
Con tutta la sua carica di ironia e di humor, il mondo romanzesco di Boris Vian è un microcosmo inquietante e incerto. Si sorride, si ride, ma qualcosa resta oltre la cortina delle figure strampalate, degli animali parlanti. Il confronto è chiaro: i personaggi di Vian non precipitano in un incubo clamoroso e assurdo come accade per quelli di Kafka, né si ritraggono dal mondo come le scarne figure di Beckett. Viceversa vivono in un altrove a noi sconosciuto e inappellabile. Colin, il protagonista della Schiuma dei giorni, così come i personaggi di Lo Strappacuore, conoscono le leggi e le assurdità (ai nostri occhi) con cui debbono confrontarsi, eppure l’incertezza regna sovrana e l’irreversibile può accadere da un momento all’altro.
Piccoli indizi
Bastano piccoli indizi: la sedia a dondolo del portiere di Colin che ha un motore scoppiettante al ritmo di una polka; lo stesso Colin che carezza i topi affacciatisi nella smagliante, lucida cucina di casa. Nessuna di queste circostanze ha un valore allegorico, nessuna è un traslato destinato a rendere significanti le vicende. Sorridete leggendo dei cocci di vetro che ricrescono? Deve averlo fatto anche Vian scrivendolo.
Lo humor surrealista, così come l’immaginario assurdo e quotidiano della sua narrativa, sembrano piccoli mostri pressati dentro un cartone, entità che aspettano di balzarci di fronte, dritte, sorridenti o angosciate e dondolanti sopra una molla.
E’ questa condizione che ci lascia ansiosi pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo. E c’è molto altro.… C’è soprattutto la sorte di ognuno dei protagonisti. Ma ai peggiori destini il romanzo ci ha abituati fin dalla sua nascita, fin dai tempi in cui ancora non esisteva come romanzo, ma semplicemente come cronologia di avventure.

Ciò che rende unica la pagina di Vian non è solo l’estensione capillare del suo immaginario ma il suo sostanziarsi con l’invenzione di parole che corrispondono a quel mondo fittizio.
A fronte di un linguaggio e di un registro che non cercano la deformazione dell’espressionismo, Boris Vian introduce da un canto l’ideazione di un mondo a se stante, dall’altro il lessico che lo oggettiva. Anziché la metafora visionaria, sceglie per esempio il neologismo, oppure abbina un suffisso a un nome, ma soprattutto crea con il nome la cosa.
Ballando le Biglemoi
E’ naturalmente quest’ultimo il dato più originale, variamente illustrato. Marie-Christine Loriot (1) ha aggiunto, in un suo studio critico, alcune cruciali esemplificazioni, come l’invenzione del biglemoi, vale a dire un ballo che non ha alcun referente reale al di fuori di quello descritto dal romanzo e realizzato dai personaggi de La schiuma dei giorni. Boris Vian insegna i passi di danza, li osserva, progetta ed esegue la realtà immaginaria.

Viceversa le deformazioni di lemmi come Suisse (Svizzero- Svizzera) in Chuiche, che producono un effetto comico, restano isolate nel tessuto sintattico della frase, evitando quindi un percorso linguistico del tutto straniante sull’esempio – per intenderci- dei Finnegans Wake (all’estremo di una ideale casistica), ed escludendo di pari passo la misura espressionista di sovrapposizioni e incroci di registro come accade (ancora a puro titolo di esempio) nella narrativa di Carlo Emilio Gadda, autonoma tra dialetto, linguaggio alto e lemmi arcaici.
La nuvola inseguitrice
Più frequente è invece il surrealismo con cui gli oggetti inanimati acquistano caratteri biologici (i già citati vetri rotti che ricrescono come fiori) o i campanelli che passeggiano per avvisare il titolare dell’arrivo di un ospite. Marie-Christine Lariot cita quello straordinario di una «Nuvoletta che non li aveva seguiti» perché aveva preso una scorciatoia e attendeva altrove i personaggi.
Nell’universo di Boris Vian, campanelli e nuvole hanno quindi perfetta consapevolezza di essere e di poter decidere nel merito.

La realtà del narratore somiglia dunque a quella animistica dove la pronuncia della parola, il rito e l’incantesimo, modificano il reale e hanno statuto ora sopra, ora accanto al reale, secondo le circostanze. In questo caso l’incantesimo avviene tuttavia senza il parallelismo dell’analogia dichiarata, nella gratuità dell’immaginario. I vetri ricrescono in assenza di un paragone espresso, la nuvola sceglie di accompagnare i personaggi, senza implicare una simbologia di alcun tipo. Di pari passo anche i foruncoli del protagonista della Schiuma dei giorni riflettendosi nelle specchio delle mattutine abluzioni, trovano di essere brutti e per conseguenza ritornano nell’epidermide, si nascondono come elfi di una narrazione di genere.
Tre paragrafi e tre sorprese
Ecco qualche esempio dalle prime tre pagine del romanzo La schiuma dei giorni nell’originale e nella traduzione di Gianni Turchetta per l’edizione Marcos y Marcos (1992).
A. Colin, uscito dal bagno, si è appena sistemato i capelli, asciugato per bene, e ha smussato gli angoli delle sue palpebre per avere uno sguardo misterioso. A quel punto accende la lampada dello specchio, che è uno specchio d’ingrandimento e vi si avvicina per osservare lo stato dell’epidermide:
“Quelques comédons saillaient aux aleontours des ailes du nez. En se voyant si laids dans le miroir grossissant, ils rentrèrent prestamente sous la peau, et satisfait, Colin éteignit la lampe.“
“C’erano un po’ di punti neri che spuntavano dalle parti delle pinne del naso. Però guardandosi nello specchio d’ingrandimento si videro così brutti che rientrarono prontamente sotto la pelle e Colin, soddisfatto, spense la lampada.”
Topi in cucina

B. Il corridoio della cucina di Colin è luminoso, vetrato da due lati e il sole brilla costantemente. Inoltre:
“Il y avait des robinets de laiton soigneusement astiqué, un peu partout. Les jeux des soleils sur le robinets produisaient des effets féeriques. Les souris de la cuisine aimaient danser au son des chocs des rayons de soleil sur le robinets, et couraient après les petites boules que formaient les rayons en achevant de se pulvériser sur le sol, comme des jets de mercure jaune. Colin caressa une des souris en passant, elle avait de très long moustaches noires, elle était grise et mince et lustrée à miracle.“
“Un po’ dappertutto si potevano vedere die rubinetti d‘ ottone, sempre ben lucidati. I giochi dei soli sui rubinetti producevano effetti fiabeschi. I topi della cucina, cui piaceva molto ballare al ritmo che i colpi dei raggi di sole battevano sui rubinetti, correvano dietro alle bollicine formate dai raggi che si andavano a spegnere per terra, come spruzzi di mercurio giallo. Colin, passando, accarezzò uno dei topi: era grigio e snello e prodigiosamente lustro”.
C. La descrizione del protagonista non segue lo stesso spartito inventivo, crea un sommario caricaturale della narrazione in terza persona di un narratore onnisciente, lasciandoci una notazione finale incongrua : “ Le nom de Colin lui convenait à peu près. Il parlait doucement aux filles et joyeusement aux garçon, Il était presque toujours de bonne humeurs, le reste du temps il dormait.”
“Il nome di Colin (2)gli stava tutto sommato bene. Alle ragazze parlava con dolcezza e ai ragazzi con allegria. Era quasi sempre di buon umore, e nelle ore che restavano dormiva.”
Straniamento

Lo straniamento umoristico inerente il passare del tempo tra buonumore e sonno è appena sopra le righe. Nel suo contesto tuttavia non si può parlare con proprietà di una pennellata “caricaturale”: non lo è infatti per gli attributi che vi si accompagnano. Nella pagina successiva il lettore seguirà Colin in cucina tra ottoni lucidi e topi. Qui egli considera: «La lancetta del forno elettrico, regolata per il tacchino arrosto, oscillava fra il ‘quasi’ e l’ ‘a puntino’». Non c’è, in sostanza, solamente una realtà di riferimento che si presta alla satira, ci sono elementi caricaturali ed elementi che divergono e si sottraggono a questa nozione come le carezze ai topi, i foruncoli retrattili, le nuvole coscienti, i balli d’invenzione, i motori al ritmo di polka. Il tessuto narrativo che ne deriva non presenta dunque la realtà sotto forma di “esagerazione”, ma sotto quella di “straniamento” e di alterità.
Le ultime pagine
Allo stesso modo con cui Vian ci fa sorridere, comunica golfi di inquietudine e altrettanto inedite folgorazioni liriche. Se corriamo alle ultime pagine della Schiuma dei giorni troviamo un’ulteriore conferma: un topo si suicida tra le fauci di un gatto che, malvolentieri, accetta la sua carne. In quel momento «Arrivavano cantando, undici ragazzine cieche dell’orfanotrofio di Giulio l’Apostolico».
Naturalmente tranchant… E naturalmente scritto a «Memphis, 8 marzo 1946. Davenport 10 marzo 1946». Altrove.
Marco Conti
(1) Marie-Christine Loriot, La Nouvelle Revue Critique, N°. 175, aprile 1966.
(2) Colin, fa osservare il traduttore italiano di L’ Écume des jours, non è solo diminutivo di Nicolas, ma anche il nome d’uso per un tipo di merluzzo
