Marie la strabica

Saul Leiter, “Fay” (1946) in copertina nel romanzo Adelphi

Marie, la strabica e Sylvie, la bella, hanno in comune una professione umile e il distacco affettivo dal loro ambiente. Marie è sempre stata discriminata per il suo aspetto e la sua paura degli altri; Sylvie ha avuto fin dai primi anni di scuola la certezza di farsi strada. La prima ha la lacrima facile, la seconda è cinica. Sono cresciute insieme in due case uguali e vicine, ma quando la narrazione inizia sono giovani impegnate a servire ai tavoli di una pensione familiare che si affaccia sul mare di Fouras, in Charente. Come a scuola  entrambe mantengono i loro ruoli: Marie è lenta nel lavoro e spaurita e guarda l’amica con ammirazione per i suoi modi spicci e per l’indifferenza con cui seduce, quasi giocando, il proprietario della pensione. Sylvie ha invece bisogno di Marie come se solo quel contrasto di caratteri e fortuna potesse rassicurarla nel suo ruolo: qualcuno vive peggio di lei.

«Avrò fortuna e tu sarai la mia cameriera»

Delle speranze di Sylvie sappiamo del resto molto poco. Simenon ci racconta dal punto di vista di Marie (qui e là alternando la voce di un narratore-testimone),  ma  andando indietro nei ricordi del personaggio incontriamo una battuta allarmante. Quando la piccola Marie cerca conferma circa il loro sodalizio, le chiede se sarebbero state sempre insieme. Sylvie non ha allora esitazioni: certo – dice – io diventerò ricca e tu sarai la mia cameriera. Ora che entrambe fanno lo stesso lavoro si potrebbe inferire che ambizioni o paure non sono servite a granché. Tanto più che un episodio drammatico sopravviene nella tranquilla e oleosa vita della pensione. Sylvie vorrebbe alcuni dolci che vengono serviti solo ai clienti e non trova di meglio che convincere un ragazzo handicappato e rubarli nottetempo. Entrato nella dispensa viene però scoperto dal proprietario che lo chiude nello sgabuzzino. Louis, spaventato, si impicca. Il giorno dopo molti si affrettano a lasciare la villeggiatura mentre il responsabile allarga le braccia, sorpreso dagli esiti imprevisti della sua punizione.

Solitudini intrecciate

Sylvie non sembra sconvolta dall’evento. Troverà tempo per imboscarsi in cantina con il proprietario e di allacciare un altro segreto rapporto. Una notte arriverà nella camera che condivide con Marie, con la sottoveste strappata, lividi sul corpo e nessun desiderio di piangere o di confessarsi nonostante l’attesa, la complicità e curiosità della compagna. Né le cose cambieranno molto quando insieme approderanno a Parigi.
Diversamente da quanto accade in molti dei romanzi durs di Simenon, qui non si addensano le ombre e le atmosfere noir. Il romanzo si gioca interamente sulle ruvide superfici della solitudine, delle attese, della psicologia delle due protagoniste.

Le ombre di Simenon

Emissione filatelica belga per Simenon

Simenon scrive sempre per i suoi personaggi un momento di rottura: un’azione dalla  quale non potranno più tornare indietro. Ed esattamente questo ci porta al cuore della vicenda. Questa volta non è così. La vita delle due donne non incontra il punto di rottura, non  precipita improvvisamente come accade per il protagonista della “Camera azzurra” o “Il piccolo libraio di Archangelsk”, per citare due romanzi intensi in cui un evento cambia l’esistenza . E’ esattamente la complementarietà dei due personaggi  a costituire il fulcro e l’intera dialettica del romanzo. Lo strappo originario che segna il destino di Marie e Sylvie, lo scollamento dal loro milieu sociale, è alle spalle, è avvenuto una volta per tutte. Il racconto di Simenon prosegue attraverso questa partitura. Quando, dopo un distacco, le due donne torneranno a incontrarsi, sarà Sylvie ad avere bisogno di Marie, ma con puntuale e feroce logica, solo Marie potrà vivere senza scosse il proprio destino.

I dettagli, lo stile

Simenon a Milano

La scrittura di Simenon mostra ancora una volta la sua vitalità compressa in un periodare breve e incisivo (si veda in queste pagine 14 parole per fare un Simenon”), nell’economia dei dialoghi, nel veloce dinamismo con cui dettagli di psicologia e azioni confluiscono nella storia: «Sylvie aveva imparato a battere a macchina e acquisito i primi rudimenti della stenografia. La Marie aveva dovuto rinunciarvi per via dei troppi errori di ortografia, e aveva trovato un posto da cameriera in un caffè di place du Commerce»; «Sylvie scriveva molto di rado ai genitori. Marie scriveva ogni tre giorni a sua madre, che era vedova. Il padre era morto a Verdun». Analogo è il ritmo della descrizione, con notazioni che cercano costantemente il fulcro della scena o dell’azione. Ecco, dopo la morte del giovane Louis, un ritratto della pensione: «L’odore della casa non era quello degli altri giorni. Le divise bagnate e gli stivali dei gendarmi emanavano un puzzo di caserma, e i due dovevano essersi scolati un bicchierino lungo la strada perché sapevano di alcol, mentre i pensionanti, usciti caldi caldi dal letto, avevano ancora l’alito cattivo. E nessuno pensava ad accendere il fuoco per preparare il caffè.»
Marie la strabica venne scritto nel Connecticut, nel 1951, anno in cui scrisse anche Le temps d’Anaïs, Une vie comme neuve, La morte de Belle e quattro polizieschi del commissario Maigret.

Georges Simenon, Marie la strabica, pp.181, Adelphi, 2019. € 18,00

 

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