Sara, la santa degli zingari

Prima che il mercato di un turismo onnivoro ponesse barriere, recinzioni e passaggi obbligati, si poteva camminare a lungo sulla spiaggia del parco della Camargue. Tra le dune modellate dalle maree e i cespugli, sul lembo più lontano degli stabilimenti di Les Saintes-Maries-de-la-Mer, si ritaglia sopra le onde l’imponente Chiesa-Fortezza del paese. Un edificio che pare sia nato da un tempio precedente dedicato alle Matres Iunones, divinità della Gallia di cui anche in Piemonte vi sono testimonianze di idoli e iscrizioni, soprattutto nel novarese.

Oggi, nella cripta della chiesa, sono invece conservate le statue delle Sante Marie, immagini di devozione per il mondo gitano che proprio qui – il 24 e 25 maggio di ogni anno – si riunisce per un pellegrinaggio e la celebrazione della sua festa religiosa (nella foto la statua di Sarah durante la processione). Le sante, che non sono mai state canonizzate, vengono tuttavia chiamate così dai nomadi di tutta l’Europa occidentale e non solo. Sono Sara, Maria Jacobé e Maria Salomé. Per la leggenda (che anni fa raccolsi personalmente …Il che indica la sopravvivenza della tradizione orale), Sara era una santa che viveva in Camargue e che, sulla spiaggia, salvò con un gesto miracoloso la barca travolta dai marosi dove si trovavano le altre due donne provenienti dalla Palestina e in fuga dopo la morte di Cristo.

Il mito e la leggenda

Viceversa, per la tradizione popolare della Provenza, Sara, detta “Sarah la Noire” per il colore della sua pelle, era sull’imbarcazione con le altre sante. Le notizie di queste figure mitologiche sono tuttavia scarse al di fuori della tradizione orale. La leggenda cristiana le vuole sorelle della Vergine: Maria Salomé; per le cronache cristiane, era madre di Giacomo Maggiore e di Giovanni, l’evangelista; Maria Jacobé non figura nella casistica e in quanto a Sara, secondo la leggenda della Camargue, era la serva delle altre due. Una inversione di ruolo, come si può osservare, tra la narrazione gitana e quella del popolo residente. Anche se va detto come Sara per la Provenza risulti presente anche in una grotta come un eremita.

Ciò che conta è che proprio Sara la Nera è oggi venerata nella festa di maggio. Gli zingari portano in processione la statua di Sara dalla cripta alle onde del mare, svolgendo con ciò un rito come nella classicità e nell’ambito cattolico-cristiano: il rito è infatti essenzialmente l’attualizzazione di un mito (Mircea Eliade).  L’immersione nelle acque della statua portata a spalle dai nomadi preceduti nella processione da un sacerdote cattolico rievoca l’arrivo (per i gitani) della santa e l’ospitalità (per i cattolici) della medesima.

Marie Jacobé e Marie Salomé sull’imbarcazione durante la festa di maggio

La cripta nel sottosuolo

Purtroppo il pellegrinaggio è diventato anche un convegno turistico. Così oggi il rito si svolge tra una folla di macchine fotografiche e troupe televisive (con operatori talvolta arrampicati sugli alberi per le riprese) affascinate dall’esotismo e dalla popolarità. Ma questo assalto al mondo gitano non si ripete invece la notte successiva quando la Chiesa-Fortezza ospita una messa destinata esclusivamente ai nomadi. Il primo giorno di festa, il 24 maggio, nessuno si intrufola però nella cripta che ospita la statua, una vera e propria  cavità scavata nella roccia. Se lo si facesse si scoprirebbe che Sara svolge per la sua popolazione le stesse funzioni che per i gadjo  (chi non appartiene a un’etnia nomade) svolge la Vergine e infatti lo stesso luogo di culto è un sacello non diverso da molte grotte destinate alle Vergini Nere.

Nel sacello con i gitani

Divinità pietosa, Sara accoglie tutte le domande di grazia in una atmosfera illuminata solo dalle luci delle candele accese dalla devozione. Nell’aria asfittica, quasi irrespirabile, ho visto zingare chiedere aiuto per le malattie, per i propri figli piccoli, portati in braccio, in qualche caso colpiti da deformazioni. La statua viene toccata, carezzata, imbonita. Le lacrime sono sul volto di tutte le donne che le si presentano davanti, spesso accompagnate da invocazioni a voce alta che dicono nei dettagli la richiesta. Non a caso sono le donne le presenze di gran lunga più numerose, esattamente come accade con la devozione cristiana alla Vergine.

Sara e Kali: una comparazione

Un punto di contatto tra le due figure, messo in rilievo da studiosi come Marcel Brasseur, è il colore nero della statua in rapporto al ruolo salvifico del culto e alla maternità. La comparazione con le Vergini Nere è quindi legittima al di là del luogo in cui sono ospitati i simulacri e c i si potrebbe spingere oltre per rilevare come i nomadi venerassero anticamente Astarte-Istar e – ancora – che nel medioevo Sara era, per gli zingari occidentali, Kali la Nera.

Tra processione, rito marino e rito ecclesiastico (poiché una messa apre la processione di maggio) si tendono a sottovalutare alcuni particolari. Il più clamoroso parrebbe essere la circostanza che il capo di Sara è posticcio. Ciò ha fatto desumere che, vista l’area in cui è sorto il culto e considerata l’eredità delle Matres celtiche, l’asportazione del capo sia da ascrivere a questo stesso contesto mitico-religioso a far dato dall’alto medioevo. Il culto delle teste tagliate (da viventi beninteso!) è documentato in Gallia da Strabone, Diodoro Siculo e da Tito Livio.

In origine un altare per le Matres

Danze gitane durante la festa di maggio

I visitatori di oggi possono invece osservare nei fatti la continuità tra il mondo gallico e quello sincretico cattolico proprio nella chiesa delle Saintes-Maries e nelle scoperte archeologiche. Un cranio è stato esumato dalle fondamenta della cappella richiamando così la  precedente fondazione di un nemeton celtico. L’altare originario era dedicato alle Iunones, cioè le Matres, dee della fertilità che realizzano i sincretismo tra la Giunone romana e le Madri celtiche, a cui i galli attribuivano una analoga funzione ed erano oggetto di culto in raggruppamenti ternari per ogni altare. Sulla spiaggia della Camargue le Matres sono divenute quindi le Tre Marie.

E gli zingari? A loro volta, come ogni popolo dal neolitico in poi, anche loro veneravano una Madre, fosse Astarte, Kali o Sara la Nera.

Marco Conti

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