Il libro dei risvolti, ecco le letture di Italo Calvino

Lo scrittore delle “Città invisibili” era nato 100 anni fa a Cuba, ma per lui era più “reale” dire Sanremo

Italo Calvino (F.to Wikimedia)

Italo Calvino scrisse e ripeté più d’una volta che scrittore e opera sono due cose distinte. Tant’è vero che sulla sua biografia si divertì a inventare. Per esempio scrisse di essere nato a Sanremo perché era più reale. Sanremo era il luogo dove i genitori si erano trasferiti quando l’autore aveva due anni, di Cuba non aveva memoria. Forse si dispiacerebbe dunque di scoprire che il 15 ottobre 2023 ricorre il suo centenario essendo nato in quella data a Santiago de Las Vegas nel 1923. Con l’ironia che lo contraddistinse avrebbe forse potuto inserire il luogo di nascita tra le sue Città invisibili e tracciarne una mappa. La prima città della sua maturità fu invece Torino: «Qui a Torino si riesce a scrivere perché il passato e il futuro hanno più evidenza del presente (…). Torino è una città che invita al vigore, alla linearità e allo stile. Invita alla logica e, attraverso la logica apre la via alla follia», commenta in una pagina del 1960, Lo scrittore e la città. A distanza di tanti anni si può aggiungere che in questa stessa descrizione ci sono i caratteri essenziali della sua narrativa: la linearità per l’appunto, la razionalità dei classici, l’immaginazione sfarzosa.

Alla Einaudi dal 1947

In questa data centenaria Mondadori ha mandato in libreria un libro calviniano del tutto inatteso: Il libro dei risvolti. Note introduttive, quarte di copertina e altre scritture editoriali, curato da Luca Baranelli e Chiara Ferrero. Un omaggio ai lettori e all’intelligenza dello scrittore perché di risvolto in risvolto Calvino percorre di fatto alcuni decenni cruciali della letteratura. Dove decidessimo di lasciare in disparte i classici che Einaudi proponeva, da Puškin a Dickens, da Shakespeare a Molière, ci troveremmo di fronte a una piccola storia della contemporaneità in cui, in poche righe, spiccano le qualità precise del testo nonostante lo scopo promozionale. Calvino cominciò a lavorare alla Einaudi nel 1947 e venne subito assegnato ai servizi per la stampa «per la spiccata abilità nello scrivere risvolti o meglio testi ad essi equiparabili: schedine, quarte e fascette» scrive nell’introduzione  Tommaso Munari. Sul paratesto ci sono ormai d’altro canto studi specifici e qualche volta di straordinario spessore come quelli di Genette. Nel caso dei risvolti l’unica riserva è la più ovvia. Lo stesso Munari si incarica di dirlo esplicitamente: «L’editoria si potrebbe definire come il processo compreso tra un parere di lettura e un risvolto di copertina.» Tanto il primo vuole obiettività quanto il secondo deve «persuadere all’acquisto, tacere le imperfezioni del libro, essere letto dal maggior numero possibile di persone.»

La selezione

Il marketing di Calvino è però quello di una casa editrice che, come scriveva Moravia, non ha mai pubblicato un libro per denaro. Almeno in quegli anni e fintanto che Giulio Einaudi rimase in sella. La selezione delle schede editoriali fatta dai curatori non è stata quindi uno slalom problematico. Una prima raccolta di “scritture editoriali” calviniane era stata pubblicata nel 2003 e stampata fuori catalogo proprio da Einaudi come strenna. L’edizione di oggi è notevolmente ampliata ma sono state escluse, insieme a 17 scritti che accompagnavano l’uscita dei libri dello stesso Calvino (oggi ristampati negli apparati degli Oscar), tre postfazioni di carattere saggistico. Viceversa si troveranno 101 risvolti in più su un totale di 201, in qualche caso “note” di cui si è scoperta successivamente l’autorialità.

Risvolti, note e schede bibliografiche 

Sfogliando queste pagine la memoria del Novecento sembra più breve del dovuto. Compaiono romanzi e autori che ci siamo lasciati indietro e che, per comparazione, sollecitano domande inquietanti sul futuro dei libri di oggi, cioè sulla macchina editoriale che ora lavora pensando al fatturato anziché alla qualità. Non che il successo un tempo fosse un dato indifferente, ma decisamente più sobrie erano le misure.  Soprattutto in casa Einaudi.

Ecco comparire per esempio il terzo romanzo di Giuseppe Berto, Il brigante (1951) di cui Calvino nella nota bibliografica traccia la storia raccontando come l’autore si sia trasferito per mesi nell’ambiente di un reduce diventato bandito in un paese del Meridione. Ed ecco il corsivo anonimo apparso nel “Notiziario Einaudi” su Mario La Cava: autore oggi ignoto ai più e di cui Calvino dava per certo «un posto ben definito» nella letteratura italiana. Più indulgente è stata la storia letteraria con Mario Tobino, soprattutto dopo il successo tardivo – negli anni Settanta di Basaglia – di Le libere donne di Magliano (1953). Tobino, psichiatra che sosteneva lo status diverso della malattia mentale e riversava in quelle pagine la sua esperienza, veniva qui presentato per La brace di Biassoli, romanzo anche questo di carattere autobiografico. Di pari passo troviamo le schede biografiche per le opere di Natalia Ginzburg, Alberto Arbasino, Primo Levi, Giovanni Arpino, Leonardo Sciascia, Lucio Mastronardi, Gianni Celati e quelle di opere non più ristampate o stampate alla macchia: La calda vita (1958) e La rosa rossa (1960) dell’istriano Pier Antonio Quarantotto Gambini. Non mancano curiosi repêchage come lo è il risvolto di Storie naturali (1966) firmato da Damiano Malabalia, precario pseudonimo di Primo Levi.

Stranieri e indigeni

Le traduzioni Einaudi tra gli anni Cinquanta e Ottanta svolsero un ruolo cruciale. Non a caso quando l’editore si trovò in difficoltà ebbe buon gioco a lasciare a Mondadori lo sfruttamento per qualche anno di alcuni suoi titoli in edizione Oscar. Si trovano qui, compendiati da Calvino, il Salinger del Giovane Holden, La resa dei conti del futuro premio Nobel Saul Bellow, I cavallini di Tarquinia di Marguerite Duras, Fiestas di Juan Goytisolo, Simone de Beauvoir con Memorie d’una ragazza perbene, l’inarrivabile Zazie nel metrò e I fiori blu di Queneau, Il gioco del mondo di Cortazar. E infine al di là dei classici della modernità, ecco qualche sorpresa: accanto alle fantasmagorie di Manganelli, almeno due recuperi dal passato: la rilettura di Amore e ginnastica (1892) di Edmondo De Amicis, individuato come l’esito più vivo e attuale dello scrittore e Il peccato (1913) di Giovanni Boine: «E’ uno dei libri più belli del primo Novecento italiano, e uno dei pochi a cui spetti la definizione di romanzo nel senso pieno e più alto del termine.» Calvino riconosce in questo romanzo «un passo europeo»; anzi «è l’unico titolo italiano che ha di diritto il suo posto nello scaffale riservato, in quegli anni, a un genere narrativo per nulla secondario: il “ritratto dell’artista da giovane”, come in Joyce, in Rilke, in Mann.» Così in quarta di copertina e firmato, il lasciapassare di Calvino per la collana da lui diretta “I Centopagine”. Collana scomparsa con le sfortune di Einaudi e la fortuna della letteratura mordi e fuggi.

Italo Calvino, Il libro dei risvolti (a cura di Luca Baranelli e Chiara Ferrero), pp.421, Mondadori, 2023; euro 15,00

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