
Eduardo Mitre
Riuniamo una porta, una finestra
e quattro muri pensierosi
e abbiamo già una stanza.
Una camera è senza dubbio il luogo
dove meglio si sente piovere.
Le tre rivelazioni della stanza:
un fantasma, un’arancia, una donna.
Quella che a tavola non disse nulla
lo dice con lacrime nella stanza.
La tua stanza è più intima del tuo passato
nel bosco i nidi
e nella città le stanze.
Eduardo Mitre, “La stanza”, trad. A. M. Molina, in Poesia, n. 221, Crocetti, 2007
Eugenio Montejo

Guillaume Apollinaire, calligrammi
Parlano poco gli alberi, si sa.
Passano tutta la vita meditando
e muovendo i loro rami.
Basta guardarli in autunno
quando si riuniscono nei parchi:
soltanto i più vecchi conversano,
quelli che donano le nuvole e gli uccelli,
ma la loro voce si perde tra le foglie
e assai poco percepiamo, quasi niente.
E’ difficile riempire un piccolo libro
coi pensieri degli alberi.
Tutto in essi è vago, frammentario.
Oggi, ad esempio, mentre ascoltavo il grido
di un tordo nero, di ritorno verso casa,
grido ultimo di chi non attende un’altra estate,
ho capito che nella sua voce parlava un albero,
uno dei tanti,
ma non so cosa fare di quel grido,
non so come trascriverlo.
Eugenio Montejo, “Gli alberi”, trad. L. Rosi, da Poesia, Crocetti, n. 234, 2009
Maija-Liisa Nyman – 1

Dopo le nozze giunse la primavera.
In Iraq si combatte ancora e
il popolo di Dio rivendica sangue.
Le mattine leggo con attenzione il giornale.
Gli alberi in fiore. Mi disperdo in minute goccioline.
Se volete sposarvi,
andate a Las Vegas.
Maija Liisa Nyman – 2
Prigioniera in quaranta metri quadri, in sole due stanze,
con la bicicletta all’ingresso, non si riesce a passare
se non si chiede con le buone, se non si accarezza delicatamente
il corno destro
e la piccola cicatrice del parafango.
E giù per le scale, dal terzo piano al primo,
è dei bambini russi.
Il russo non lo parlo, nemmeno
una buona parola.
Maija-Liisa Nyman, due poesie, da Il limite della neve. La nuova poesia finlandese, cura e traduzione di Antonio Parente, prefazione Siru Kainulainen, Mimesis-Hebenon edizioni, 2011
Giancarlo Pontiggia

Ritorno ogni volta dove
l’ombra trova il suo confine
compagna del silenzio,
nella polvere delle strade che svoltano
contro cieli alti.
Chi passava,
sollevando lo sguardo, vedeva
oleandri ruvidi e selvosi, ancora
celati in un sonno remoto.
…
tra i pochi frammenti di quel cielo
fiammante e impervio
rassicuro i vostri sciami ronzanti, e riprendo
il cammino;
(oh, ma quali ombre e quali
urti?)
Di giugno, come vi ripeto, nell’ora
del meriggio che acceca, della polvere e del fuoco,
ai margini dei campi, in un impluvio
verdissimo di ombre, tra quei segni,
in quella direzione, con passi
certi
come un’antica preghiera
Giancarlo Pontiggia, “Di giugno, come vi ripeto, nell’ora”, da Con parole remote, Guanda, 1998.
Ramon Palomares

Ecco arrivare il notte
colui che ha stelle nelle unghie,
con passo furioso e cani tra le gambe
alzando le braccia come un fulmine
aprendo i cedri
buttandosi i rami addosso
molto lontano.
Entra come se fosse un uomo a cavallo
e passa per l’androne
scrollandosi di dosso il temporale.
E smonta e comincia ad indagare
e ricorda e allunga gli occhi.
Guarda i paesi che sono
gli uni sui declivi e gli altri acquattati nei burroni
ed entra nelle case
a vedere come stanno le donne
e spazza le chiese attraverso le sacrestie e i campanili
spaventando quando pesta per le scale.
E si siede sulle pietre
indagando senza pace.
Ramon Palomares, “Il notte”, trad. H. G. Robles e U. Bonetti, in Giovani poeti sudamericani, Einaudi, 1972
Vasko Popa

La piccola scatola mette i primi dentini
e cresce un poco in lunghezza
e pure in larghezza e in profondità
e in tutto quello che ha
e ancora la piccola scatola cresce
l’armadio in cui stava dentro
sta ora dentro di lei
lei cresce e diventa più grande
adesso la stanza sta dentro di lei
non solo, ci stanno la casa il borgo
la terra e il mondo in cui prima abitava
la piccola scatola ricorda l’infanzia
è forse per via della sua nostalgia
che piccola piccola di nuovo si fa?
e adesso lì dentro ci sta per intero
il mondo ridotto in miniatura
è facile metterlo dentro una tasca
lo perdi lo rubi così facilmente
proteggi la piccola scatola.
Vasko Popa, “La piccola scatola”, trad. A. Cattaneo da C. Simic Il cacciatore di immagini, Adelphi, 2005. Popa è ritenuto tra i maggiori poeti serbi contemporanei; in Italia è sconosciuto. Il testo qui presentato è stato tradotto da Charles Simic e poi volto in italiano.
Craig Raine

Fu possibile ridere
mentre i motori fischiavano nel ribollimento,
e chiedersi che aspetto avranno le nubi –
neve spalata, Apple Charlotte,
Tufty Tails… ho goduto
il Mare d’Irlanda, le navi erano difetti
in una buia distesa di lenzuola.
E poi Belfast di sotto, una radio
con tutto il dietro divelto,
tra l’astrazione agricola
dei campi. Intricata,
ordinata e sistemata con metodo. Le finestre
brillavano come gocce di fusibile –
tutto era elettricamente connesso.
Pensai ai regali di nozze,
cose bianche da tè,
raggruppate su una credenza,
mentre si entrava nella nube
e non si era in alcun luogo –
una sposa in velo, che rideva
del senso dell’evento, solo
semi impaurita da una casa vuota
con quel ribollimento delle tende
dalla finestra della camera da letto.
Craig Raine, “In volo per Belfast, 1977”, trad. C.Pennati, da A Martian Sends a Postacard Home (Un marziano manda una cartolina a casa), Oxford University Press, 1979, in Trame, N. 9, 1992
Raizan

Oh mondine! –
di non fangoso
c’è solo il vostro canto.
Raizan, “Mondine” da Il muschio e la rugiada. antologia di poesia giapponese, Bur, 1996
Jacques Réda

Un po’ di me se ne va trotterellando
Nel costume da bagno rosso.
L’oceano si muove appena.
Portando via un po’ di lei
Già fugge senza che lo sospettiamo,
Perché – scomparso io –
Lei non avrà mai corso
Così per nessuno
Fino all’onda scintillante
Che il mare rinnova
Salendo verso il secchiello, la paletta,
Segni dell’oblio.
Jacques Réda, “Tashi a quattro anni”, trad. Marco Conti, da L’adozione del sistema metrico, Gallimard, 2004
Angelo Maria Ripellino

Il buon tempo antico era una grossa mela
posata su una nuvola d’ovatta,
uno specchio barocco con una succosa candela,
una rossa rosa spampanata.
Il buon tempo antico era mia madre
col macinino del caffè tra le ginocchia,
e le nere gelse e i sonagli del mare
e il crepitare verdognolo di una ranocchia.
Il buon tempo antico era il signor Botticelli
con un bouquet di variopinte primavere
e una manciata di tremuli uccelli.
Era il calduccio di casa nelle umide sere,
l’infuso di tolù, menta e limone
e i pupi di zucchero sul canterano.
La casa ora è cieca, ma un fioco lampione
si ostina a illuminarla, avvizzito guardiano.
Angelo Maria Ripellino, “Il buon tempo antico era una grossa mela” da Autunnale barocco, Einaudi, 1990