
Nel 1791 la Francia ha appena finito di scrivere la Costituzione basata sulle idee di Montesquieu e di Rousseau. I filosofi e i loro libri hanno in quegli anni di rivoluzione un peso che oggi possiamo solo immaginare. Ma si scrive di ogni cosa con grande slancio. Si scrive di storia, di morale, di viaggi e naturalmente si scrivono prose d’invenzione. La produzione è tutt’altro che avara, tant’è vero che si pubblica un bollettino di novità: La Feuille de correspondance du libraire, ou Notice des ouvrages publiés dans les différents journaux qui circulent en France e dans l’étranger. Nel dicembre di quell’anno cruciale i titoli sono centinaia. Dal primo giugno 1791 (quando si inizia a stampare “La Feuille” sostituendo “Annonces de bibliographie moderne”) al 15 dicembre, i titoli recensiti sono 2005. Tra questi compare Justine, ou les Malheurs de la vertu.
Justine, tra i best-sellers

Il libro, diviso in due volumi, stampato su carta pregiata, non riporta il nome dell’autore, il marchese Alphonse Donatien François de Sade. E come accade spesso per le opere che scottano, il frontespizio non riferisce neppure il nome dell’editore. Il testo risulta stampato in Olanda come tante altre opere clandestine. Per il marchese de Sade, uscito dalla prigione della Bastiglia appena tre anni prima, dove ha scritto l’opera, è il suo primo libro stampato. Ha 51 anni e sarà costretto a trascorrerne un’altra ventina in manicomio, vale a dire fino alla sua morte. Eppure, nell’immediato, non è la storia di Justine che lo mette nei guai. Il libro attira l’attenzione di molti intellettuali e avrà alcuni estimatori. Ma per capire meglio la portata della narrazione sadiana non è affatto il caso di richiamare le pagine ottocentesche di Heine o, più tardi, quelle di Breton. E’ esattamente un bollettino anonimo a mostrare l’interesse che suscita Justine in un lettore di fine Settecento.
La prima recensione di “Justine”
La Feuille de correspondance del dicembre 1791 non è semplicemente un elenco di titoli. La redazione si occupa spesso di aggiungere delle note di commento, di pubblicare brevi estratti e riprendere le critiche che i testi hanno già avuto. C’è anche una sezione, per così dire, politica, una rubrica in cui si parla delle “Opere relative alle attuali circostanze”…C’è insomma ben più dell’essenziale. Il fatto stesso che vi compaiano opere clandestine è una novità. La censura è stata abolita nel 1789 e se il romanzo di de Sade non indica editore e autore, ciò è dovuto al timore di incorrere comunque in una ritorsione visto che i temi sono inerenti la morale dell’individuo e della società.
Su 2005 titoli i commenti della redazione riguardano però solo la metà dei libri e quando questo accade le osservazioni non vanno di norma oltre le tre o quattro righe. Jean-Jacques Pauvert, coraggioso editore di Sade negli anni Cinquanta (per questo finirà in carcere) e poi studioso e biografo dell’autore, scrive in Sade vivant: « Deux douzaines seulment des notices comptent 17 lignes ou davantage». Per lo più a guadagnarsi 17 righe sono di libri di viaggi o di filosofia. L’unico romanzo che sollecita tanta attenzione è quello di Sade, venduto in quel mese a 7 lire e 10 soldi. L’incipit della recensione va al cuore di quello che sarà il tema principale dell’opera per altri due secoli:

«Se, per far amare la virtù, c’è necessità di conoscere l’orrore del vizio per intero, e le atrocità che questo può far compiere a quelli che non sanno mettere un freno ai loro desideri, questo libro può essere letto con profitto; è parimenti possibile, che spaventati dall’affresco orrendo che l’Autore ha saputo fare dei crimini, i più rivoltanti, della dissolutezza più malvagia, i lettori finiscano per vergognarsi di essersi abbandonati a tramiti così esecrabili e come l’eroina di questo romanzo, riprendano il sentiero della virtù, dopo averlo mille volte insozzato. Ma come essere contenti di un simile successo quando è dimostrato che di tutte le corruzioni, è quella del cuore la più incurabile?
Questo libro è quindi quantomeno molto pericoloso, e se noi ne facciamo conoscere qui l’esistenza, è perché proprio come il titolo potrebbe indurre in errore dei giovani senza esperienza, che si impregnerebbero dunque del veleno che contiene, vogliamo preavvertire le persone incaricate di vegliare sulla loro educazione, affinché abbiano modo di sottrarlo accuratamente alla loro vista, o farne leggere i passaggi più adatti perché si ribellino, semmai per la loro immaginazione sono assolutamente necessarie suggestioni forti e terribili.»
Lo scandalo in 4 edizioni… e il suo seguito

Questa è dunque la ricezione dell’opera dei contemporanei e questo il registro morale prevalente e persino più disponibile rispetto a quello futuro, quando l’opera di Sade nel suo complesso sarà interdetta. Nel 1792 Justine viene ristampato in una nuova edizione (oggi si direbbe “in economica”) che costa 6 lire, ma c’è il sospetto che in realtà sia la terza perché alcuni bibliografi segnalano un’altra edizione in diciottesimo (un piccolo formato) ancora nel 1791 ed è del 1796 una quarta edizione. E’ inoltre probabile che vi siano state altre stampe con incisioni pornografiche come accadeva di frequente per i libri erotici che circolavano anonimi (fu il caso per esempio della Pulzella d’Orleans di Voltaire, anche questa comparsa prima anonima). Certamente Justine ha appena cominciato ad attirare gli strali che consegneranno l’autore, senza alcuna giustificazione, al manicomio di Charenton. Ancora nel 1792 sul supplemento di Affiches, annonces et avis divers, ou Journal général de France, figura un lunghissimo articolo dove si riassume l’intera storia del romanzo. Anche qui l’interesse del libro è ovvio e, come accade con il “Bollettino” indicato, il redattore chiude la sua fatica con alate parole morali di ammonimento: «…leggetelo per vedere dove conduce l’immaginazione umana; ma subito dopo, gettatelo tra le fiamme: è il consiglio che darete a voi stessi se avete la forza di leggerlo interamente.»
Il romanzo sarà ristampato ancora per cura dello stesso autore. A causa di questo, della nuova versione, ovvero La nouvelle Justine e dell’ Histoire de Juliette, sarà arrestato con il suo editore e tutte le copie verranno sequestrate. Ma mentre l’editore Nicolas Massé sarà liberato qualche giorno dopo, Donatien de Sade rimarrà detenuto in manicomio sino alla fine dei suoi giorni.
Lo sguardo collettivo

E’ curioso osservare che dal primo riscontro sul Bollettino bibliografico, fino agli anni Sessanta del Novecento, la disposizione dell’intellettuale, del moralista e del politico coincidano (sia pure con alcune eccezioni: Maurice Heine, Gustave Flaubert, André Breton, naturalmente il Georges Bataille di La letteratura e il male). Per tutti gli altri il desiderio di immergersi nella lettura di Sade e di ragionarvi è pari solo al desiderio di censurarlo a cose fatte. Il che appare vero non solo rispetto a un codice morale o religioso con il quale confrontarsi, ma anche rispetto all’ampia rassegna del successo letterario più osé di Eros e Thanatos. Dissoluzione morale e morte sono frequenti nel Settecento di Sade: Restif de la Bretonne (che a garanzia del successo di Sade scrive “L’Anti Justine”), Giacomo Casanova, Choderlos de Laclos, e successivamente Octave Mirbeau, a voler tacere dei versanti gotici e del vampirismo romantico. Lo scarto rispetto a questa letteratura è che la pagina di Sade non suggerisce né allude, e neppure crea un’atmosfera emotiva. Il tema sottostante della letteratura sadiana è quello rilevato da Roland Barthes: ogni gesto osceno è prima un discorso sull’oscenità, ogni trasgressione è, prima di essere rappresentazione, una parola che dirime e preordina la trasgressione. I personaggi sadiani non sono in definitiva reali ma sono incarnazioni di un discorso. E la voce del narratore che li pronuncia chiama ogni volta in causa, con l’eros, il potere. Un potere perentorio e trasversale. In scena non è solo il borghese, ma il nobile, l’ecclesiastico, il magistrato, fin là dove l’esemplarità sembra trascendere la storia. Ciò che alla fine il lettore percepisce (e a maggior ragione lo fa nell’allucinato Le centoventi giornate di Sodoma) non è il desiderio della carne o la sua fragilità, né lo scarto rispetto alla norma erotica accettata, ma la presenza gratuita del potere. «Le tonnerre» che Maurice Heine sentiva nelle pagine di Justine forse identificava propriamente questa qualità.
Marco Conti
© Marco Conti, Il successo di Sade e Justine, Le muse inquiete.it
Bel post, l’ho condiviso con i miei amici.