Guerra, ovvero il Céline ritrovato

 

Il manoscritto recuperato con altre migliaia di carte era stato trafugato dall’abitazione di Céline nel primo dopoguerra 

Il 17 giugno 1944 Louis-Ferdinand Céline decide in fretta e furia di lasciare Parigi, ormai prossima alla liberazione, per scappare in Germania con la moglie Lucette e il suo gatto. E’ già autore di due  tra i più notevoli romanzi europei della prima metà del secolo: Viaggio al termine della notte, nel 1932, e Morte a credito, nel 1936. Il punto è che, nella sua rabbia contro il mondo e gli uomini, ha scelto di schierarsi sia contro la guerra, sia con la Germania e non solo: è autore di tre pamphlet che incolpano ebrei, capitalisti e comunisti del degrado della Francia. Abbandonando la sua casa , Céline (il nome d’arte è stato mutuato da quello della nonna:  lo scrittore all’anagrafe è Louis-Ferdinand Destouches) lascia dietro sé un’enorme quantità di manoscritti che rivendicherà fino all’ultimo giorno senza poter mai entrarne in possesso. Dopo essere scappato ed essere stato catturato in Danimarca, dove sconterà la prigione per collaborazionismo, sarà di ritorno in Francia nel ’51, ma  non scoprirà mai come reperire gli scritti rubati, a quanto pare quindicimila fogli. Né lo potrà fare l’erede degli inediti, la moglie, che morirà solo nel 2019, a 107 anni.
Il mistero si risolve però nello stesso anno. Un giornalista di “Liberation”, Jean-Pierre Thibaudat, rivela di essere stato per oltre vent’anni il possessore degli inediti avendo ricevuto i manoscritti da un combattente della resistenza francese, Yves Morandat che, nell’affidarglieli, aveva preteso il segreto fino alla morte della vedova Celine. Non voleva forse che i testi fossero usati politicamente dai movimenti di destra e del resto si trattava di materiali trafugati indebitamente.

E’ così che Guerra – cronologicamente una premessa autobiografica del Viaggio al termine della notte –  diventa un eclatante caso letterario, oggi proposto nella versione italiana di Ottavio Fatica edita da Adelphi, a tre anni di distanza da quella originale. Fin d’ora si sa che a Guerra seguirà un altro romanzo inedito, Londres (giù stampato in Francia l’anno scorso da Gallimard) e una più ampia versione di Casse-pipe.  Una storia, quella degli inediti ritrovati, che parrebbe fatta per essere scritta da Céline…Benché il finale della vicenda,  tutto sommato edificante, non avrebbe forse convinto l’ autore che, sul genere umano, nutriva la più sconfortante sfiducia spinta fino alla soglia della paranoia o del nichilismo.

Il romanzo

«Sarò rimasto lì ancora una parte della notte dopo. A sinistra tutto l’orecchio era appiccicato a terra con il sangue, la bocca pure. Fra l’uno e l’altra un rumore immenso. In quel rumore ho dormito e poi è piovuto, pioggia di quella fitta fitta.»

Un incipit che restituisce immediatamente la voce  di Céline: il monologo in prima persona come in tutti i romanzi di Céline, il colloquio intimo in argot. Lo scrittore torna idealmente indietro nella propria autobiografia rispetto alla vicenda di Viaggio al termine della notte dove il protagonista è un medico che, dopo aver preso parte alla prima guerra mondiale, si imbarca su una nave diretto nelle colonie. Con Guerra Céline ferma l’attenzione sul momento in cui rimase ferito durante un’azione militare e sopravvisse, unico della sua pattuglia, restando per ore sul terreno prima di tentare di tornare, ferito, nelle retrovie. La narrazione si sposta quindi nell’ospedale in cui viene ricoverato  dove prende corpo ancora una volta la visione di un’umanità sofferente e grottesca, tra derelitti, canaglie, bugie, perbenismo di maniera. Anche nelle corsie ospedaliere di sofferenti e moribondi c’è in sostanza lo spettacolo infimo che lo scrittore ha sempre paventato con furfanti che cercano di trarne qualche guadagno, con la pietà e l’eros incarnati dell’infermiera L’Espinasse. Figura estrema anche questa che offre il piacere della masturbazione anche ai moribondi. Il timbro è quello consueto, inconfondibile, di una voce sardonica, a tratti grottesca nell’impasto di tragedia e humor nero. Emozioni e piccolezze sono raccontate con un linguaggio basso ma capace di ritagliare scorci lirici: «Guardavamo i giardini, gli alberi sopra i muretti di mattoni. In cielo c’erano grasse cannonate e poi anche grasse nuvole tutte rosa e tutte pallide», scrive quando, con un commilitone, riesce a uscire dall’ospedale dove è ancora degente senza farlo sapere agli altri ricoverati.

La medaglia al caporale Céline

Il caporale Céline, nella realtà come in questa prosa, sarà insignito di una medaglia. E dire che, interrogato da un ufficiale durante il ricovero ospedaliero, temeva di finire davanti al plotone di esecuzione. Ma così come ogni accusa sarebbe stata demenziale, per il caporale è demenziale anche il premio ricevuto e il suo corollario, con commilitoni e genitori emozionati per l’onore che dà lustro alla famiglia:

«Mio padre era come paralizzato. Di punto in bianco ero diventato qualcuno. Ne parlavano già tutti al passage des Bérésinas della mia medaglia, dicevano. Mia madre aveva la lacrimuccia, la voce commossa. A me però mi dava pure il voltastomaco.»

Céline avrebbe voluto invece che finisse il frastuono, il rumore di fondo incessante che avvertiva nella sua testa, uno sferragliare dovuto all’esplosione di un ordigno che lo aveva scagliato contro un albero e colpito alla testa. Ma se il corpo, la precarietà che vi è inscritta, sono una costante in queste pagine, lo stesso vale per l’eros e per il fragilissimo velo di ragioni morali. La narrazione, in principio del tutto filtrata dalle preoccupazioni del protagonista, sposta poco a poco il baricentro verso la vita dell’ospedale, l’amicizia con il vicino di letto, Cascade (in principio nel manoscritto chiamato Bébert, come il gatto dello scrittore!), i traffici e il lenocinio della moglie di quest’ultimo con  i soldati inglesi acquartierati nella cittadina, riuscendo fino alla fine a mantenere viva la sospensione tra i personaggi e le loro sorti.

Nella premessa François Gibault osserva che il manoscritto era una prima stesura; il testo avrà la sua naturale continuazione con il romanzo già citato, Londra, concomitante peraltro con la tappa successiva della vita reale di Celine.

François Morane

Louis-Ferdinand Céline, Guerra (a cura di Pascal Fouché),  pp. 156, Adelphi, 2023; euro  18,00

 

La vita di Stephen Crane riletta da Paul Auster

Prima edizione, 1895 Se aprendo le pagine di Ragazzo in fiamme pensate di apprestarvi a leggere la tradizionale biografia di un scrittore di fine Ottocento, che probabilmente non conoscevate, avete sbagliato di grosso. Capita invece che, Paul Auster emerso dalle fatiche del suo romanzo più vasto, 4 3 2 1,  ancora …

Barbero, “Tutto ciò che è solido svanisce nell’aria”

Con “Brick for stone”, Alessandro Barbero immagina un thriller che accompagna l’attentato alle Torri Gemelle di New York

«Poi sentirono di nuovo urlare la folla, ma come non aveva mai urlato finora, e si volsero a guardare laddove guardavano tutti. Una delle due Torri non c’era più. L’altra continuava a bruciare, come bruciava da più di un’ora, vomitando fiotti di fumo infernale.» L’immagine è vivida e il finale dell’ultimo romanzo di Alessandro Barbero, Brick for stone, è noto: le Twin Tower crollano e sembrano svanire nell’aria.

Il circo dei mostri

La narrazione termina, quindi, con l’attentato dell’11 settembre 2001 e cosa racconta? Racconta i mesi precedenti, durante i quali una squadra organizzata dall’agente della CIA, Harvey Sonnenfeld, indaga, cerca indizi, formula ipotesi. I consulenti di Harvey sono un ingegnere russo, Grišunja, esperto in attentati; uno studioso di frasi offensive e graffiti osceni, il prof Kosellech; il direttore del Mc Donald’s del centoduesimo piano della Torre Nord, Francy Flores; lo scacchista Bobby Fischer. Le scelte di Harvey sono a dir poco discutibili tanto che i suoi colleghi definiscono questo gruppo mal assortito “il circo dei mostri di Sonnenfeld”. La Ditta, come la chiama Harvey, è a conoscenza di un possibile attentato a New York, a Manhattan, ma non ne conosce modalità e tempistiche; pertanto, l’agente ottiene i finanziamenti necessari e sguinzaglia i suoi uomini. Il loro compito consiste nell’andare in giro per l’isola osservare ed ascoltare e, soprattutto, riferire ogni deduzione, ogni segno, ogni premonizione. Kosellech analizza i graffiti nei bagni pubblici e le scritte sui treni della metropolitana perché vi è la certezza che gli attentatori debbano comunicare fra loro anche attraverso canali inconsueti. Effettivamente, individua due scritte che compaiono sui treni “burn Manhattan” e “hit the Toweers”; la seconda scritta oltre l’errore ortografico è accompagnata da due tratti verticali.

Obiettivo confermato

«Secondo lei è da pazzi pensare che quelle scritte possano essere messaggi in codice scambiati dai terroristi?» chiede l’agente al suo informatore, mentre si fa strada in lui la conferma dell’obiettivo e la risposta «quando si tratta della specie umana può succedere di tutto» fuga ogni dubbio. Il problema diventa capire come possano essere abbattute le Torri Gemelle dato che l’impresa sembra quasi impossibile, ma Harvey, anche in questo caso, ha la persona giusta: Bobby-boy Fischer, ovvero l’uomo che immagina le combinazioni impossibili.

Hey Torri, stiamo arrivando

In metropolitana, Harvey trova un biglietto incollato al suo sedile del treno “Hey Towers we’re coming” e si rende improvvisamente conto che il tempo è finito, che solo lui può fermare tutto. Barbero, però, è affascinato dalle disfatte, dai grandi sforzi organizzati che finiscono malissimo e questa storia non fa eccezione.  L’impegno profuso finisce in quella nuvola bianca finale originata dal crollo della Torre Sud, che porta con sé anche il coronamento di una delle storie d’amore raccontate nel libro.

Tra realtà e finzione

A differenza delle opere narrative preceenti l’ultimo lavoro di Barbero non è un romanzo storico. Brick for stone è totalmente finzione letteraria, così come lo è la moltitudine di personaggi, ad eccezione del campione del mondo di scacchi Robert James Fischer, che nel settembre 2001 era ancora in vita, ma non a New York. Il personaggio Bobby Fischer è costruito con tutte le caratteristiche  note dell’uomo, ma Barbero ne inventa il rapimento e la collaborazione con la Cia. Del resto le vicende e i loro protagonisti sono inventati ma verosimili, credibili  nell’ America di inizio Millennio, come altrettanto credibili sono i linguaggi utilizzati, adeguati ai diversi contesti sociali, non solo nei dialoghi, spesso indiretti liberi, ma nei pensieri, nelle riflessioni. Il narratore  è esterno, ma contiguo, quasi mimetizzato nel contesto, capace di calarsi via via nella focalizzazione dei singoli personaggi rendendo così l’opera corale e multifocale.

Alessandro Barbero durante la presentazione del suo ultimo romanzo

Un romanzo “diverso”

Un filo conduttore che unisce questo romanzo “diverso” agli altri dello storico più seguito d’Italia è certamente l’interesse per la centralità della città, attraversata dai personaggi, vissuta, respirata e perciò ricreata nelle pagine. È stato così per Atene, per Fiume, per Parigi, per Venezia e ora per New York, che è mostrata nei suoi quartieri, nelle vie e colpita nel suo cuore economico. Un tratto, invece, non caratteristico di Barbero è evidente fin dalla copertina: il titolo del romanzo e delle tre parti che lo compongono sono in inglese. Brick for stone, cioè Mattone al posto di pietra, proviene dalla Bibbia di re Giacomo, in particolare dall’episodio della Torre di Babele come riportato in esergo; mentre l’ultima è una citazione di Marx All that is solid melts into air, ovvero tutto ciò che è solido svanisce nell’aria. Una sequenza di riferimenti storici che si accompagnano a quelli meno evidenti, come quando, en passant, è possibile cogliere una parte di una delle sue conferenze sull’Editto di Rotari: «Una volta Harvey aveva letto di chissà quale popolo barbaro, nei secoli bui, che stabiliva per legge delle compensazioni, nel caso che qualcuno fosse ammazzato o malmenato: se ti danno un colpo di spada in testa, ma senza romperla, la cifra è fissa; se invece schizzano via pezzi d’osso, hai diritto a una certa cifra per ogni frammento. Il legislatore era barbaro, ma non stupido: anche lui si era chiesto come bisognava contarle, le schegge.» Una voce che si fa riconoscere anche attraverso il piglio ironico, come quando, a poche ore dall’attentato si avverte la tranquillità di Bobby Fischer che riflette su cosa possa mai andare storto su un aereo, sul quale si sente ormai al sicuro.

Giancarla Savino

Alessandro Barbero, Brick for stone, Sellerio, pp. 346, Sellerio, 2023; euro 16, 00

 

 

 

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