Una sciamana della Siberia nel cuore della Bessa

Ai-Tchurek mi raccontò la sua storia, i suoi riti, la predilezione per certi luoghi, come quello in cui indovinò la presenza dell’oro. Questa intervista la ricorda a undici anni dalla sua scomparsa

Nella taiga, quando era una bambina, le piaceva giocare sulle tombe del cimitero. E le piaceva raccontare, ma forse proprio per questo non aveva amici: il suo immaginario spaventava gli altri bambini. Ai-Tchourek parlava con gli spiriti. E d’altra parte il colloquio con il mondo ultramondano era vietato per legge. Nella Russia sovietica lo sciamanismo era censurato. Molti sciamani vennero deportati. Il loro ruolo, storicamente legato alla divinazione, alla guarigione delle malattie, alle tecniche dell’estasi, non si accordava né con l’ateismo di Stato, né con le convinzioni scientiste.

Ai-Tchourek e l’oro dell’Elvo

Avevo conosciuto Ai-Tchourek Ovun  nel gennaio del duemila, in un posto suggestivo: a Zubiena, a ridosso della Bessa, una sterminata landa di sassi creata dagli scavi dei romani per estrarre le sabbie aurifere dal torrente Elvo. Ne parla Strabone nella sua Geografia e l’archeologia ne ha dato parziale conferma.  Ai-Tchourek, ovvero “Cuore di Luna”,  era circondata da trenta allievi che l’avevano seguita nei suoi seminari, prima a Biella, poi in Valle d’Aosta. Volevo intervistare Cuore di Luna, ma prima ancora di conoscerla la sua traduttrice, Anna Saudin, mi disse che eravamo fermi in quel posto perché un anno prima, fermandosi per bere alla Fontana Solforosa, Ai-Tchourek, aveva detto che quell’acqua aveva il sapore dell’oro. Nel duemila accanto alla fontana venne quindi svolto il primo seminario con la costruzione di una ovaa, un altare votivo fatto di rami di betulla alla cui base vengono collati dei sassi. Cuore di luna poco dopo mi disse che quel posto era adatto, non per via delle pagliuzze d’oro che scorrevano ancora sotto le acque del torrente, ma perché avvertiva la presenza di spiriti che consentivano alle persone buone di potersi avvicinare.

L’intervista

Dalla fine degli anni Novanta, Ai-Tchourek viaggiò spesso in Piemonte e in Valle d’Aosta con Anna Saudin e Costanzo Allione, filmaker che aveva appena fondato il centro di studi Where the eagles fly,  impegnato a quei tempi a cercare fondi per una casa di cura e una scuola nella neonata repubblica di Tuva, la regione in cui era nata la sua ospite. Oggi Tuva ha finalmente queste strutture ma Ai-Tchourek, che avrei voluto conoscere meglio nella sua terra, è morta dieci anni dopo per un attacco cardiaco ad appena 45 anni.

Quella che segue è l’intervista che realizzai in quell’occasione; ugualmente l’immagine fotografica risale al gennaio del 2000.

Com’è nata la sua vocazione? So che alcuni vengono prescelti dalla collettività mentre altri lo diventano per discendenza in linea materna o paterna…

«Da noi, quando ero piccola, lo sciamanismo era vietato; non potevo ricevere una consacrazione.»

Quindi come è avvenuto questo riconoscimento?

«Il titolo di sciamano a Tuva è ereditario, è un paese di antiche tradizioni, ma sono stata riconosciuta solo nel momento in cui, grazie al nuovo corso politico nell’ex Unione Sovietica si è di nuovo cercato di far rinascere le tradizioni. Nel 1993, fu organizzato un grande simposio internazionale di sciamanismo. Io sentivo dentro di me molte cose ma non sapevo bene cosa fossero. Partecipai a questo simposio dove c’erano cinque persone ammalate, fra cui un uomo paralizzato. Io venni chiamata sul palco e con gli altri sciamani guarii queste persone, per cui venni subito riconosciuta in tutto il Paese.»

All’interno dei villaggi, così come sono sopravvissute da noi le tradizioni pagane, si continuava a credere nello sciamanismo?

«Certo. Tutto doveva avvenire in assoluto segreto. La gente andava dagli sciamani ma lo faceva di nascosto e affrontando dei pericoli. Per quanto riguarda la mia infanzia, io credo di non essere nata come una semplice bambina ma come una persona antica (ovvero uno spirito che ritorna Ndr). Benché certe tradizioni fossero state dimenticate, fin da piccola io le conoscevo, sapevo leggere la natura, parlare con gli spiriti. Non ho avuto bisogno di leggere dei libri. Sapevo che dovevo inchinarmi alla Terra, sapevo quali erano gli oggetti, il corredo che dovevo portare con me. Sulla mia infanzia è stato scritto un libro, in cui racconto nei particolari queste cose (si tratta di “Ai-Tchourek…come la luna” di Anna Saudin e Costanzo Allione, Libreria Editrice Psiche, Torino, 1999 Ndr). Chi lo compra concorre a realizzare un ospedale a Tuva per l’esercizio delle pratiche sciamaniche.»

I rituali e il corredo

In cosa consiste il corredo dello sciamano e a quali pratiche è finalizzato?

«Certo posso parlare di queste cose, ma io vorrei parlare di come ho portato queste conoscenze in Italia facendone dono, anche perché  so che ho vissuto una vita precedente ed è stata una vita in cui ero molto anziana. Forse per questo sono nata con questa vecchiaia che mi sento addosso. Del resto avverto che la mia vita precedente l’ho vissuta qui, da queste parti dell’Europa. Così io mi sento attirata da questi luoghi. Il consiglio che dò a tutti è di riallacciarsi alle vice precedenti…Per quanto riguarda il corredo di cui mi chiedeva, vi sono degli elementi molto importanti: l’eren, che è una protezione, con la forma di uomo, che lo sciamano porta sempre con sé; un’altra cosa fondamentale sono i quank…Si tratta di 41 pietre magiche che, ugualmente, sono sempre con me. Un’altra cosa importante è la maschera: tant’è vero che le persone che hanno seguito il mio corso sono state invitate a fare una maschera durante le kamlan’e (si pronuncia “camlanie” Ndr) notturne, un rito in presenza del sacro fuoco acceso dallo sciamano con cui si invocano gli spiriti. Le maschere invece servono per la protezione delle persone e dello stesso sciamano. Nel mio corso ho mostrato quali sono le percezioni che si sviluppano durante i riti sacri. Un’altra cosa che portiamo sempre è il tungur, un tamburo, un nome che nella nostra lingua  significa “il tuono che viene dal cielo”. Si chiama così perché con il tamburo arrivano le informazioni dai cieli superiori. Per quanto riguarda invece i riti, il più importante è la Kamlan’e, un rito che ho voluto insegnare agli italiani per ritrovare le loro radici, la loro antichità perduta. Lo abbiamo fatto soprattutto in questa stagione invernale, in mezzo alla neve e al freddo che gli italiani rifiutavano. Io ho voluto che lo accettassero, perché anche il freddo porta cose buone. Anzi, la neve che ho trovato qui, in Italia, è una neve molto morbida, tanto morbida che anche per me, vissuta sempre in mezzo alla natura, è stata una sorpresa.»

Le Kamlan’e

Sono interessato al rito della kamlan’e; lei dice che è un modo per mettersi in contatto con gli spiriti…

«Sì, la kamlan’e ci mette in relazione con gli spiriti e fa da tramite per le persone che sono con lo sciamano. Nel corso della cerimonia lo sciamano canta delle melodie antiche ma ogni volta, a seconda del posto in cui si trova e a seconda dell’ora della notte, le informazioni che arrivano dal tamburo cambiano molto. Così, anche per questo, il soggiorno in Italia è interessante, visto che mi consente di far scoprire alle persone le antiche melodie che nascono spontanee da questa terra. Il compito dello sciamano è i fondo quello di aiutare le persone. Lo può fare nelle kamlan’e ma anche facendo una purificazione, oppure cercando, come faccio io qui, di avvicinare le persone allo sciamanismo, per quanto sia difficile. Uno sciamano deve essere molto forte, molto buono e molto aperto. Le persone che si avvicinano sono diversissime.»

E le chiedono dei consigli?

«Certo, viene da me anche chi ha bisogno di aiuto. Quando le persone sono davanti a me, io vedo sempre cosa pensano, cosa sentono. Quindi il nostro ruolo è quello di dare aiuto considerato che abbiamo il dono della preveggenza. Magari viene qualcuno che ha quarant’ anni e io mi chiedo vivrà fino a novanta? Io lo posso capire e quindi dare dei consigli, dirigere la persona in modo tale da evitargli dei pericoli. Io avevo detto che ci saremmo visti tutti alla Fontana Solforosa, ed è stato così. Ma quando l’ho detto sapevo che nessuno avrebbe avuto incidenti, sarebbe morto o si sarebbe ammalato.»

Lei ha trovato il posto dove è vissuta in precedenza? «Non è importante scoprire il posto esatto, ma avere delle percezioni. Io le ho molto forti durante il tramonto. Sento per esempio che avevo dei legami con dei cani e so che ero qui, in Europa.» Prima di lasciarci Ai-Tchourek mi guardò a lungo, parlò con la traduttrice, le disse che voleva farmi un regalo, una pietra scolpita per proteggermi. Mi innervosii un po’…Poi lei disse: «Niente di grave ma dormirà sonni migliori…». Sia come sia, aveva visto giusto. La pietra la porto ancora con me. Ti saluto Ai-Tchourek.

Marco Conti

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