La struttura del mito di Campbell rivisitata dagli sceneggiatori di Hollywood
La narrazione come viaggio; il personaggio come eroe. Chirstopher Vogler propone una sorta di baedeker che oggi torna ad essere stampato (e arricchito) a quasi trent’anni dalla sua prima edizione originale. Il viaggio dell’eroe. La struttura del mito ad uso di scrittori di narrativa e di cinema è di fatto una sorta di mappa che permette di entrare nella fabbrica della sceneggiatura e del romanzo. Ma questo a patto di voler conoscere l’abbecedario dell’invenzione narrativa lasciando in disparte una più rotonda nozione di letteratura.
A voler prendere in prestito la terminologia del libro, Vogler ha a sua volta assunto “lo spirito guida” di Joseph Cambell con L’eroe dai mille volti, un saggio di mitologia comparata che usa l’idea di archetipo di Jung. Lo scrittore ha mutuato infatti da quel testo le tappe strutturali del percorso. Consulente per le major cinematografiche degli Stati Uniti (dalla Warner Bross alla Walt Disney) il saggio di Vogler costeggia in ogni pagina il plot delle sceneggiature estendendo solo per comparazione questo approccio narratologico al romanzo.
La storia esemplare
Come Propp aveva enumerato 31 funzioni per descrivere ogni tipo di fiaba (Morfologia della fiaba, 1928) , Campbell pensa all’eroe inei momenti topici della sua avventura. Il viaggio che Vogler ripercorre si divide in dodici segmenti e in diversi profili funzionali del protagonista: dalla sua vita ordinaria al momento in cui l’eroe si impegna in una impresa. Ecco dunque le opportunità: il rifiuto o l’accettazione, la comparsa del Mentore (quello che per Propp è un aiutante). Qui lo sceneggiatore e romanziere classico hanno concluso la prima parte della storia. La seconda consiste nel superamento delle prove (gli ostacoli di Odisseo/Ulisse o di Renzo e Lucia, per semplificare) dove si affacciano amici e nemici, aiutanti e falsi aiutanti. La vicenda avrà dunque il suo apice in uno scontro frontale e determinante dal quale l’eroe uscirà mutato e più forte. Ugualmente la prova centrale consentirà di mostrare le debolezze del personaggio protagonista, di avvicinarlo così allo spettatore (o al lettore) fino alla ricompensa. Ancora un passo e si è sulla strada del ritorno, l’ultima parte del film, dove si ristabilisce l’ordine iniziale. Campbell e Vogler insistono anche sui valori simbolici di morte e resurrezione, cioè su quegli elementi che accomunano l’esperienza umana e che forniscono nel paradigma del mito una risposta alle ansie collettive.
Eroi o Mentori: evitate i cliché
Pinturicchio: Il ritorno di Odisseo.
Gli strumenti migliori del saggio sono quelli che, prescindendo dalla teoria di Campbell, entrano nel laboratorio di scrittura. La presenza di un eroe ( o al suo posto di un anti-eroe, cioè un personaggio marginale che diviene protagonista) non si costruisce solo in base ai rapporti con l’ambiente. I tratti individuali sono quelli che separano uno stereotipo da un profilo capace di raccogliere l’attenzione e credibilità. «Per evitare i cliché – scrive Vogler a proposito della figura del Mentore – e dare al vostro testo freschezza e originalità, sfidate gli archetipi! Capovolgeteli, rivoltateli, fate consapevolmente a meno di loro per vedere cosa succede.» E più avanti: «La maschera del Mentore può essere usata per condurre con l’inganno l’Eroe alla vita criminale (è così che Fagin recluta i ragazzi per impiegarli come borseggiatori in Oliver Twist) oppure per coinvolgerlo in un’avventura pericolosa mettendolo» a servizio dei cattivi. Giusta a questo punto la citazione di Gregory Peck spinto ad aiutare delle spie da un falso saggio in Arabesque.
Molti i soggetti cinematografici con cui Vogler confronta le avventure dell’Eroe, pochi o assenti invece i termini di comparazione con la letteratura modernista e contemporanea. L’idea di struttura parrebbe essere esauriente. Ma non è così. Lo si vede per esempio in una delle aggiunte all’edizione del 1992, alla fine del libro.
La scena nella logica delle major
Vogler spiega in quest’ultimo contesto che un giorno una esperta story editor chiamò a raccolta gli sceneggiatori chiedendo loro cosa fosse una scena e bocciando ogni risposta. «Una scena è una transazione» fu il verdetto. L’autore si diffonde su questo concetto che appare importante anche per l’ambito più specificatamente letterario. La transazione a cui fa riferimento è quella in cui due o più personaggi cominciano stipulando un patto «e poi negoziano o si scontrano sinché non si arriva alla formulazione di un nuovo accordo». Insomma la scena di Vogler è una rinegoziazione. Un concetto che può essere utile in un western e in una commedia, in un romanzo di Dostoevskij che confronta due personaggi, ma che risulta fuorviante per gran parte della letteratura. Non perché sotto il profilo della transazione non possa leggersi anche qualche scorcio narrativo di Calvino o di Hemingway, ma perché lo strumento interpretativo è nel migliore dei casi insufficiente a cogliere lo specifico e l’essenziale. Non è con un microconflitto (più o meno esplicito) che si giustifica qualitativamente una scena.
Quest’ultima parte sembra invece trasferire da Hollywood alla narrativa non l’eroe di Campbell ma l’aziendalizzazione della letteratura. Gli inviti, in sè cortesi, a non sciupare il tempo dello spettatore o del lettore sembrano diramare, ugualmente, dalla stessa logica d’impresa, dove il numero e la soddisfazione dei clienti è garanzia della bontà del prodotto. Per essere chiari: duemila anni di letteratura dicono che non lo è.
Osvaldo Enoch
Christopher Vogler, Il viaggio dell’Eroe. La struttura del mito ad uso di scrittori di narrativa e di cinema, Pp.199, Dino Audino Editore, 2020; euro 20,00