
Il Cile, la rivolta contro il carovita, la vita di scrittore. Luis Sepulveda raccontava con la leggerezza delle allegorie ma la sua vita personale, le sue passioni, erano ben conficcate nella storia del suo Paese. Lo si è capito subito lo scorso 23 ottobre, a Milano, durante uno degli ultimi incontri che ha avuto con il pubblico italiano, durante il calendario dello Zacapa Noir Festival. Fitta chioma di capelli, pizzetto, occhiali, Sepulveda si è seduto accanto a Mirko Zilahy e ha cominciato a raccontare, a commentare il Cile di quei giorni riprendendo le parole del presidente cileno che parlava della protesta, della “guerra” contro l’impoverimento della popolazione. «Siamo in guerra? In guerra con chi?» ha ammiccato polemicamente.

Guerra contro i poveri
Sepulveda cercò di spiegare che dopo il colpo di stato del 1973 (11/09/73), dopo i sedici anni di dittatura di Pinochet, credeva che tutto fosse superato. E ora in questa democrazia, «non certo la democrazia sognata in quei giorni lontani… il Presidente dichiara di essere in guerra. Contro chi?» La risposta disse lo scrittore era scontata: «Contro los pobres», contro i poveri. La voce nitida in buon italiano raccontò a lungo del Cile prima del 1973, dell’industria nazionale, del tessile, della lavorazione del rame, dell’industria degli elettrodomestici, di quello slogan «si es chileno es bueno» di tutto ciò che doveva costituire la rinascita e l’orgoglio del lavoro e che dopo il golpe è scomparso.

“Libri scritti per piccoli cretini”
Ma nell’incontro milanese si diffuse anche sulla sua opera, sul piacere di scrivere. E’ nel 1973 che inizia il suo esilio: per dieci lunghi anni Sepulveda ha vissuto ad Amburgo. In questa città nasce anche il suo libro più celebre Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. «Era un giorno di pioggia ed ero andato alla biblioteca pubblica per prendere dei libri per i miei tre bambini. Nell’attesa che spiovesse mi fermai in un bar, ordinai una birra e cominciai a leggere quei libri per l’infanzia», raccontò. Disse di aver provato un’indignazione terribile perché per lui i bimbi sono persone di pochi anni e quei libri sembravano scritti «non per piccole persone ma per piccoli cretini». «L’immaginazione dei bambini non ha limiti, non ha frontiere – disse – e i libri dovrebbero conservarla, alimentarla anziché spegnerla». Proprio allora si disse che avrebbe scritto per lettori di pochi anni, che quella sarebbe stata una sfida. «Avrei scritto una storia alla quale il piccolo lettore avrebbe partecipato con la sua immaginazione, avrei democratizzato la letteratura».
Le favole

Le favole di Sepulveda, come nella tradizione classica hanno come protagonisti gli animali: la gabbianella, il gatto, la lumaca, il cane, il topo, la balena bianca. Fin dalla storia della gabbianella e del gatto comprese che umanizzare gli animali permetteva di osservare da lontano il comportamento umano e di comprenderlo meglio. «La scrittura – disse – è l’unica scuola che ha lo scrittore» e alcune sue favole nascono per rispondere alle domande dei bimbi. Sepulveda fece l’esempio di suo nipote Daniele che gli chiese il motivo della lentezza della lumaca. Ci pensò e scrisse “La storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza”. In fondo questo fa uno scrittore: risponde alle domande, cerca di dare una risposta ai dubbi, racconta storie.
Le domande non devono restare senza risposta

La letteratura insegna che non si deve lasciare nessuna domanda senza una risposta. Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa nasce da una serie di domande che l’autore si pose dopo l’ennesima rilettura di “Moby Dick”. «Perché Melville non scrisse le motivazioni del capodoglio? Le balene sono animali pacifici perché avrebbe dovuto attaccare la baleniera e i suoi sopravvissuti?» Lo scrittore inizia a raccontare della sua esperienza diretta con le balene: di quando a 16 anni lavorò come aiuto cuoco su una delle ultime baleniere diretta verso il Sud del Mondo; delle spedizioni con Greenpeace verso la California e la Patagonia per tracciare i movimenti migratori dei cetacei. Raccontò del primo contatto con la balena «che avviene avvicinandosi al suo occhio per poi spostarsi verso l’altro». Si soffermò su un particolare: cosa si vede negli occhi degli animali e nell’occhio della balena. «Si vede l’assoluta solitudine». Secondo Sepulveda la solitudine della balena è simile a quella dello scrittore ed è ciò che gli permette di guardare alle cose in modo diverso dagli altri. Non ci sono dubbi: Luis Sepulveda lo ha fatto.
Giancarla Savino