
Sarebbe stato decifrato il ‘codice’ del testo più misterioso del mondo, il manoscritto Voynich. Lo ha scritto ieri sera l’Ansa e oggi (16.05.2019) lo riportano alcuni giornali.
Il documento, della metà del ’400, sarebbe scritto in una lingua romanza molto antica ed estinta. Il testo non solo non era stato decrittato ma si era persino avanzato il dubbio che non avesse alcun senso potendosi trattare di una truffa tardo medioevale.
Anche le figure delle essenze arboree non sembravano tutte rinviare, con puntualità nelle loro esecuzioni, a piante conosciute.
Oggi Gerard Cheshire sostiene di averlo decifrato e interpretato (craccato, rivela l’Ansa usando la terminologia informatica). Si tratterebbe di una enciclopedia illustrata sulle arborescenze medicinali e di uso cosmetico, dove i segni di interpunzione vengono rappresentati da lettere.
Il libro, secondo quanto riferito, sarebbe stato realizzato da monache domenicane per Maria di Castiglia, regina di Aragona.
Il manoscritto risultava fino a ieri un rompicapo per storici, linguisti e crittografi, compreso Alan Turing, il matematico che decrittò il codice Enigma. La sua scoperta risale al 1912 quando Wilfrid Voynich, mercante di libri antichi, lo acquistò dai gesuiti di Villa Mondragone (Frascati).
Gerard Cheshire, dell’università britannica di Bristol, ha pubblicato la ricerca sulla rivista Romance Studies. Tra non molto dovrebbero quindi essere resi noti i giudizi di altri esperti.
Lingua romanza o mescolanza di lingue

Resta da capire a tutt’oggi perché una lingua romanza non sia stata neppure identificata come ‘lingua’, cioè come un codice organizzato e perché non vi siano tracce di questo linguaggio in altre biblioteche.
E’ possibile che – anche qualora il testo faccia riferimento a una lingua dimenticata – sia un sistema di comunicazione esoterico, ovvero magico, riferito alle piante medicinali da un canto, e alla loro conoscenza tramite la magia e l’astrologia dall’altro? La domanda è meno peregrina di quanto potrebbe apparire. Una studiosa, Edith Scherwood aveva identificato alcuni nomi di piante e indicato che il lemma usato nel manoscritto poteva essere ricavato dal latino. Alcune mappe del codice riportano le fasi lunari, altre mostrano delle donne nude al bagno (il che fa supporre che certe essenze venissero usate per bellezza, come effettivamente conferma anche Cheshire). Sempre secondo la Scherwood la ricerca sulla nomenclatura delle piante suggerirebbe una lingua combinata di latino e italiano, mascherata da due chiavi crittografiche: l’ordine inverso e la scrittura speculare di ogni lettera, realizzata con 17 caratteri. Alcuni simboli all’inizio delle righe potrebbero essere un abbellimento, ma senza significato.
La struttura del manoscritto
La struttura del libro comprende quattro sezioni tematiche: botanica, astrologia, biologia, farmacologia.
Al termine del manoscritto, tra i fogli 103 e 116 è presente una sezione fatta unicamente di elencazioni ma due pagine risultano mancanti. Se queste ultime avessero contenuto 41 punti, insieme ai 324 punti restanti negli altri fogli, si avrebbe un totale di 365 punti e quindi questi ultimi potrebbero essere riferiti ai giorni dell’anno, dove « le stelle chiare indicano i giorni buoni e quelle scure i giorni cattivi, o probabilmente i giorni migliori/peggiori per cure o interventi chirurgici», ha scritto Stephen Skinner nella prefazione alla edizione facsimile (fatta con fotografie dell’originale) di Il manoscritto Voynich (Bompiani, 2018).
Skinner nella sua prefazione postulava che l’opera fosse stata realizzata da un medico-astrologo di estrazione ebraica vissuto nell’Italia settentrionale (una geografia ricavata dalle merlature ghibelline delle torri rappresentate) e che formasse una specie di vademecum. L’ipotesi risultava avvalorata «anche dalla totale assenza di iconografia cristiana, fatto insolito per quel periodo storico».
Le scoperte di oggi: certe o presunte?
Ma la notizia giunta da Bristol annuncia un giudizio risolutivo che implica notizie diverse da quelle fino a questo momento teorizzate: del manoscritto si sarebbe identificata: a) una comunità di autori; b) questa comunità sarebbe formata da religiose cattoliche; c) vi sarebbe addirittura notizia del destinatario dell’opera; d) … e più importante di tutto ciò, risulterebbe che il codice facesse uso di una lingua scomparsa o “dimenticata” di matrice romanza. Si tratterebbe di una lingua protoromanza, una mescolanza di italiano, castigliano, francese, rumeno, catalano, portoghese, gallego. Proprio quest’ultima affermazione, senza ulteriori riscontri, appare straordinaria ma anche gravida di implicazioni fino ad essere motivo di perplessità.

Il linguaggio come magia
In attesa di saperne di più, vale forse la pena di ricordare che il fenomeno linguistico non appare solamente legato alla comunicazione o all’espressione creativa. Le civiltà antiche, compresa quella giudaico-cristiana, riservavano alla lingua compiti diversi: esoterici e più propriamente magici, col che si può fare tranquillamente riferimento alla magia come sussidio che ha accompagnato a lungo il sapere religioso e in alcune religioni ancora lo accompagna, a cominciare dall’animismo.
Per venire al dunque, ecco qualche esempio di scrittura magica e di nominazione magica.
Tra Roma ed Egitto
Ai primordi della nascita di Roma, e per lungo tempo, le truppe in guerra dei romani ascoltavano i maghi o semplicemente i loro prigionieri per conoscere il nome delle divinità dei nemici e chiedere a quegli dei sconosciuti di volgere a loro favore le battaglie.
I marabutti del Maghreb e della costa libica orientale, usavano la scrittura per guarire le malattie o per rendere i soldati invulnerabili. Gli amuleti racchiudevano iscrizioni mistiche in caratteri che non erano decifrabili e che per questo non potevano essere contrastati. Un fenomeno analogo avveniva per le iscrizioni negli amuleti degli antichi egizi. Appendendosi l’amuleto con l’iscrizione al collo si era, per esempio, invulnerabili dalla punta di un pugnale o protetti da una divinità (nozione originaria non diversa da quella della medaglietta rappresentante la Vergine o Sant’Antonio).
Nelle malattie, invece, l’iscrizione appesa al collo poteva non bastare. Nel mondo dei marabutti se il male si aggravava bisognava “assumere” l’iscrizione per bocca. In sostanza il marabutto (un po’ mistico, un po’ mago) scriveva la sua formula con l’inchiostro all’interno di una tazza. La scrittura si scioglieva quindi nel brodo o nella tisana e così veniva assunta dall’ammalato. Di questa pratica parla in particolare il dottor P. Della Cella in un libro del 1830, “Viaggio da Tripoli di Barberia alle frontiere occidentali dell’Egitto” itinerario compiuto nel 1817.
