Lo scarafaggio e la satira

«Quella mattina Jim Sams, un tipo perspicace ma niente affatto profondo, si svegliò da sogni inquieti per ritrovarsi trasformato in una creatura immane». L’incipit di Lo scarafaggio di Ian McEwan, ora proposto in versione italiana da Susanna Basso, è tra i più promettenti. Il rovesciamento della “Metamorfosi” kafkiana con uno scarafaggio che un giorno si sveglia uomo politico è una di quelle storie che nessuno sperava di leggere considerate le distanze che separano oggi la narrativa dalla satira politica da un canto e quelle che vogliono la vicinanza dell’attualità senza mai osare, viceversa, uno sguardo critico complessivo.

Ci ha provato uno dei migliori scrittori inglesi. Ian McEwan rappresenta in questa novella l’improbabilità della politica britannica, assume attraverso l’allegoria del politico-scarafaggio un giudizio di valore che non ha bisogno di commenti, ma trasporta la sua vicenda nell’astrazione, spunta l’aggressività e il riso amaro sopra i fantocci messi brillantemente in scena ma abbandonati in una sorta di “routine” della politica.

L’inversionismo

J. Swift, Una modesta proposta

L’invenzione più significativa per perseguire la satira annunciata è – alla maniera di Jonathan Swift, non per nulla specificatamente evocato nella postfazione – “l’inversionismo”, un progetto politico-economico che il premier inglese sottopone al suo Consiglio dei ministri e poi al presidente degli Stati Uniti. L’inversionismo consiste nell’inversione del flusso monetario: lavoratori e impiegati pagano per il proprio lavoro le aziende e, viceversa, vengono pagati per acquistare beni e merci di qualsiasi tipo. E’ intorno a questa idea (mentre il premier si occupa di defenestrare gli oppositori inventando e pubblicizzando uno scandalo sessuale, preparando falsità per la stampa e allontanandosi dal contesto dell’Unione europea), che si risolve la vicenda. Tuttavia sarà deluso chi si dovesse aspettare la vivacità allusiva della satira. Dopo aver imbastito il mondo fittizio di Jim, lo scarafaggio-presidente, la scrittura si perde nel discorso anziché nell’invenzione. Non vedremo insomma gli effetti dell’inversionismo, non vedremo le contraddizioni dell’allegoria. Lo si dica come si vuole, ma McEwan non sembra per nulla attratto dalla satira.

Brexit

C’è inoltre un altro, non secondario, aspetto. Nella sua postfazione l’autore addebita l’assurdità della politica inglese attuale alla scelta e alle conseguenze della Brexit: «…tra caos e paralisi parlamentare, dopo due consultazioni elettorali, in un paese amaramente spaccato in due, la Gran Bretagna sta cercando di realizzare il più insulso, masochistico e inconcepibile proposito della storia di queste isole»…E inoltre, poco più in là: «Se mai riusciremo ad abbandonare l’Unione europea, avrà inizio per noi il faticoso cammino, nella migliore delle ipotesi quindicennale, verso una condizione vagamente analoga a quella in cui eravamo prima (…)».

Ian McEwan è nat nel 1948 ad Aldershot

La cronaca politica, le vacuità e le parole del populismo sulla Brexit e sul dopo-Brexit (se il termine “populismo” può essere applicato solo in questo caso e non all’intero processo di ricerca del consenso della politica), non sono affatto evidenti. Il lettore potrà indovinare i riferimenti allusivi dei politici-scarafaggi, ma la narrazione resta marginale rispetto alla deformazione satirica che il lettore si attende da questi obiettivi, così come lo è la creazione dell’ inversionismo. Perché del resto addebitarlo alla Brexit o alle politiche emergenti e non, per esempio, alla finanziarizzazione dell’economia o, appunto, a un populismo politico che oggi tende ad escludere il contante per affidarlo agli investitori istituzionali? «Il conforto della risata» a cui si appella lo scrittore qualora la ragione non prenda finalmente il sopravvento nel Regno Unito, rimane un’intenzione. Continueremo quindi a leggere il McEwan di “Espiazione” rinunciando al discepolo di Swift.

Marco Conti

Ian McEwan, Lo scarafaggio, trad. Susanna Basso, Pp. 108, Einaudi, Euro 16,00

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