Frankenstein, la storia nata da un gioco

Lord Byron lasciò la villa dove nacque Frankenstein alle sette del mattino del 17 settembre 1816. Con la secchezza di un telegramma scrisse nel suo diario: «Sveglia alle cinque – lasciata villa Diodati alle sette – su una delle vetture del posto (char à bancs) – la servitù a cavallo –  Tempo magnifico, il lago calmo e limpido – il monte Bianco e l’Aiguille d’Argentière che spiccano nitidi – le sponde del lago stupende – raggiunta Losanna prima del tramonto».  Byron, diretto a un’escursione sulle Alpi non annota nulla sui giorni e le notti in compagnia di Percy e Mary Shelley e del suo medico personale, John Polidori. Neppure un accenno infine al suo lavoro sul terzo canto di Childe Herold, di cui sapremo attraverso l’autrice di Frankenstein.

Soltanto quattro mesi prima, il 14 maggio,  sulle sponde lago di Ginevra arrivano Percy Shelley, la sua amante Mary Goldwin (che sposerà alla fine di quell’anno)  e la sorellastra di lei, Claire Clairmont.  Undici giorni dopo  sono raggiunti da George Byron e Polidori. Le sistemazioni sono conseguenti alle finanze: Shelley affitta una casetta e il poeta di Mazzeppa la sontuosa Villa Diodati (nella fotografia sotto). Ma l’estate è una delle più turbolente del secolo. Freddo e pioggia limitano le passeggiate e le gite in barca. Il gruppetto si diverte come può leggendo storie di fantasmi «tradotte in francese dal tedesco», sinché Lord Byron lancia una sfida: ognuno di loro avrebbe dovuto inventare e scrivere una storia. Più incerta degli altri è proprio Mary che ogni giorno sembra doversi scusare per non saper imbastire nulla. Lo spiegherà lei stessa nel 1831 scrivendo l’introduzione a una nuova edizione del suo più famoso romanzo.

L’idea di Frankenstein e i vermi di Darwin

Una sera i loro discorsi accennano al galvanismo, alle idee espresse da Erasmus Darwin dopo un esperimento nel quale si dà conto di un frammento di verme conservato in un vasetto che, per qualche ragione, aveva iniziato «a muoversi di moto volontario». Nell’introduzione  del 1831, Mary Shelley scrive: «Su questo discorso passammo l’intera nottata, e anche l’ora delle streghe era passata prima che ci ritirassimo a riposare. Quando misi la testa sul cuscino non mi addormentai, né posso dire di essermi messa a riflettere. Spontaneamente la mia immaginazione prese possesso di me guidandomi, dandomi una dopo l’altra le immagini che si stagliavano nella mia mente.»

E più dettagliatamente specifica: «Vidi – a occhi chiusi ma con una percezione mentale acuta – il pallido studioso di arti profane inginocchiato accanto alla “cosa” che aveva messo insieme. Vedevo l’orrenda sagoma di un uomo sdraiato, e poi, all’entrata in funzione di qualche potente macchinario, lo vedevo mostrare segni di vita e muoversi di un movimento impacciato, quasi vitale. Una cosa terrificante, perché terrificante sarebbe stato il risultato di un qualsiasi tentativo umano di imitare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo» .

Castelli, vampiri, fantasmi

Il contesto in cui nasce il romanzo di Mary Shelley è già di per sé eloquente: un sodalizio letterario in un paesaggio romantico e un sogno o perlomeno un immaginario ossessivo. Tuttavia, in quel periodo, il romanzo gotico ha già i suoi capolavori: il capostipite, Il castello di Otranto  di Horace Walpole,  ha ormai mezzo secolo di vita quando la compagnia si riunisce sul lago di Ginevra (la prima edizione è del 1764). Nel 1796 compare Il Monaco di Mattew Gregory Lewis; l’anno dopo è la volta di  Ann Radcliffe con L’Italiano o il Confessionale dei penitenti neri. Così nel 1818, quando esce la prima e anonima edizione di Frankenstein prefata da Percy Shelley è già trascorsa la prima ondata letteraria che scrive di paesaggi tenebrosi, figure che incarnano il male e più grevi voci dell’inconscio.  La prima edizione del romanzo coincide addirittura con la pubblicazione del romanzo postumo L’abbazia di Northanger, dove  Jane Austen si diverte parodiando i terrori della Radcliff.

Un’altra storia

Forse alla scintilla da cui scaturì la storia di Mary Shelley non fu neppure estranea un’altra narrazione: Le Miroir des événemens actuels ou la Belle au plus offrant,  dove François-Felix Nogaret  raccontava i tentativi di uno studioso, un certo Frankestein, di animare un automa chiamato “L’uomo artificiale”. La storia è straordinariamente diversa ma non si può escludere che il nome di Frankestein fosse nell’aria. Del resto Mary Shelley aveva all’epoca 19 anni e le idee presenti nel suo romanzo non sono ricollegabili a Nogaret, piuttosto sono vicine a quelle del padre dell’autrice, William Godwin, protese verso un illuminismo individualista,  libertario colmo di sogni.

Mary aveva avuto una educazione da outsider: senza aver fatto studi regolari aveva a disposizione una ricca biblioteca e stimoli incomparabili per una ragazza di quel tempo. Il padre, romanziere ed editore, ospitava a casa sua il poeta Samuel Taylor Coleridge; lo stesso Percy Shelley fu un seguace delle tesi di Godwin, il quale credeva in una umanità perfettibile. Idea quest’ultima che si può leggere nella parabola di Frankenstein benché proprio la storia di Mary rovesci l’assunto circa la creazione di un uomo nuovo con il fallimento dell’impresa. Il titolo completo del libro lo annuncia: Frankenstein o il Prometeo moderno. L’ambizione della scienza sconvolge dunque l’ordine naturale  che si ribella al creatore.  Il “mostro” finirà per rimproverare allo scienziato le sue pretese e darsi la morte.

Lo stesso successo dell’opera non può essere del tutto assimilato al clima della letteratura gotica perché apre la strada alla narrazione fantascientifica e ai dubbi che questa implica. Se si assume questo punto di vista autoriale se ne trova conferma in  un altro libro di Mary Shelley, L’ultimo uomo, del 1826. Qui la matrice è del tutto fantascientifica e distopica poiché vi si racconta la fine dell’umanità nel XXI secolo a causa di un’epidemia di peste profetizzata dalla sibilla cumana, secoli prima. La storia finisce nel 2100 dopo una fuga dei protagonisti dall’Inghilterra, un viaggio tra la Svizzera e l’Italia e una tappa nella città eterna dove si salva un solo uomo. In margine va annotato che la critica  accolse male l’opera deridendo l’immaginario evocato. Viceversa L’ultimo uomo è considerato oggi un libro pionieristico della letteratura fantascientifica ed è continuamente oggetto di studio.

Tra le pagine di Frankenstein

Nel cuore della trama di Frankenstein compaiono marcati riflessi di angosce personali. Diversamente da quanto accade in molte opere pertinenti al romanticismo nero, quelle di Mary Shelley,  e di Dracula (1897) di Bram Stoker,  sono il frutto non solo delle idee del tempo ma della storia personale degli autori. Bram Stocker visse nella malattia parte dell’infanzia e nel suo letto trovò conforto con la lettura. Mary ugualmente contò su un’educazione informale, in compagnia soltanto del padre poiché  la  madre, la scrittrice Mary Wollstonecraft, morì undici giorni dopo il parto della figlia. Mary stessa perderà sua figlia concepita con Percy e nata prematuramente nel 1815; disgrazia che si ripeterà più tardi con la morte del secondo figlio. La vicenda di Frankestein come Prometeo moderno se da un canto nasce dall’ambiente famigliare anticonformista e rivoluzionario, dall’altro ha un legame sotterraneo con la ribellione al destino precario della vita umana, forse anche con un sentimento di colpa, sia per la morte dalla madre che consente la sua vita, sia per quella del suo primo figlio.

Un labirinto di storie: Il Vampiro 

Il viaggio a Ginevra e i commenti posteriori di Mary Shelley non precisano mai che dalle serate byroniane nacque un’altra opera importante per il romanticismo, vale a dire Il vampiro di John Polidori. Il medico e scrittore di origine italiana lo pubblicò nel 1819 a Londra quando ormai i rapporti con Byron si erano guastati. Forse al silenzio di Mary su questo racconto nella prefazione di Frankenstein contribuì la stessa malevolenza di Byron che prendeva in giro Polidori chiamandolo “Polly Dory”, cioè povero Polidori, nomignolo che viene indirettamente evocato  dalla Shelley nella prefazione riferendosi alla morte prematura dello scrittore nel 1821, forse per suicidio. Ma la scrittrice non cita neppure il brano che Byron ha scritto in quelle sere. Quest’ultimo comparirà in calce al racconto in versi Il giaurro  (dove si profila la figura di un vampiro) soltanto una edizione tardiva del 1818 che completa quella originaria del 1813.

Il vampiro ebbe ugualmente una storia degna del più torbido romanticismo. Ideato in un contesto sfarzosamente letterario ma tenuto in serbo per qualche tempo (Mary Shelley scrive: «Il povero Polidori ebbe qualche idea terrificante su una donna con la testa di teschio che era stata punita per aver guardato dal buco della serratura» e che finisce nella tomba dei Capuleti), Il vampiro è ispirato proprio a Lord George Byron in quanto personaggio aristocratico, narcisista e tenebroso. Nel libro il protagonista è Lord Ruthven, nome che non casualmente era stato usato da un’ex amante di Byron,  Caroline Lamb, in un suo romanzo dove  l’autrice voleva demolire il profilo del poeta. Come se non bastasse questo intreccio di rancori, per facilitare le vendite l’editore del Vampiro sostenne che l’autore poteva essere lo stesso Lord Byron. Byron negò recisamente la paternità, ma Polidori invece non mosse un dito per rivendicarlo, con questo godendosi forse l’imbarazzo degli ambienti aristocratici e dello stesso poeta.

In margine vale la pena di annotare che i diari di John Polidori vennero pubblicati solo nel 1911 (The Diary of John Polidori ) con la curatela di William Michael Rossetti, scrittore di famiglia poiché nipote dell’autore. La sorella di Polidori, Frances,  sposò infatti Gabriele Rossetti da cui nacquero con Michael e Maria anche Christina e Dante Gabriele Rossetti.

Marco Conti

Bibliografia: Mary Shelley, Frankenstein: or, The Modern Prometheus, Colburn and Bentley, London, 1831

Riccardo Reim (a cura di), I grandi romanzi gotici, Newton Compton Editori, Roma, 1993

Kamel Daoud & Raphaël Jerusalmy, BibliOdissées: 50 histories de livres sauvés, Imprimerie Nationale Éditions, Arles, 2019

Mary Shelley,  L’ultimo uomo, Giunti, Firenze, 1997 (prima edizione italiana)

John Polidori, Il vampiro, Studio Tesi, Roma, 2009

George G. Byron, Un vaso d’alabastro illuminato dall’interno. Diari, Adelphi, Milano, 2018

George G. Byron, The Giaour, a fragment of a turkish tale, Jon Murray (publisher), London, 1813

Altre fonti:

Mary Shelley – Wikipedia 

 

 

 

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