
Potete scegliere l’ipertesto, il computer, lo schermo illuminato. Ma la lettura è un’altra cosa. E’ misticismo, è simbiosi di spirito e corpo. Lo dicevano i padri del deserto, lo sapevano i monaci benedettini. Alla voce delle pagine fa eco quella delle labbra che ripetono, dell’anima che ascolta.
La meditazione, secondo Ugo di San Vittore, vissuto nel 1100 , ha origine nella lettura ma non ha niente a che fare con lo studio dei testi, essa «si compiace di spaziare in campi aperti, dove liberamente può fissare la forza del pensiero». «Le righe – scrive Ivan Illich – sono come una colonna sonora che il lettore capta tramite la propria bocca ed emette vocalmente per il proprio orecchio. Leggendo, la pagina finisce letteralmente per incarnarsi». Plinio fa risalire l’etimologia della parola pagina alla spalliera lungo la quale si dispongono le viti, dove le righe sono i fili che sostengono l’uva. I medici ellenistici consigliavano la lettura per ristabilire il corpo così come prescrivevano il gioco o le passeggiate e, d’altra parte, veniva vietato invece al malato di «leggere con le proprie labbra».
Diciassette saggi di sedici autori

Si capisce così come il misticismo cristiano si sia accostato alla Bibbia in quanto esperienza totalizzante in cui prevalgono spesso metafore fisiche, carnali. «Divorai quel libro divino – dice l’autore dell’Apocalisse – ne sentii nelle viscere tutta l’amarezza ma in bocca lo sentii dolce come il miele».
Ora un fitto volume, La lectio divina nella vita religiosa, vale a dire la lettura divina delle sacre scritture, percorre con diciassette saggi di sedici autori la storia e i suggerimenti di questa esperienza: da Origene a Benedetto, da Isidoro di Siviglia a Bernardo di Clairvaux. Il libro nasce dagli otia monastica, dalla quiete verde della comunità monastica di Bose, a Magnano, fondata nel 1975 da Enzo Bianchi che figura tra gli autori del saggio (proponendo una sua lettura biblica) con un altro monaco, Guido Dotti, e un terzo rimasto anonimo, solamente per citare gli autori di Bose.
Ora et labora et lege
E’ l’ultimo volume dato alle stampe (nel 1995 Ndr) dalla piccola ma autorevolissima casa editrice del monastero biellese, Qiqajon, termine ebraico con il quale si indica “l’albero che è cresciuto”. La sigla editoriale ha ormai riunito una settantina di titoli suddivisi in collane che riguardano, in sintonia con la matrice ecumenica della comunità, tanto la spiritualità biblica occidentale, quanto quella orientale (è da Bose che ci ha raggiunto la stampa di Il sale della terra di Florenskij dove è raccontata la vita dello starec Isidoro.
Alla regola benedettina ora et labora et lege et nola contristare, di cui proprio la lettura di Guido Dotti sottolinea l’interscambiabilità dei termini nell’antologia di cui parliamo, Bose ha prestato non solo l’attenzione culturale, ma anche la conoscenza specialistica di diversi monaci esegeti e traduttori, dal greco, dall’ebraico, dal sanscrito, dal russo. «Per il monaco – scrive Illich nella sua interpretazione di Ugo da San Vittore – come per il retore classico o per il sofista, la lettura coinvolge tutto il corpo. Tuttavia essa, in ambito monastico, non è un’attività, bensì un modo di vivere». Tanto potrebbe essere sufficiente per interpretare con i capitoli della lectio divina anche il lavoro da cui nasce.

Origene e l’interpretazione

L’approccio alle sacre scritture suggerito da queste rivisitazioni è talvolta straordinariamente moderno. Basti pensare alle parole di Origene che quasi richiamano il senso dell’interpretazione polisemica della poesia moderna: «Le scritture sono state composte per opera dello Spirito di Dio e contengono non quel solo significato che è manifesto ma anche un altro, che sfugge ai più». Guigo il Certosino, circa mille anni dopo, sembra riprendere lo stesso concetto spiegando che la parola ha un senso esterno e uno interno: «La lettura è un’attività secondo il senso esteriore, la meditazione secondo la comprensione interiore, la preghiera secondo il desiderio, la contemplazione al di sopra di ogni sensazione».
Attraverso le pagine di questa “guida” alle sacre scritture, i termini di meditazione e contemplazione – ci si accorge – ricorrono con frequenza. Segno che, in fondo all’esperienza suggerita, c’è la strada della conoscenza mistica. Non per nulla fra le metafore della lettura, il cibo è sempre associato “all’ingestione” dello Spirito.
Parole da masticare
Le parole della Bibbia debbono essere mormorate, le pagine ruminate. simbolicamente masticate. Come il puro folle, come l’artista maudit , come lo sciamano, anche il monaco cerca il contatto con un altro mondo, con un luogo ignoto, con “il luogo” in questo caso per eccellenza.
Il deserto dei padri spirituali non è che un’altra metafora della solitudine, del silenzio e della contemplazione. In questa esperienza ciò che è semplice (ovvero comune alla vita di tutti i giorni) deve divenire oscuro per poi nuovamente risplendere.
Una poetessa russa, Marina Cvetaeva, scriveva: «Ho una malattia inguaribile e si chiama anima».
Marco Conti
E. Bianchi, B. Calati, F. Cocchini, I. Illich e AA. VV. la lectio divina nella vita religiosa, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano, 1994
Marco Conti. “Il piacere alimentare delle sacre scritture” in Eco di Biella, 06.02. 1995, p. 13

Uno scorcio del monastero di Bose, Magnano, (BI)