E’ una fortuna per la letteratura che Max Brod non abbia eseguito la volontà di Kafka, almeno quanto lo è che Ottaviano non abbia bruciato l’Eneide di Virgilio come gli era stato chiesto dal poeta. Ma tutto sommato Virgilio ha avuto più fortuna perché la storia dei manoscritti di Kafka è tormentata per non dire davvero kafkiana. Infatti, così come Brod non se l’era sentita di dare alle fiamme le opere dell’amico, la catena di volontà testamentarie tradite era destinata a continuare. La storia comincia con la morte dell’autore nel 1924.
Kafka dà all’amico Max, giornalista e scrittore egli stesso, un compito preciso. Vuole che siano conservati i manoscritti di La Metamorfosi (1915) che peraltro ha pubblicato nel 1916, La colonia penale (1919), Un medico di campagna (1919), Il digiunatore (1922) e due narrazioni giovanili scritte nel 1913, Bambini sulla via maestra e Il verdetto. Questo il lascito già espresso in una lettera del 20 novembre 1922. Kafka chiedeva inoltre che fossero bruciate le lettere inviate a Felice B.
Le opere da salvare

La sua richiesta di certo teneva conto del fatto che i romanzi e molti racconti erano rimasti incompiuti (così come lo era l’Eneide di Virgilio). Ma Brod non resiste, non comprende le esitazioni di Kafka il quale gli aveva confidato che, comunque , la conclusione del romanzo Il processo non avrebbe potuto aggiungere nulla di rilevante a quanto aveva detto. Già l’anno dopo Il processo è alle stampe e, nel 1926, esce nelle librerie praghesi Il castello. Da un canto Brod sapeva che Kafka non ci teneva a pubblicare, dall’altro considerò forse che l’amico si affidava a lui anche nel giudizio delle opere.
Nel 1939, davanti all’avanzata nazista in Cecoslovacchia, Max Brod decide di lasciare l’Europa e rifugiarsi in Israele portando con sé la valigia dei manoscritti. E proprio in Israele la catena dell’eredità va incontro ad altri tradimenti, per quanto ormai la letteratura occidentale ne stia facendo un autore imprescindibile: da un canto l’opera di Kafka investe il mondo del surrealismo, dall’altro i temi espressi coinvolgono riflessioni di filosofia morale, interpellano l’esistenzialismo, o danno luogo a letture marxiane della società.
Il secondo tradimento
Nel 1968 Brod lascia la proprietà dei manoscritti (non tutto è stato pubblicato) alla sua segretaria Esther Hoffe con l’indicazione di conferire i testi prioritariamente all’Università ebraica di Gerusalemme o alla Biblioteca pubblica di Tel Aviv. Ma Esther non rispetterà affatto queste volontà. La segretaria venderà una parte dei manoscritti all’Archivio nazionale della letteratura tedesca, mentre altri saranno dati in eredità alle sue due figlie, Eva e Ruth.

La battaglia legale
A questo punto non vi saranno più tradimenti testamentari ma si aprirà invece un conflitto per il possesso dei manoscritti anche se le opere in questione (per esempio La lettera al padre) sono già pubblicate da tempo. Alla morte di Esther infatti la Biblioteca di Tel Aviv dà inizio a una lunga battaglia legale. La Corte Suprema di Gerusalemme decise che l’eredità di Kafka non potesse essere che ebraica anche se la lingua usata da Kafka è il tedesco. Si disse inoltre che se quei manoscritti non fossero arrivati in Israele sarebbero stati dispersi dal mercato privato. Il che è difficilmente contestabile. Di fatto sono prevalse le ragioni della Biblioteca nazionale d’Israele. Nel 2013 la polizia tedesca ha rintracciato tre valigette con migliaia di fogli che giungevano dalla casa delle figlie di Esther. Sono state trovate in un vecchio frigorifero rotto e restituite a Israele.
E’ occorso quindi un intero secolo per dare una dimora pubblica a una delle opere più importanti del Novecento. Tra i documenti compare la prima versione del racconto Preparativi di nozze in campagna. Cinquantotto pagine che, nell’ultima redazione di Kafka, diventarono solo cinque. In quelle valige si trovava anche il dattiloscritto della Lettera al padre con l’ultima pagina scritta a mano. Inutile aggiungere che il padre non la lesse mai.
François Morane