sebastiano Vassalli, Il mestiere di Omero. Come scrivere per raccontare storie, (a cura di Roberto Cicala), pp. 89, Interlinea, 2022, euro 14,00