
Francesca Mannocchi è una giornalista free lance che in questo periodo entra nelle nostre case più volte al giorno, tramite La7, per raccontarci il conflitto in Ucraina. E’ anche ammalata di sclerosi multipla; l’ ha scoperto nel 2017, sei mesi dopo aver partorito un bimbo, Pietro, che oggi ha quattro anni e mezzo. In Bianco è il colore del danno (Einaudi), ci racconta la sua malattia: «la scrittura libera e aggiunge dignità!» dice in una presentazione. Bianco è un non-colore che può avere qualunque significato: nella diagnostica neurologica segnala la presenza delle “placche”, lesioni cerebrali che causano la progressiva paralisi: di qui le TAC, le risonanze magnetiche, i «potenziali evocati». Se la coraggiosa giornalista si fosse ammalata negli anni ’90 sarebbe su una sedia a rotelle … o molto peggio. Per fortuna la ricerca sulle malattie neurodegenerative negli ultimi decenni ha molto progredito e, sebbene non abbia ancora sconfitto la sclerosi multipla, permette a Francesca di condurre una vita normale e di svolgere il suo lavoro di inviata di guerra, pur con una diagnosi di patologia conclamata.
Una lingua in cui le parole mancano
Conscia di questo fatto, come tutti i malati passa attraverso domande senza risposta: perché è successo? Perché adesso, perché non prima? E non dopo? I medici non sanno rispondere, non sono dei guaritori, la medicina non è una scienza esatta, procede per errori. In questo momento di pandemia ci domandiamo tutti: perché? Domande che straziano e basta: perché è successo a me? ora che cosa faccio? Mi do alla disperazione? Reagisco? Con quali forze? Non ci hanno insegnato a cadere, non ci hanno insegnato a dire: sono fallibile, siamo cresciuti pensando che tutto fosse risolvibile, che ogni male fosse curabile. Non è così: prima o poi ci troviamo di fronte a una “narrazione”, come si usa dire oggi, completamente diversa.
Allora si fanno strada nuovi concetti, nuovi nomi, “una nuova lingua in cui le parole ci mancano… ci sembra troppo crudele, spaventoso, punitivo”. Sono parole difficili anche da pronunciare: vulnerabilità, fragilità, handicap, invalidità. Il titolo dell’ intervista (che vi consiglio di leggere, in rete) che Francesca Mannocchi ha rilasciato alla Associazione Sclerosi Multipla è “Raccontare la fragilità è già un pezzo di cura”. L’autrice ricorda che, quando il medico le ha consegnato l’attestato di malata cronica, per potere avere i medicinali gratuiti, le ha detto di non vergognarsi: la vergogna è un sentimento molto comune, in noi disabili. C’è chi preferisce rinunciare ai suoi diritti compensativi come se fossero privilegi. E’ una battaglia di civiltà ancora lunga da metabolizzare.
Laura Prete
Francesca Mannocchi, Bianco è il colore del danno, Pp. 216, Einaudi; euro 17,00
