La storia autobiografica di uno scrittore che avverte il rischio di una frattura imminente della civiltà
Il presente, le nubi più inquiete e inquietanti e un male che, pur non avendo profilo metafisico, è ubiquo, capace di sbocciare «qui e là nel continente come un fiore marcio». Per questo Paolo Giordano intitola il suo ultimo romanzo Tasmania, vale a dire il paese in cui si potrebbe scappare in caso di apocalisse. «E’ abbastanza a sud per sottrarsi alle temperature eccessive. Ha buone riserve d’acqua dolce, si trova in uno stato democratico e non ospita predatori per l’uomo. Non è troppo piccola ma è comunque un’isola, quindi più facile da difendere.» Lo spiega un climatologo, personaggio cruciale di queste pagine dove il basso continuo di una frattura imminente della civiltà si sposa con la lacerazione privata nella vita del narratore.
Giordano scrive con Tasmania un romanzo autobiografico (o di autofiction, a voler credere che vi sia una differenza e quindi sia autofiction anche la Recherche proustiana) dove un momento di difficoltà personale del protagonista e narratore incontra il disorientamento dell’epoca. La prima pagina traccia i confini di questo disagio con chiarezza: Paolo, nel 2015, si trova alla conferenza sull’emergenza climatica ma chiarisce che «se non ci fosse stata», «è probabile che avrei inventato un’altra scusa per partire».
Autobiografismo e storia
L’autobiografismo di Tasmania è costruito facendo del disorientamento del protagonista il fulcro della storia e consegnando alla prospettiva del suo pensiero i temi che vi si affacciano: non solo il cambiamento climatico, ma l’instabilità politica, la minaccia dell’olocausto nucleare, un certo costante sradicamento nella vita dal mondo di ieri siglato, di sfuggita, dalla lettura del saggio di Jared Diamond, Collasso…Mentre il tempo della storia è quello della pandemia.
Il lavoro di pubblicista porta intanto lo scrittore a diventare una sorta di globe trotters: ora a Parigi per la conferenza sul clima e per aiutare Giulio, un amico impegnato un divorzio problematico, ora di ritorno nel suo paese ma ospite di un albergo, ora in Giappone dove si ricorda la ricorrenza delle bombe su Hiroshima e Nagasaki. Ma a ben guardare il disagio del narratore è analogo a quello dell’amico che, grazie ad un anno sabbatico, si sposta in Sudafrica e frequenta un corso per diventare ranger di un parco; così come è un disagio, seppure di segno diverso, quello del climatologo Novelli, docente universitario, ospite di successo della televisione francese, e personaggio in dissidio con i diktat del “politicamente corretto” quando si sente rifiutato. Giordano sembra introdurre in questo modo anche l’ennesimo tarlo del XXI secolo, vale a dire un narcisismo feroce che l’Occidente ha spalmato su ogni superficie utile e inutile.
Nessuna catarsi
La catarsi? All’orizzonte non se ne vede traccia. Paolo torna tra le braccia della moglie dopo un distacco mai dichiarato e in realtà circoscritto ai problemi di infertilità, all’assenza di slanci a un partouze imbarazzante. Ma la riconciliazione ha il valore di un inciso nell’economia della narrazione. Ogni percorso prosegue nella prosa distaccata e dolente che stabilisce il registro generale del romanzo e che emblematicamente si chiude sulle riflessioni del “flash” che incenerì due città giapponesi.
Tra le implicazioni formali di Tasmania c’è l’assenza di un ambiente mentre ognuno dei personaggi prende forma unicamente in funzione del narratore. Fa eccezione il climatologo Jacopo Novelli che del proprio tempo ha una nozione più precisa. L’uomo che scruta le nuvole non ha ottimismi e neppure incertezze. Della vita politica dice che non esistono più autentici schieramenti e diversità. Ognuno in sostanza potrebbe tutt’al più schierarsi per la verità o contro la verità. Con queste convinzioni non demorde neppure quando, dopo aver perso il concorso per la sua cattedra, decide di esibire uno studio statistico per dimostrare che le donne scienziate sono favorite, guadagnandosi con ciò la censura del suo ambiente.
E’ Giulio, l’amico impegnato come ranger in Sudafrica, a fornire invece un contraltare, sia ai dubbi del protagonista, sia alla visione e al narcisismo di Novelli: «C’è qualcosa di diverso qui, mi scriveva, come un’appartenenza profonda. Gli animali ti riconoscono e tu riconosci loro. Abbiamo coabitato per millenni, ci siamo mangiati a vicenda. Adesso ci facciamo mangiare solo da avvocati e psicologi.»
Ma il racconto di Giulio (e quello simbolico sugli uccelli che guidano gli uomini al miele) non convince il narratore benché progettare e sognare siano attributi del tutto umani e Giordano sembri spargere, qui e là, come briciole di pollicino, qualche labile segno di riscatto. Come le nuvole che il protagonista osserva con l’esperto: «L’umanità guardava lo stesso cielo da migliaia di anni, eppure nuove configurazioni venivano ancora scoperte e classificate.»
Marco Conti
Paolo Giordano, Tasmania, pp. 258, Einaudi, 2022, euro 19,50