Il mago di Lublino

In copertina Marc Chagall, Omaggio a Gogol’. 1917. Acquerello su carta New York, The Museum of Modern Art

Se Gimpel, l’eroe forse più famoso dei racconti di Singer,(Gimpel l’idiota, 1945)  dubita costantemente della realtà del mondo contingente, supponendo la verità di quell’altro, Yasha Mazur, cioè il mago di Lublino, tiene per sé ogni dubbio e si spende con energia in questo. E’ credente, ma preferisce che gli altri ebrei pensino sia ateo, e del resto il mago – come si preoccupa di precisare lo scrittore fin dalla prima pagina – non è molto stimato nella comunità ebraica dello shtetl, il ghetto polacco nella pronuncia yiddish,  il microcosmo in cui visse lo stesso Singer prima di trasferirsi negli Stati Uniti.

Yasha e Gimpel

Il Mago di Lublino (la versione dall’inglese è di Katia Bagnoli) venne pubblicato nel 1960, ed è per ogni aspetto l’esatto opposto di Gimpel, personaggio indimenticabile per ingenuità e devozione. Tanto Gimpel sembra tonto quanto Yasha appare intelligente. Singer disegna un personaggio a tutto tondo, un prototipo di mondanità:  è un libertino, è colto, ha letto il Talmud, conversa in tre lingue ma si accontenta di camminare su una corda, stupire il prossimo, aprire qualsiasi serratura con un ago. E infine Yasha viaggia perennemente anche se quando inizia questa storia lo vediamo già di fronte ad una scelta: trasferirsi in Italia con la sua ultima e appassionata amante o dirle addio una volta per tutte.

Marc Chagall, Studio per la pioggia, 1911.-Galleria Statale Tret’jakov di Mosca

I colori della mondanità

«Egli si alzò dal letto senza versarsi acqua sulle mani come avrebbe dovuto fare, e neppure recitò le preghiere mattutine. Infilò i calzoni verdi, calzò le pantofole rosse e si mise una veste da camera di velluto nero ornata da lustrini d’argento. Vestendosi, fece capriole e buffonerie come uno scolaretto, fischiò ai canarini, si rivolse a Yoktan, la scimmia; parlò a Haman il cane, e a Meztotze il gatto». da “Il mago di Lublino”

Il conflitto tra finzione e verità

Anche in questo romanzo Singer si orienta dunque attraverso il tema del conflitto tra realtà e finzione, dubitando di quanto appare come realtà, domandandosi di pari passo se verità e giustizia non siano incompatibili. 

Le difficoltà della fede sono state in effetti un tratto comune alla generazione di scrittori a cui Singer è appartenuto. In un’altra narrazione – intitolata in originale Me darf zayn besimkhe (Bisogna essere felici) mentre  il titolo della tradizione inglese si accontenta di Joy, Gioia (1963) – Singer  parla di un rabbino chassidico che vede i suoi figli morire e che  perde la fede. Nella comunità è stimato come un veicolo di sapienza ma il “rabbi” si sente come non mai lontano da Dio e – benché la sua vita si all’opposto rispetto a quella del mago di Lublino – si isola, entra in una clausura penitenziale, cerca l’aiuto di un altro rabbino.  Ugualmente Yasha il mago, compie nell’itinerario narrativo, questa stessa metamorfosi: «Dai filatteri Yasha sentì scaturire una luce radiosa (…) Sì, che esistevano altri mondi! Yasha lo aveva sempre sentito. Riusciva quasi a vederli». Ecco, per comparazione, un passo conclusivo del racconto Gioia: «Dalle finestre aperte sul frutteto si affacciava qualche ramo e giungeva il cinguettio degli uccelli. Nei fasci obliqui di luce danzavano minute particelle, non più materia e non ancora spirito, che riflettevano i colori dell’iride».

Isaac Bashevis Singer

Il protagonista del romanzo di Bashevis Singer contiene dunque  il suo antidoto; il libertinaggio e gli abiti sgargianti del mago avranno come contraltare la penitenza dell’autoreclusione e  l’estrema sobrietà come accade con il rabbino che ha perso la fede. All’inverso sarà la sorte di Gimpel, scopertosi l’unico saggio della comunità che lo deride.

m.c.

Isaac Bashevis Singer, Il mago di Lublino, pp. 230, Adelphi, 2020, Euro 18, 00

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