Michel Houellebecq ama la poesia. Ma come ogni poeta detesta i cliché. Forse per questo il primo articolo compreso nel volume Interventi è un vigoroso attacco alla fortuna di Jacques Prévert. Prévert è presente nei libri di scuola, è entrato nella prestigiosa “Pléiade” e soprattutto rappresenta un’idea di poesia condivisa, facile, fatta spesso di giochi di parole. Evocando quel mondo lirico, Houellebecq scrive: «Ci sono graziose ragazze nude, borghesi che sanguinano come maiali sgozzati. I bambini sono di una simpatica immoralità, i mascalzoni seducenti e virili, le graziose ragazze nude offrono il proprio corpo ai mascalzoni; i borghesi sono anziani, obesi e impotenti, insigniti della Legion d’onore con mogli frigide; i parroci sono vecchi bruchi disgustosi che hanno inventato il peccato per impedirci di vivere. Conosciamo bene tutto questo. E’ preferibile Baudelaire.» L’autore di Estensione del dominio di lotta non sopporta in sostanza la mediocrità, un vocabolario di trasgressioni passato ormai agli archivi della buoncostume, il surrealismo da chansonnier. «L’intelligenza non aiuta affatto a scrivere belle poesie – commenta – tuttavia può evitare di scriverne di pessime.»
Scrittore combattuto da una visione catastrofica dell’Occidente di questo XXI secolo, altrettanto deciso a contestare la bugiarda proiezione di un futuro migliore dell’imperante credo liberista tanto nella narrativa che in questi articoli, Houellbecq è tuttavia interessato al linguaggio lirico fin dagli esordi. Nel 1991 pubblica un saggio su Lovecraft e una prosa frammentaria, Rester vivant, dove l’interesse per la poesia si unisce a una visione schopenhaueriana: «Il mondo è sofferenza dispiegata. Alla sua origine, c’è un nodo di sofferenza. Ogni esistenza è espansione e frantumazione.» E altrove: «Il primo passo della poesia consiste nel risalire all’origine. Vale a dire alla sofferenza». Ma proprio per avversione ai cliché, al modernismo, al Rimbaud condiviso di «occorre essere assolutamente moderni», scrive a questo proposito: «Non vi sentite obbligati ad inventare una forma nuova. Le forme nuove sono rare. Una per secolo è già molto. E non sono necessariamente i poeti più grandi ad esserne l’origine.» Visione che dovrebbe essere più insistita davanti ai molti autori di cruciverba in versi.
La bontà contro i sistemi
Il senso della lotta, nel 1996, intercala strofe in alessandrini rimati a stralci di prosa. Vi si fa strada il disagio, un sentimento di non appartenenza legato alla vita contemporanea: «Le antenne della televisione,/ come insetti ricettivi,/ s’aggrappano alla pelle dei prigionieri/i prigionieri rientrano a casa».
La leggibilità del verso di Houellebcq non fa velo però a una sostanziale presa di posizione per il linguaggio alogico della lirica moderna. In un colloquio con Jean-Yves Jouannais e Christophe Duchâtelet dove gli interlocutori chiedono quali sia l’elemento unificante dei suoi primi libri (Estensione del dominio di lotta, Restare vivi e la nuova raccolta di poesie La ricerca della felicità), Houellebecq, non ha esitazioni: «In primo luogo, credo, l’intuizione che l’universo sia fondato sulla separazione, sulla sofferenza e sul male; la decisione di descrivere questo stato di cose, e forse di superarlo. Il problema dei mezzi – letterari o no – è secondario. L’atto iniziale è il rifiuto radicale del mondo così com’è; nonché l’interesse per le nozioni di bene o male, la volontà di approfondire tali nozioni, di delimitare la loro egemonia, anche all’interno di me stesso.» In questo contesto, Houellebecq dice di rifiutare i sistemi gerarchici fondati sulla nascita o la fortuna, la bellezza o la forza fisica, l’intelligenza o il talento…«Tutti sistemi che ai miei occhi hanno qualcosa di spregevole; sistemi che rifiuto; l’unico fattore di superiorità che riconosco è la bontà. Oggi ci dibattiamo dentro un sistema a due dimensioni: l’attrazione erotica e il denaro. Da lì deriva tutto il resto, la felicità e l’infelicità delle persone.» La bontà dunque. Una sortita inattesa in un mondo che sembra collocare la bontà con le preghiere del mattino. Tant’è che, nell’articolo successivo, Houellebecq conferma di essere stato interpellato in proposito. Non ne discuterà in dettaglio, ma l’impressione è che la bontà sia la virtù citata come contraltare di un secolo disposto ad accoglie e omogeneizzare anche il cinismo se condito da un appropriato bon ton ovvero di politically correct.
I quanti di Bohr e la poesia
Scorrendo le pagine di Interventi, tra un testo che accompagna un’installazione mobile al Centre Pompidou di Parigi, gli apprezzamenti antieuropeisti e un conservatorismo distante da ogni idea corrente e scontata, il tema della poesia si precisa ulteriormente con l’analisi del linguaggio svolta da Jean Cohen: «La poesia non è la prosa più qualcos’altro, è altro». Non è solo la moltiplicazione di significati, non la trasparenza di un significato soggiacente, ma piuttosto una «parola differente in relazione alla medesima realtà». Una lettura che propone in definitiva una diversa visione del mondo, alogica, rispetto alla lingua ordinaria: Secondo Michel Houellebecq questo linguaggio ha un significativo punto di contatto con le proposizioni del fisico Niels Bohr in merito alla teoria dei quanti. «La poesia è la dimostrazione che l’impiego sottile e in parte contraddittorio del linguaggio comune aiuta a superarne i limiti. Il principio di complementarietà introdotto da Bohr è una sorta di gestion fine della contraddizione».
In termini più dettagliati, l’interpretazione del mondo referenziale può migliorare introducendo più punti di vista nello stesso tempo. La poesia, conclude lo scrittore, non è l’assurdo ma «l’assurdità resa creatrice».
Marco Conti
Michel Houellebecq, Interventi, pp. 476, La nave di Teseo, 2022, euro 22,00.