Il caso Augusto Blotto, una nuova opera e un’opera nuova

L’ultima opera del poeta torinese Augusto Blotto, Ragioni, a piene mani, per “l’enfin!”, è sconfinata più di quanto lo siano state le precedenti: conta attualmente 2700 cartelle ognuna delle quali riporta mediamente 28 versi componendo così un flusso di 75.600 versi. Di questo corpus, le edizioni [dia-foria, di Viareggio hanno …

Joyce Mansour, 5 poesie

Joyce Mansour. ©foto di Man Ray

Cris, 1953

Mi piacciono le calze che rassodano le tue gambe.
Mi piace il busto che sostiene il tuo corpo tremante
Le tue rughe i tuoi seni ballonzolanti la tua aria affamata
La vecchiaia contro il mio corpo teso
La vergogna davanti ai miei occhi che sanno tutto
I vestiti che odorano del tuo corpo marcio.
Tutto questo alla fine mi vendica
Degli uomini che non hanno voluto saperne di me.

Déchirures, 1955

Selvaggina  da strada
 
 Ci sono le tue mani nel motore
Le mie cosce sulla testa
Il freno fra le ginocchia
La tua carne contro la mia pelle
C’è un uccello sul ventilatore
Un uomo sotto le ruote
 
 Le tue mani nel motore
Che si gingillano con un catorcio
C’è un gemito nel motore
Un poliziotto con il suo taccuino
Una strada nel retrovisore
Del vento fra le mie ginocchia
Alla guida un colosso senza testa
Queste sono le mie mani sul volante
Il mio sesso che candidamente implora

Il gruppo surrealista (anni ’50)

Phallus et momies, 1969

Fallo e Mummie
 
Ho seguito la strada parallela
Dietro il tulle delle tenebre
Fra le cosce dei miei antenati
Freccia la lingua ebraica
L’arte comincia dove il desiderio finisce
Sporca e opaca
Senza fiato
Membrane d’argento sulle bocche
Ho fatto un buco nella mia pelle
Come un edema bluastro nel fango
Saturno usa la freccia
Per solleticare il suo appetito
La morte può essere necessaria
Agli altri
Io odio i soddisfatti
Gli sterili i benestanti
Una morte segue l’altra senza conoscere il suo volto
Una donna attraversa le rotaie
In sangue in sangue insanguinata
Nessuno la vede nessuno dentro
L’ascensore
La gialla insostenibile voce del canarino
Impasto di arsenico e di colla
Lega le costole alle sbarre e non lascia nessun
Spazio all’uccello
Spaccare tutto
Infrangere l’immagine del pene paterno
Avvitato come una serpe in un vaso di Gallé
Schiacciare la sua testa sotto un tallone d’acciaio
(Un vago senso del ritorno
Piange nella forra
Passare oltre)
Ridere salendo i gradini della vecchia casa
Sventrare le comparse spiattellando le loro bigotterie
Odiare i febbrili, sgozzare i seduti
Sradicare i morti assopiti nei loro escrementi
Inghiottire sputare
Dimenticare maledire
La carne belante
Untuosa come un letto disfatto
Bisogna masticare eiaculare

Faire signe au machiniste, 1977

Un’altra immagine della scrittrice

Dall’asino all’analista e ritorno
 
C’era una volta
Un re chiamato Mida
Dalle dieci dita colpevoli
Dalle dieci dita capaci
E aurifere
Freud parlando del grande re mitico dice
Tutto ciò che io tocco diventa
Immondizia
Nelle Indie si dice che l’avarizia
Si nasconde nell’ano
Orbene Mida aveva orecchie d’asino
Asino ano anale
In Pelle d’Asino di Perrault
L’eroe anale
Il re innamorato di sua figlia
Il pene fecale
Il sadico dal sorriso così dolce
Possiede l’ano vivente
Che sputa oro dall’ano
E che morto servirà da scudo contro
L’incesto
Gioco di specchi
Di vetro e di vaio
D’oro e d’escrementi
D’anelli e d’anella
Anamorfosi
Nel casino dell’inconscio
Il pene paterno
Fa da guida
Guardate oh! guardate
La pelle d’asino
La fortuna del re presente e futuro
Sulla schiena della principessa fa il morto
Così l’oro puro diventa lordura
Come il fallo scintillante coperto di sperma grigio
La principessa per svestirsi aspetta che il pericolo dell’incesto
Passi
Bottom di Shakespeare fu asino lo spazio di un sogno
Così va la notte e la mia canzoncina:
asino 
          ano 
                 analisi 
                             analista
                                           analogo

André Breton con Joyce Mansour

Postume: Bleu comme le désert

Felici i solitari
Quelli che seminano cieli nella sabbia avida
Quelli che cercano la vita sotto le gonne del vento
Quelli col fiato in gola che corrono dietro un sogno svanito
Perché loro sono il sale della terra
Felici le vedette sull’oceano del deserto
Quelle che inseguono la volpe di queste distese oltre i miraggi
Il sole perde i suoi barbagli di piume all’orizzonte
L’eterna estate se la ride dalla tomba umida
E se un grido riecheggia fra le rocce sdraiate
Nessuno lo ascolta nessuno
Il deserto grida sempre sotto cieli impavidi
Un occhio fisso plana solo
Come l’aquila all’alba
La morte inghiotte la rugiada
Il serpente soffoca il topo
Sotto la tenda il nomade ascolta il tempo scricchiolare
Sulla ghiaia dell’insonnia
Ogni cosa aspetta una parola già pronunciata
Altrove

©Traduzioni di Marco Conti

Le poesie qui riprodotte sono tratte dall’antologia edita da Terra d’Ulivi Edizioni nel 2017. Introduzione, note, traduzioni sono di Marco Conti.

Nota biografica
Joyce Mansour nasce a Bawden, in Inghilterra, il 25 luglio 1928, con il nome di Joyce Patricia Adès da una famiglia ebrea residente in Egitto. I suoi nonni, originari di Aleppo, avevano fondato un’azienda che commerciava in cotone. Il padre di Joyce, David Adès sposa nel 1920 Nelly Nadia Adès, sua lontana cugina, e incentiva l’industria tessile che diventa una delle più grandi d’Egitto. La giovane Joyce (terza figlia della coppia, dopo David e Geany), fa dunque parte dell’alta società cosmopolita del Cairo. Compie i primi studi in Inghilterra e poi in Svizzera esprimendosi soprattutto in inglese, sua lingua materna; ciò pur avendo conoscenza del francese, destinato a diventare la lingua della sua opera letteraria prima ancora di trasferirsi stabilmente a Parigi nel 1956 dopo aver conosciuto e sposato Samir Mansour. E’ autrice di 21 opere tra poesia, prosa e teatro. E’ morta nel 1986 a Parigi.

 

 

 

14 parole per fare un Simenon

La frase breve e limpida è sempre stata un modello di riferimento. Così pretendeva Hemingway nei suoi racconti e con questo modello si è sentito a suo agio Raymond Carver. In modo diverso lo stesso è valso per Georges Simenon. A questo riguardo, tra gli scrittori più vicini a noi si potrebbe citare, Agota Kristof oppure, in certi romanzi (e solo in quelli), Italo Calvino. Non è d’altra parte il caso di spendere del tempo per dire che, se la brevità è attributo richiesto nel giornalismo, non lo è affatto in letteratura.
L’economia di un testo può essere sopravanzata da altre necessità di registro di carattere autoriale, e da circostanze insondabili per le quali solo l’esito ha significato. E’ sufficiente pensare a Proust, a Virginia Woolf,  a Céline, a Faulkner, a Gadda e a tantissimi altri.
Ma sembra indubbio che un testo “economico” sia più facilmente leggibile senza per questo essere superficiale. Un esempio? Samuel Beckett, accanto a tutti i romanzieri citati, compreso Simenon  la cui scorrevolezza non nega affatto originalità e profondità, benché in passato alcuni critici francesi abbiano voluto relegarlo nell’ambito dei romanzieri “popolari”.
Ma poiché si parla di lunghezza e brevità, il dettaglio filologico è cruciale. Nel merito una insolita analisi statistica dice come hanno scritto i romanzieri di lingua francese e quale sia il numero di parole per cui ha senso parlare di brevità. Mi rifaccio alle analisi quantitative eseguite da François Richaudeau: Simenon: une écriture pas si simple qu’on le penserait. In: Communication et langages, n°53, 3ème trimestre 1982. pp. 11-32. A questo studio rinvio per una verifica più dettagliata e più ampia.
E’ evidente che l’analisi compiuta non ci dirà nulla sulla qualità estetica, ma non così sul carattere degli autori e persino su come hanno scritto al di là degli esiti numerici. Anzi, percorrere questa strada, riserva una grossa, enorme, sorpresa.

Come è stata fatta l’analisi

Di Georges Simenon sono state inventariate 238 opere narrative tra il 1929 e il 1972; altre sono state scritte dall’autore con pseudonimi (durante la giovinezza di cronista in Belgio e poi in Francia) e altre ancora sono state create dopo questa data. In quel periodo la media dell’autore è di sei romanzi all’anno; seicento milioni sono le copie vendute in 55 lingue diverse.
Richaudeau ha proceduto analizzando 25 romanzi, esaminando 192 frasi all’interno di ogni volume e sempre trattenendo la prima, l’incipit. E’ così arrivato a 4799 frasi che davano luogo a 72.245 parole.
Non contento di questa delimitazione l’autore ha preso in esame la cronologia già selezionata per ricavare dieci titoli: due dal ’40 al ’41, due dal ‘50 al ’51 e così via fino al ’72 badando di alternare un romanzo a un poliziesco, cioè un Maigret.
 Ed ecco come è stato calcolato il numero di parole per quella che è una astrazione, cioè la frase di lunghezza media. Lo studioso ha preso in esame tutte le parole di ogni frase e ha diviso la cifra per il numero di frasi.

Il fraseggio dello scrittore

La conclusione è che Simenon risulta tra gli autori più stringati di tutta la letteratura francese: la media è di 12, 6 parole per frasi correnti (esclusi i dialoghi). La media sale a 14, 1 con il romanzo per il quale ha impiegato più tempo e al quale teneva di più, cioè  Le campane di Bicêtre e a 20 parole di media per la frase-tipo di La finestra dei Rouet, scritto in concomitanza con  l’autobiografico Pedigree.
Questa circostanza sembra casuale ma non lo è. Infatti tutti i sei libri autobiografici di Simenon hanno un periodare decisamente più ampio. I tre delitti dei miei amici ha una lunghezza media di frase di 20, 3 parole; Per Pedigree (prima parte) 14, 3; per Pedigree  seconda parte 20, 7; la terza parte 19, 4 ; Memorie intime, 18, 8; Mi ricordo, 17.  Inoltre nella prima parte di Pedigree la lunghezza media tra le frasi più lunghe (quindi calcolate a parte) è di 88 parole e di 78 nella seconda parte.

Il ruolo della memoria

 Questa perlustrazione va tuttavia oltre gli obiettivi previsti: sia in rapporto ad altri autori contemporanei, sia in relazione ai temi. Richaudeau ha infatti scoperto che l’autore di gialli e di noir diventa straordinariamente più prolisso quando parla dei propri ricordi e del sonno o del sogno.  I libri autobiografici dell’autore belga hanno impennate di periodi lunghissimi,  raggiungendo in una frase fino a 187 parole. In breve la frase analitica, ipotattica di Proust, e quella di Simenon, risultano ugualmente complesse e concentriche quando si tratta di raccontare la propria memoria, vale a dire l’oggetto per eccellenza di Marcel Proust.
«E’ sorprendente – scrive Richaudeau  – che analizzando le frasi di Marcel Proust, abbia rilevato le stesse correlazioni fra la lunghezza e i temi: i ricordi, il sonno».
E’ l’unico dato così eclatante emerso da questa indagine, quando viceversa non risultano differenze sistematiche tra i gialli di Maigret e quelli di altri romanzi scritti da Simenon nello stesso periodo. Il che sembra suggerire un dipendenza dal tema per le scelte stilistiche o comunque consuetudinarie. Lo studioso si  è chiesto se Simenon non si sentisse prigioniero di automatismi psichici, di un flusso – in sostanza –  inconscio ma «implacabile, di esteriorizzazione della scrittura». Il nucleo semantico si imporrebbe così prescindendo dalla sua formalizzazione.
Riferendosi all’autore di Maigret, si è talvolta parlato, inoltre, di “processo medianico” della scrittura. I suoi riti prima di mettersi alla macchina, i brevi sonni per almeno 15 giorni durante la stesura, sembrano avere un ruolo. Ma di questo parlerò in un altro momento.
Vale la pena invece riportare i dati  inerenti gli stili di altri scrittori.

Le frasi più lunghe: Descartes e Proust

Il primato delle frasi più complesse non è di un romanziere ma di un filosofo: René Descartes. L’autore del Discorso sul metodo non temeva i periodi labirintici: la lunghezza media della frase comprende ben 74 parole; Rabelais si accontentava di 25; Michel de Montaigne, scrittore moralista del Cinquecento, si serviva mediamente di 30 parole.
L’autore che dà convenzionalmente l’avvio al romanzo moderno, Gustave Flaubert,  scrive Madame Bovary usando 22 parole per frase, tranne nei dialoghi, che risultano più lunghi come avviene per tutti gli altri autori esaminati. Stendhal per il Rosso e il Nero ne aveva usate 25.
Ed ecco qualche curiosità del Novecento francese: il filosofo Bergson usa 30 parole per la sua Evoluzione Creatrice contro le 22 di Paul Valery, le 15 dei romanzi di Jean Giono, e le 12 del giallista Frédéric Dard con il suo Sanantonio, tra i più celebrati negli anni Sessanta e stringato, evidentemente, più di Simenon.
E l’autore della Ricerca del tempo perduto? Al di là di quanto abbiamo scoperto a proposito delle narrazioni sulla memoria, la media di Proust è di 43 parole. Un tuffo nelle profondità come una lunga apnea. Ma sempre, si direbbe, con una stella marina da riportare in superficie.
 
Marco Conti
  © Riproduzione riservata

Il Maigret per il cinema anni Cinquanta, interpretato da Jan Gabin (alla sinistra nell’immagine)
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