Soltanto un anno fa è uscita in Italia la traduzione di Stalingrado, il primo romanzo della dilogia di Vasilij Grossman che prosegue con il più noto Vita e destino. Difficile pensare sorte più infelice per una delle opere maggiori del Novecento russo. Intanto persino il titolo, Stalingrado, venne censurato in bozze: nel 1952 apparve in Unione Sovietica al suo posto Per una giusta causa, titolo edificante ma in sé non sufficiente ad accontentare il governo. Vennero infatti tagliati alcuni brani e Grossman fu invitato a scrivere delle aggiunte. Pare che le redazioni complessive (quelle spontanee dell’autore e quelle “consigliate”) furono complessivamente undici. L’edizione italiana di oggi ha cercato di individuare la versione più autentica, originale e completa del romanzo. Una narrazione che inizia nel 1942 con il conflitto mondiale e segnatamente con l’incontro tra Mussolini e Hitler alla stazione ferroviaria di Salisburgo dove i due dittatori discutono nel merito dell’aggressione all’Unione Sovietica. La prospettiva del conflitto, le voci dell’autorità, hanno però come contraltare, sia in questo romanzo sia nel successivo, Vita e destino, uno sguardo che dalla grande storia si trasferisce al mondo degli umili.
Grossman e Tolstoj
Nel primo romanzo il lettore si trova subito di fronte a un contadino che, in partenza per il fronte, si deve occupare delle scorte di legna per l’inverno della sua famiglia. E come in tutte le opere ispirate dall’equivalenza tra verità e letteratura, Grossman pesca a piene mani della sua esperienza e dalle sue passioni. In primis quella per Tolstoj. L’autore di Stalingrado modella le sue pagine sul paradigma di Guerra e pace e il suo protagonista, commissario dell’Armata Rossa, rende omaggio alla tomba di Tolstoj e visita la tenuta di Jasnaja Poljana esattamente come fece lo scrittore. Le osservazioni critiche che dovettero nascere spontanee al corrispondente di guerra Grossman sono però avocate alle riflessioni più generali mentre i momenti dell’assedio di Stalingrado ripercorrono sostanzialmente le ricostruzioni storiche sovietiche.
Il KGB alla porta
Per Vita e destino il giudizio del governo fu invece reciso. Nel 1961 il KGB si presentò alla porta dello scrittore per confiscare il manoscritto, un corposo volume di 900 fogli che stava a stento in una scatola. Grossman venne invitato ad accompagnare gli agenti nei loro uffici da dove poté uscire qualche ora dopo, ma senza il suo libro. Grossman scrisse allora a Nikita Krusciov: «Nel mio libro – disse – ci sono decine di pagine di amarezza e di dolore per il nostro recente passato, per gli eventi che accompagnarono la guerra. Forse non sono facili da leggere, ma credetemi non sono stati più facili da scrivere (…) La mia libertà fisica non ha alcun senso senza perché il libro al quale ho consacrato la vita si trova in prigione. Vi prego di lasciarlo libero affinché possa parlarne con degli editori piuttosto che con gli agenti del KGB.[1] »
Vita e destino
Con Vita e destino, Grossman prosegue e conclude il grande affresco tolstojano ma, diversamente da quanto accade nel primo libro, la narrazione dei Gulag staliniani, il giudizio che ne scaturisce e che compara implicitamente ogni forma di totalitarismo, decretano la censura del romanzo. Il testo parlando della riconquista di Stalingrado, racconta delle condanne alla pena capitale per 600 mila persone e dei Gulag dove vennero rinchiuse le etnie minoritarie e già perseguitate: ceceni, tartari, calmucchi. In tutto 120 mila prigionieri. Il fatto che l’autore opponga alla rigidità del sistema la bontà e disponibilità dell’animo russo, non è naturalmente misura sufficiente. Del resto lo scrittore che aveva dato alle stampe Stalingrado era ormai un altro uomo. Di origine ebraica, nato a Kiev, di ideali socialisti, autore di romanzi ideologicamente assimilati alle tesi rivoluzionarie, Grossman si vide a poco a poco defraudare ogni illusione a cominciare dal divieto posto da Stalin di mettere in rilievo l’antisemitismo di Hitler, cioè di far riferimento agli ebrei come principali vittime del nazismo.
Rispetto a Stalingrado si avverte un passo narrativo più incisivo fin dall’incipit del romanzo:
«La nebbia copriva la terra. Il bagliore dei fanali delle automobili rimbalzava sui fili dell’alta tensione che correvano lungo la strada. Non aveva piovuto, ma all’alba il terreno era umido e, quando si accendeva il semaforo, sull’asfalto bagnato si spandeva un alone rossastro. Il respiro del lager si percepiva a chilometri di distanza – lì convergevano i fili della luce, sempre più fitti, la strada e la ferrovia. Era uno spazio riempito da linee rette, uno spzio di rettangoli e parallelogrammi che fendevano la terra, il cielo d’autunno, la nebbia.»[2]
Il paesaggio fitto di «linee rette» sembra assumere in sé la disumanità del luogo e per contrappasso l’omogeneità di pensiero che ne ha decretato la nascita. Come nel romanzo modernista anche in questa narrazione Grossman moltiplica le voci, percorre storie diverse, disegna profili di spie ed eroi. ma soprattutto pone una pesante pietra tombale su quelle che dovrebbero apparire le indefettibili verità dello Stato.
I manoscritti e l’edizione di Losanna
Vasilij Grossman cominciò a scriverlo nel 1948, lo concluse nel 1959, fu ideologicamente cassato due anni dopo dalla visita del KGB. Nel 1964 lo scrittore morì in seguito ad un cancro. Dirà agli amici: «Avrebbero fatto meglio a uccidermi». Nonostante il sequestro, esistevano tuttavia due altre copie manoscritte, una nascosta in una dacia di campagna, l’altra affidata al poeta Semion Lipkin[3]. Furono poi il fisico Andrei Sakharov e la moglie Elena Bonnet a trasferire le due copie del manoscritto, tra loro differenti, in Occidente. E bisognerà attendere fino al 1980 dopo un lavoro di confronto filologico tra i testi, per la prima edizione del romanzo a Losanna con L’Âge d’homme. Solo nove anni più tardi, con le aperture della Glasnost, Vita e destino sarà stampato anche in Russia.
Marco Conti
[1] Vie et Destin in BibliOdyssées (testi di K, Daoud e R. Jerusalmy), Imprimerie nationale, 2019; [2] V. Grossman, Vita e destino, traduzione di Claudia Zonghetti, Adelphi, 2008; [3] La citazione è tratta dal documentario di Priscilla Pizzato, Il manoscritto salvato del Kgb. Vita e destino di Vassili Grossman, Arte, trasmissione andata in onda il 24 gennaio 2018