Il sussurro del mondo

La natura come spettacolo, come bellezza, come pericolo, come cornice, paesaggio, risorsa, turismo, disagio, curiosità. Insomma la natura è sempre altro. Ma camminando per i sentieri della postmodernità, viene in mente l’adagio di Pasolini, quel suo scambiare la Montedison per una lucciola. E così fa Richard Powers con questo romanzo-fiume intitolato Il sussurro del mondo che ha ottenuto il premio Pulitzer 2019.
Powers elegge come fonte del suo discorso non la natura indifferenziata, ma gli alberi, il nodo cruciale della storia naturale, il seme di ogni seme. Una banana e un uomo condividono del resto il 50 per cento del codice genetico. Un pensiero val la pena di farlo. E allora ecco i nove personaggi che intrecciano le loro storie nelle 658 pagine di questo libro.

Le radici

Le radici di questa narrazione identificano anche l’albero genealogico dei personaggi. Ecco Nicholas Hoel sui sentieri di Thoreau fare bottino di castagne, innamorarsi in una notte di fuochi, stabilirsi con la compagna in una prateria immensa. Esattamente in quel posto aperto ai venti dove una manciata di castagne dà inizio ad un boschetto. Col passare del tempo e il succedersi delle generazioni rimarrà soltanto un maestoso esemplare, punto di riferimento storico per chi percorre quelle strade ma anche per le famiglie degli Hoel che si sono succedute continuando una curiosa abitudine del padre, del nonno e del bisnonno: fotografare ad ogni mese il castagno. Solo il castagno.
Il libro è appena iniziato, ma Powers ha già acceso a questo punto la nostra curiosità. Possiamo passare a un’altra famiglia o – meglio – alle radici di altri nuovi personaggi. Mimi Ma, per esempio, che ha un padre che arriva da Shangai ed è approdato in America portandosi un rotolo di pergamena prezioso, così antico che dovrebbe stare in un museo.

Il tronco

Il romanzo alla fine della prima parte ha appena riunito nove storie. Potrebbero essere racconti autonomi e lo sarebbero se il romanzo finisse ora. Invece qui si avvia l’intreccio, il corpo della narrazione. In breve, il tronco.
«Un uomo è seduto alla scrivania della sua cella in un carcere di media sicurezza. Sono stati gli alberi a farlo finire lì. Gli alberi e il troppo amore per loro.» Douglas potrebbe vivere come tanti, ma preferisce isolarsi in un paese dove combattere il disboscamento lavorando alla messa a dimora di centinaia di piantine. Sembra contento, finché un giorno non scopre che più alberelli si contano, maggiori sono i tagli previsti dal piano governativo.
Sarà sulle pendici di queste montagne che incontrerà Patricia, la botanica che ha abbandonato la carriera accademica dopo aver fatto scalpore con una sua ricerca: gli alberi -sostiene- comunicano tra di loro liberando essenze quando sono attaccati dai parassiti. I docenti della vecchia guardia la deridono e la isolano. Poi, qualche anno dopo, altri studi danno ragione a Patricia Westerford, ormai nascosta nelle foreste americane.

La chioma

Douglas, Mimi, Olivia diventano ambientalisti in dissidio con il mondo. Per la verità ognuno dei personaggi ritagliati da Powers è un outsider, ma a un certo punto gli irriducibili si stancano delle ipocrisie e dell’indifferenza: danno fuoco ad un laboratorio che cerca di modificare il genoma dei pioppi.
«Venti primavere passano in un baleno. L’anno più caldo mai rilevato va e viene. Poi un altro. E poi altri dieci, quasi tutti tra i più caldi registrati dalla storia. Il livello dei mari si alza. L’orologio dell’anno si rompe. Venti primavere, e l’ultima comincia due settimane in anticipo rispetto alla prima (…) Si può guardare la lancetta delle ore, scopre Mimi, fissarla mentre percorre tutto il giro dell’orologio e non vederla muoversi mai una volta». Adam, le cui radici sono quelle di un adolescente asociale, intelligente ma escluso dalle facoltà prestigiose, è diventato finalmente professore associato all’università; un giorno apre il giornale e capisce immediatamente chi sono i responsabili dell’incendio. Sei settimane dopo diventa un piromane.

I semi

Nick si sveglia al canto degli uccelli, Douglas fa un corso di dendrologia in carcere, Mimi documenta la vita degli alberi. Con quelle degli altri personaggi la parabola delle loro storie, ormai dense e aggrovigliate come radici, si vanno concludendo. I semi sono questi, vale a dire le loro vite spese intorno ad una passione fatta di vicinanza al mondo. Così come ci aveva annunciato Emerson in epigrafe al romanzo: «La più grande beatitudine offerta dai campi e dai boschi è la suggestione di un’occulta relazione tra l’uomo e la vegetazione».
Richard Powers si tiene lontano da quella narrativa di tendenza, climat- fiction, gravitante intorno al disastro ecologico. Per quanto l’intera sua opera sia assimilabile al post-modernismo, da De Lillo a Franzen, a Pynchon, si potrebbe argomentare che Il sussurro del mondo porta con sé l’eredità dell’umanesimo.

Narrativa e postmodernità

Nell’ultima parte, il romanzo lascia emergere sulla superficie narrativa un versante didascalico, ma quest’ultimo sporge quasi “naturalmente” come un ramo più alto. E’ lo scotto pagato anche da De Lillo e dagli altri compagni di strada per voler entrare più direttamente in contatto con il pensiero. La costruzione resta tuttavia mirabile così come l’immaginario innervato dai suoi protagonisti. La narrazione usa il tempo presente e, forse, anche in questo caso si tratta di una scelta dettata dall’esigenza di comunicare l’urgenza, vale a dire il farsi delle vicende e della nostra Storia, quando, chiuso il romanzo, il sipario si apre su di noi.

Marco Conti

Richard Powers, Il sussurro del mondo, traduzione di Licia Vighi, La nave di Teseo, 2019, Pp. 658. E.22,00

 

 

 

Richard Powers è nato nel 1957. Il suo esordio narrativo è avvenuto nel 1985 con “Tre contadini vanno a ballare”. Tra i suoi romanzi più importanti: “Il dilemma del prigioniero” (1989); “Galatea 2.2” (1995); “Il tempo di una canzone” (2003); “Il fabbricante di eco” (2006); quest’ultimo edito da Mondadori.

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