Saramago, la letteratura come umanesimo

José Saramago (1922 – 2010)

C’è per Boris Vian La schiuma dei giorni,  metafora che non ha bisogno di spiegazioni, e c’è per José Saramago una nozione diversa e analoga del moto dei mari:  l’umanità simile a una schiuma trasportata dall’onda  nel corso dei tempi. La metafora di Vian si è fatta allegoria: «Convertiti in un’apoteosi di luce e di colore tra lo spazio e il mare, noi, gli esseri umani, siamo quella bianca schiuma brillante, scintillante, che ha vita breve, che diffonde un fugace bagliore, generazioni e generazioni che continuano a susseguirsi una dopo l’altra trasportate dal mare che è il tempo.» E’ la prima immagine di una sequenza con cui lo scrittore portoghese racconta la germinazione della sua opera letteraria in titoli e in periodi diversi. L’autore si spiega si apre con il saggio Dalla statua alla pietra  scritto nel 1998  in occasione di un incontro all’Università di Torino e si chiude con il discorso  pronunciato in quello stesso anno per il conferimento del Nobel intitolato Di come il personaggio fu maestro e l’autore il suo apprendista. Nel primo caso sono le immagini ad accompagnare l’opera, nel secondo i profili dei personaggi.

«Non scrivo romanzi storici»

Nel contesto torinese Saramago approccia il suo percorso partendo dalla pretesa di alcuni critici di collocarlo nell’ambito del  romanzo storico. Niente di più che un’etichetta  che l’autore non accetta precisando come un ambiente e una distanza temporale (quando pure sussistono come in Memoriale del convento), non costituiscono passaporto di storicità perché nel suo caso si tratta di  «vedere il tempo di ieri con gli occhi di oggi». Non si tratta insomma della narrazione di Walter Scott o di Manzoni.  La questione consente però all’autore di portarsi  nel cuore delle sue narrazioni e di chiarire che la progettualità letteraria non lo ha mai interessato.  Lo mostrano del resto le immagini con cui contrassegna i cicli della sua opera. Se l’umanità generazione dopo generazione, è simile all’onda marina che si schianta sul greto, la scrittura che riguarda Saramago è ora un’operazione di scavo intorno all’informe della pietra, ora una ricerca dentro la densità della stessa pietra. Esattamente  come recita il sottotitolo del libro, Dalla statua alla pietra per contrassegnare i romanzi che disegnano, come statue, un percorso nel tempo e quelli che puntano direttamente al cuore dell’identità dell’uomo.

Il romanzo del successo nel 1982

«Pensate di avere un bambino sempre con voi»

La scelta dei temi narrativi sembra scaturire da quello che l’autore chiama «l’ineffabile ». Tuttavia nel suo insieme l’opera  è circoscritta da un’interrogazione  etica indiscutibile: dai primi racconti giovanili fino ai romanzi dove la tensione morale diventa evidente: Memoriale del convento, L’anno della morte di Ricardo Reis, Cecità, Tutti i nomi, La caverna. «La mia preoccupazione (…) è considerare l’essere umano una priorità assoluta. Ecco perché l’essere umano è la materia del mio lavoro, la mia ossessione quotidiana». Poco oltre Saramago racconta di essere impegnato in un progetto di autobiografia che dovrebbe consistere  nel cogliere soltanto il tempo della sua vita fino ai quattordici anni (progetto che si concretizza con Le piccole memorie nel 2006). Una scelta che parrebbe dettata solo da ragioni affettive. Viceversa la motivazione è ancora una volta etica e paradigmatica: «Mi è capitato di dire che non concepisco niente di tanto magnifico e tanto esemplare come procedere nella vita tenendo per mano il bambino che siamo stati, immaginare che ciascuno di noi dovrebbe essere sempre in due, che dovremmo essere in due per la strada, due a prendere le decisioni, due di fronte alle diverse situazioni che ci circondano e che noi provochiamo»  perché  allora non potremmo imbrogliare tanto che l’epigrafe del libro a cui pensa è «lasciati portare dal bambino che sei stato».

L’infanzia

L’infanzia con i nonni  è rievocata sia nelle pagine dell’intervento torinese, che in quelle del discorso pronunciato a Stoccolma di fronte all’Accademia svedese, con due episodi in cui lo scrittore ricorda come i nonni, nelle notti invernali più fredde, andassero nella porcilaia per tornare poi in camera con i maialini più deboli portandoseli a letto: «Sotto le grezze coperte, il calore degli umani rinfrancava le bestiole dal congelamento e le salvava da morte certa. Per quanto fossero di buon carattere – spiega all’Accademia – non era per eccelsa bontà d’animo che i due vecchi lo facevano: si preoccupavano piuttosto, al di là di sentimentalismi e retoriche, di salvaguardare il pane quotidiano con la naturalezza di chi, per tirare avanti, ha imparato a pensare solo al minimo indispensabile.» Ma questa umanità scomparsa, è nondimeno citata per la sua autenticità capace di esprimersi fino al paradosso. La seconda memoria che Saramago riporta è infatti quella del nonno malato, costretto al ricovero ospedaliero a Lisbona, il quale, sapendo che non sarebbe più tornato a casa «andò a salutare gli alberi dell’orto, uno per uno, abbracciandoli con le lacrime agli occhi». Due citazioni che  riverberano anche il mondo dei personaggi, quell’umanità “oceanica” di generazioni che troverà posto nel romanzo Tutti i nomi.

Tutta la storia è contemporanea

I due scritti principali di Saramago (quello torinese e quello all’Accademia di Svezia) dicono insieme quanto la nozione di storicità appuntata ai suoi romanzi, si ribalti nella nozione opposta, ovvero in una concezione che, della storia, raccoglie esattamente quanto sta al di là dei mutamenti o quantomeno in un rapporto dialettico con essi. Non per nulla Fernando Gόmez Aguilera, in un breve saggio incluso in questa edizione, scrive che l’autore «ha concepito la letteratura come uno spazio governato dall’immaginazione e dalle idee» e che se di storia si deve parlare, allora per Saramago vale il concetto di Benedetto Croce per il quale «Tutta la storia è storia contemporanea». L’anno della morte di Ricardo Reis è altrettanto esemplare di questa parabola.  Riccardo Reis è uno degli eteronimi con cui scriveva Fernando Pessoa, autore amato ma anche contestato nella reinvenzione del suo personaggio. Saramago lo fa approdare a Lisbona, dopo una traversata atlantica dal Brasile, nel 1935, anno in cui Pessoa è morto. La finzione narrativa ha tuttavia l’obiettivo di contestualizzare la morte di Pessoa e quella di Reis nel 1936, anno di rivolgimenti epocali e ferali per l’intera cultura europea: Salazar, Franco, Mussolini, Hitler prendono possesso del destino degli europei.

Pessoa, Ricardo Reis e Saramago

Il giovane Saramago imparò a memoria le poesie di Ricardo Reis ma non poté rassegnarsi, scrive parlando di sé in terza persona, «al fatto che uno spirito superiore avesse potuto, concepire senza rimorso, un verso tanto crudele: “Saggio è colui che si contenta dello spettacolo del mondo”». Così  l’apprendista Saramago «ormai con i capelli bianchi e un po’ più sapiente delle proprie saggezze, osò scrivere un romanzo per mostrare al poeta delle Odi qualcosa di quello spettacolo del mondo nel 1936, anno in cui gli aveva fatto vivere i suoi ultimi giorni», ribadisce in occasione del conferimento del Nobel. Rivendicazione che pone ancora una volta al centro della sua prosa, vistosamente immaginifica, la questione politica e morale.

Cecità, un’altra allegoria

Un nuovo approccio narrativo si avrà nel 1995 con il romanzo Cecità dove l’allegoria è lo spartito su cui scrive. Con le parole di Saramago: «Cecità è la storia, appunto, di una cecità fulminea che attacca gli abitanti di una città. Poteva trattarsi di un’epidemia, di una calamità, questo non è spiegato nel libro né importa,  si dice solo che la gente perde la vista.» Gli effetti di questa nuova “condizione umana” non tardano a manifestarsi: non solo la vita materiale ma anche i valori di consenso sociale sono travolti  dall’epidemia. «Ma l’autore – annota – crede che siamo già ciechi pur avendo gli occhi (…) Può darsi che i nostri occhi vedano ma la nostra ragione è cieca.»

Retrospettivamente lo scrittore portoghese inserisce Cecità nel ciclo della “pietra”: non si tratta più di scolpire, di ricavare dalla materia la “statua”, ma «di penetrare nell’interno della pietra, nel più profondo di noi stessi, è un tentativo di domandarci che cosa e chi siamo noi. E a che scopo.» L’intero percorso mostra la straordinaria distanza che separa questa letteratura dalle motivazioni dell’attualità e da quelle concezioni più o meno dissimulate che si sono fatte avanti proprio nel XXI secolo,  cioè quelle di una letteratura intesa come colto intrattenimento. «Saramago – commenta Aguilera – accetta e impiega la letteratura come possibilità di sovversione del potere, come strumento di pensiero e di ribellione, di lotta intellettuale, aggrappato all’umanesimo liberatore che ha sempre orientato la sua visione del mondo. »

Marco Conti

José Saramago, L’autore si spiega. Dalla statua alla pietra e i discorsi di Stoccolma, Feltrinelli, Pp. 113, Feltrinelli. Euro 12,00

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