Sarner, Novantanove code in poesia

Coda come chiusura di un brano musicale, coda come ultima parte di una coreografia tripartita, coda infine come congedo di uno scritto. Éric Sarner, di cui due anni fa Gallimard ha ospitato una significativa silloge dell’opera poetica sotto il titolo di Sugar et autres poèmes, torna al verso con questo titolo evenemenziale, 99 Codas (sans Récits) edito da la rumeur libre editions, con una “partitura” che ha lo slancio della grazia breve e frammentaria ma che costruisce, di passo in passo, di testo in testo, un tema non eludibile. E al di sopra del tema pone un’epigrafe di Jacques Réda: «Comment finir? On ne sait pas./Et l’on ne sait pas parce qu’on ne veut pas. Personne ne veut finir.» Nessuno vuole finire…E tuttavia le scene si moltiplicano novantanove volte in questi versi. Qualche volta è un’immagine dai contorni contestuali sfumati, altrove un commento che sfugge alla sua storia. La parte parla, insomma, per il tutto.

Dice: vorrei vedermi con del bianco
Tutto attorno
Qualcosa di luminoso.
*
La notte non cadeva, piuttosto
si sporgeva sul tetto
Come una madre - sopra il letto.

Sarner sceglie un istante di una possibile diegesi, ovvero porta in evidenza briciole di vissuti, epifanie di figure entrate nella sua storia. Se in passato ha messo in versi un intero microcosmo, come nel caso del pugile Sugar (Ray) nel poema omonimo, qui di ogni figura vale il riflesso richiamato alla memoria con sintesi estreme. Il lettore di Sarner che confrontasse quest’ultimo testo con l’opera, scoprirà due momenti che quasi la preparano: Petits chants de proximité e Presque un chant d’errance. Come in 99 Codas  anche là si avverte un passo lirico-narrativo che procede per evidenze: con la prima raccolta Sarner entra per esempio in contatto con l’immaginario di alcuni autori prediletti come Pasolini: «Le notti bianche di Pasolini/le mani callose/ che cercava nel nero/ delle miserie di periferia»; sull’altro versante si esplicita una memoria dettagliata attraverso 80 parole di lessico sefardita. In entrambe la poesia vive in equilibrio tra il commento e l’immagine.

Le voci, i flashback, l’arte

La contrazione estrema che Sarner si è dato come misura in 99 Codas costituisce anche la forza dei suoi versi. Il racconto si raggruma in flashbeck, in voci improvvise che irrompono sulla scena per lasciarla conclusivamente.  «Elle ouvrit – les volets. / C’était 1895. Le soleil entra fort./ Son chigon blond un peu défait/. Il y avait cette musique/ Portée par l’eau du ruisseau,/ Just eau dessous – / Et / Par ce qui montait de son cœur.»

L’irruzione della voce talvolta è improvvisa e netta:

E concluse:
«Da quando sei morta,
Non ho mai smesso di invecchiare, lo sai?
Rifletté e aggiunse:
Ho fatto – come ho potuto.
Ho fatto finta di niente»

La misura breve del verso, la disposizione al centro della pagina, evidenziano il dettato come un’epigrafe che investe tanto la parola del vissuto quanto il discorso sulla parola e sull’arte. Ci sono in queste “code” diversi incisi sul desiderio di esemplarità dell’arte dove Sarner parteggia per la bellezza del non-finito. Come in questo scorcio: «Eugène reprit ancore le petit nuage/ Chiffoné de blanc, en haut à droite/ (le moyen, en fait, celui du milieu)./ Il lui sembla qu’il avait fini par finir./ On ne pouvait pas dire que’il était content,/ Mais ilétait – heureux. / Il resta longtemps a mâchouiller/ Le bois de sa brosse.»

…«Rimase a lungo a masticare/ Il legno del suo pennello». Viene in mente una scena descritta da André Breton in Nadja dove un altro pittore insegue, un tramonto e continua a cambiare colori cercando di prendere in consegna quella bellezza irraggiungibile nel flusso del tempo. Éric Sarner fa masticare il pennello al suo artista che non è convinto del risultato benché in qualche modo soddisfatto. La scena potrebbe essere la prima parte di un dittico di cui la seconda detta un commento totalizzante e pervasivo:

Improvvisamente, giudicò l’esistenza ridicola
Sì ridicola.
    Era quasi da ridere –
Ma non ci riuscì.

Tra esistenza e mimesi, tra l’artista e il suo lavoro si spalanca la tranquilla indifferenza del mondo: «Cette question qui ne se pose que – / Dans l’absence ou devant le drâme: Que ferai-je de toute cette lumière?»

Il sorriso, l’ironia

Il controtempo taumaturgico di 99 Codas  sposa assurdo e ironia come nella “fiaba” cattiva che ha per protagonista l’uccello quetzalcoatlus, «il più grande animale che abbia mai volato», ucciso da un meteorite mentre è intento a divorare piccoli sauri…O in questo ardente distico beckettiano:

La verità più bruciante
E’ nel verde dei pappagalli. 

E ancora nell’intraducibile sardonico sorriso che imprime questi versi: «Oh mon poète! s’écria-t – elle,/ Restez ancore!/ Vous me donnez envie de moi!»

Marco Conti

Éric Sarner, 88 codas (sans récits), pp. 107, la rumeur libre editions, 2023; euro 17,00

Back to Top
error: Content is protected !!