
Scrivete ciò che non ricordate. In altre parole scrivete su un episodio oscuro, su un avvenimento che vi riguarda di cui non sapete offrire una collocazione e un significato certi. Pensate attraverso le immagini di quel tempo, non costruite la pagina in modo diretto, ponendovi delle domande retoriche.
Prestatevi al vostro personaggio
Per prima cosa date un nome al personaggio (pur prelevando dalla vostra esperienza).Successivamente, quando avete scelto l’episodio, ponetevi nella situazione di volerlo contestualizzare in un luogo, in un tempo, con amicizie o parenti se è possibile. Comportatevi come quando visitate un luogo dell’infanzia o dell’adolescenza. Raccontate quel luogo, accennate solo brevemente ai cambiamenti intervenuti. Quali sono le sensazioni che provate tornando in quel luogo? Cosa resta rispetto non alle architetture o al paesaggio, ma cosa resta di voi, di quel passato. E anche per questa domanda non date risposte filosofiche o psicologiche, non dite “la maturità comporta….ecc”. In un romanzo queste dichiarazioni generiche lasciano il tempo che trovano. Dite qualcosa di più specifico e personale. Raffrontate l’esterno all’interno. Il luogo di ieri all’emozione di ieri; il luogo di oggi all’emozione di oggi.

L’incipit di Modiano – 1
«Dei due ingressi del caffè lei sceglieva sempre il più stretto, quello che tutti chiamavano la porta dell’ombra. Occupava lo stesso tavolino in fondo alla saletta. I primi tempi non parlava con nessuno. Poi ha fatto conoscenza con i clienti abituali del Condé, la maggior parte della nostra età, all’incirca tra i diciannove e i venticinque anni.»
E ancora: «Non veniva mai alla stessa ora. La potevi trovare lì il mattino molto presto. Oppure compariva verso mezzanotte e rimaneva fino alla fine.»
P. Modiano, da “Il caffè della gioventù perduta”, Einaudi, ed. orig. 2007
Vedi anche in lemuseinquiete il saggio Modiano e le botteghe oscure in ‘Saggistica’
Il tema di Modiano – 2

Ma in modo più stringente rispunta il tema di ogni opera dello scrittore: “Mi domando, dopo tanto tempo, se non fosse proprio la sua presenza a dare al luogo e alle persone quella loro aria strana, quasi li avesse impregnati del suo profumo. Se per ipotesi ti avessero portato lì con gli occhi bendati, ti avessero fatto sedere a un tavolino, tolta la benda, e concesso pochi minuti per rispondere alla domanda: in che quartiere di Parigi ti trovi?, forse ti sarebbe bastato osservare i vicini e ascoltare i loro discorsi per indovinare: dalle parti del carrefour dell’Odéon, che immagino sempre così triste sotto la pioggia”.
Osservazioni – 1
Il timbro è incline alla curiosità ma una curiosità fitta di inquietudini. Resta il mistero della presenza e viceversa l’eloquenza dei luoghi, la loro massiccia certezza. Si saprà che il protagonista è un detective e che in questo caso non porterà a termine il suo compito. Dopo aver trovato la donna come gli è richiesto, la lascerà alla sua fuga.

Osservazioni – 2
La narrazione di Modiano è in prima persona, come un lungo soliloquio in cui si affacciano scene di dialogo e particolari dettagliati, oppure, e al contrario, dove si collocano figure immaginate, quasi evocazioni oniriche. Diversamente da quanto accade in Proust la sua frase è breve, il linguaggio semplice, classico, ma caratterizzato da un flusso verbale ritmicamente apprezzabile. E’ stato osservato più volte dalla critica francese che nella tessitura dei suoi romanzi, come nei titoli allusivi, si avverte l’importanza e il ruolo del discorso lirico, della poesia, di cui diremo tra breve.
L’erba delle notti

«Eppure non ho sognato. A volte mi sorprendo pronunciare questa frase per strada, come se sentissi la voce di un altro. Una voce incolore. Mi tornano in mente alcuni nomi, certi visi, certi dettagli. Più nessuno con cui parlare. Ci dovranno pur essere due o tre testimoni ancora vivi. Ma senz’altro ho dimenticato tutto. E poi alla fine c’è da chiedersi se davvero ci siano stati dei testimoni.
No, non ho sognato. Infatti mi resta un taccuino nero pieno di appunti.» (L’erba delle notti, Einaudi, ed orig. 2012)
L’ambiguità della memoria
Nel confondersi con il passato (i passati trascorsi sarebbe il caso di dire pensando all’albero che ramifica) si radicalizza un altro tema, quello della ambiguità della vita: Jean, scrittore solitario, non riesce a separare con sicurezza i ricordi veri da quelli immaginari, avvolto da una Parigi evanescente come nella fluidità acquorea del vissuto.
L’ambiguità dei luoghi della memoria e il tema del doppio risultano paradigmatici, un modello che aspetta sempre il suo completamento.
Il linguaggio lirico

Patrick Modiano non affronta i suoi temi con la lingua assertiva del romanzo realista o con la sintassi d’uso della conversazione o, ancora, del saggio illustrativo come in certe opere postmoderne (David Foster Wallace; Don De Lillo). Neppure propone l’incertezza strutturale e calcolata del giallo o del noir ma si affida a una pronuncia confidenziale, un discorso della mente che include brandelli di immagini, relazionati sintatticamente con la contiguità di chi pensa e sente. Si pensi al brano appena sopra trascritto: “Eppure non ho sognato. A volte mi sorprendo pronunciare questa frase per strada, come se sentissi la voce di un altro. Una voce incolore. Mi tornano in mente alcuni nomi, certi visi, certi dettagli. Più nessuno con cui parlare.” In questi caratteri non meno che nell’assenza di un pensiero positivo (in senso filosofico) dei suoi protagonisti e nel suo incedere pagina dopo pagina senza fornire l’impressione di una meta, ma attraverso accumuli successivi di impressioni e dati referenziali, consiste la contiguità della sua prosa con il discorso poetico.
Per un più completo approccio con il romanzo di Modiano si veda in queste pagine internet il saggio già citato “Modiano e le botteghe oscure”
