Frankenstein, la storia nata da un gioco

Lord Byron lasciò la villa dove nacque Frankenstein alle sette del mattino del 17 settembre 1816. Con la secchezza di un telegramma scrisse nel suo diario: «Sveglia alle cinque – lasciata villa Diodati alle sette – su una delle vetture del posto (char à bancs) – la servitù a cavallo – …

Il business della letteratura e i media, tra Harry Potter e Murakami

 

Non si sono mai lette, né viste, tante storie. Un romanzo di successo propone una versione digitale, un film, un serial, qualche volta un fumetto o un gioco,  oppure ancora un parco, due, tre parchi tematici come è accaduto per la saga di Harry Potter. Una storia di successo può essere tradotta nel giro di pochi giorni o contemporaneamente al lancio in più lingue e può persino avvenire che le traduzioni siano oltre cinquanta. E’ quindi cruciale la domanda che si pone Giuliana Benvenuti nel saggio introduttivo al libro da lei curato, La letteratura oggi. Romanzo, editoria, transmedialità, edito da Einaudi nella collana Pbe: quale funzione riveste oggi la letteratura? E inoltre: c’è una relazione di continuità con la tradizione? Un interrogativo che ci mette subito di fronte a una seconda questione: la letteratura è ancora conoscenza critica e condivisione dell’esperienza umana e storica, oppure è divenuta intrattenimento? Il saggio risponde che la linea di demarcazione tra i due volti prefigurati è meno netto di quanto si possa pensare. Ma al di là dell’elaborazione critica il libro è anche una antologia di “casi”, una esplorazione nel cuore delle lettere e del mercato editoriale e digitale del nuovo millennio che presenta una sequenza di undici saggi dedicati ad altrettanti autori e al loro successo: José Saramago, Umberto Eco, Salman Rushdie, Murakami Haruki, Stephen King, J.K. Rowling, Michel Houellebecq, Margaret Atwood, Orhan Pamuk, Elena Ferrante.

Qui comincia l’avventura

Tra il 1960 e il 1980 il mercato statunitense (qui preso come unità di misura delle trasformazioni dell’editoria avvenute in occidente) si registrarono 573 fusioni e acquisizioni che alla fine comportarono il dominio di 15 grandi aziende con il 72,4 per cento delle proprietà del settore. Editori come Schiffrin e Epstein contestarono più tardi che fino agli anni Cinquanta l’editoria faceva ricerca di qualità dando corpo a una missione culturale, mentre alla fine del ‘900 ogni sforzo è stato concentrato sul profitto. Ad ogni passo i grandi editori di oggi invocano le leggi del “mercato”, cercando persino di dare un’immagine democratica alle politiche speculative con la scusa che il pubblico deve scegliere quel che vuole. Ma se queste sono le motivazioni sempre in corso (in fondo anche il feuilleton era un media popolare a basso costo per tutti), il discrimine intervenuto alla fine del Novecento è ovvio: la nascita di piattaforme digitali dedicate, la brandizzazione degli autori di culto, cioè il corrispettivo dello star system del cinema, gli investimenti fatti sull’ebook.

Giuliana Benvenuti scrive: «Se prima del 1980 la lista del titoli più venduti vedeva ancora la letteratura “alta” accanto alla fiction popolare, attorno a quell’anno cominciò a essere dominata da un piccolo gruppo di autori il cui nome assomigliava sempre più a un brand: Tom Clancy, Michael Crichton, John Grisham, Stephen King, Danielle Steel e altri.» La comparsa di internet nel decennio successivo trasformò e moltiplicò il carattere remunerativo degli investimenti. Il caso emblematico è quello di Scribner che in una joint venture con la casa editrice di Stephen King (Philtrum Press) pubblicò nel marzo del 2000 il racconto Passaggio per il nulla in formato ebook, disponibile per 2, 50 dollari, una piccolissima somma che del resto per gli editori comportava solo oneri contrattuali. «Nelle prime ventiquattro ore dalla messa in rete fu scaricato 400.000 volte, toccando le 600.000 copie elettroniche nelle prime due settimane.» Nel giugno dello stesso anno il pubblisher, ovvero l’agente di King, annunciava che lo scrittore stava scrivendo un altro testo destinato all’ebook, ma a puntate, e senza alcuna mediazione editoriale chiedendo ai lettori un’offerta qualsiasi. La prima puntata fu scaricata 152.132 volte nel corso di una settimana.

Il corollario della pubblicazione digitale è che l’offerta è condizionata oltre che dai nomi brandizzati, dai gusti e dalla preparazione letteraria dei “clienti”. La stessa offerta on line è dominata di pari passo da libri stampati e digitalizzati da scrittori improvvisati. Nel gennaio 2015 il 40% dei ricavi di Amazon (che su questa strategia è stata la prima azienda a investire in maniera cospicua) «provengono dalla vendita di ebook di self-published authors». In certo modo lo stesso accade con le piattaforme digitali e per quello che costituiva il setaccio critico, il giudizio di valore. Mentre scomparivano le costose pubblicazioni cartacee si sono fatte strada  quelle su internet, dove è cospicua la percentuale “amatoriale”, cioè di appassionati di letteratura (non è il nostro caso; chi scrive qui lo ha fatto e fa di professione)  o di redattori di pubblicità promozionale collocati in vari contesti. Ma almeno su una circostanza, il bilancio è positivo: diversamente da quanto si temeva il digitale non divora affatto la letteratura cartacea.

I nuovi media e le star

Al di là degli esiti popolari, la globalizzazione  modula anche le scelte tematiche: un successo comporta il tentativo da parte di altri autori e produttori di replicarlo in tempi stretti con un effetto di serializzazione dei contenuti. Il caso più eclatante di diffusione dei prodotti culturali, è quello della nascita di Bollywood, nome affibbiato ironicamente al cinema popolare indiano, mentre in ambito letterario valga per tutti la serializzazione dei generi e la contaminazione tra visualità e scrittura. Il contrappasso di questo scenario avrebbe dato luogo, secondo una tesi, al fenomeno letterario dell’autofiction. Benvenuti cita  The conglomerate Era di Sinykin dove si ipotizza che i conglomerati di media abbiano creato un perenne stato di ansia autoriale. Gli scrittori, decisi a richiamare la centralità della loro funzione di fronte ai vari compromessi e alle negoziazioni, avrebbero cioè dato luogo a un nuovo approccio tematico, facendo dell’autore e dei rapporti con gli editori, gli agenti, i promotori, un nuovo genere letterario di non fiction: saggi in prima persona e memoir. Altrettanto problematico è l’effetto della trasmedialità sul canone letterario su cui, peraltro, il saggio non insiste ricordando che «Non è facile abbandonare il paradigma modernista che stabilisce un’equazione tra valore e originalità, intesa anche come continua ricerca della novità, con il corollario di una vera e propria lotta con la tradizione letteraria illustre, sempre richiamata ma sempre avvertita come minaccia».

La mappa e i numeri dei successi: in principio fu Umberto Eco

La selezione degli scrittori di successo la cui opera ha avuto un ventaglio di esiti mediali ha tenuto conto soprattutto degli autori di rilevanza letteraria e critica cominciando con un caso-limite, quello di José Saramago, scrittore per il quale il Nobel e il successo internazionale erano tutt’altro che iscritti nel tempo. Una sorta di premessa temporale che immette in una esperienza ugualmente lontana ma condivisa, vale a dire le autofinzioni di John Maxwell Coetzee (di Chiara Lombardi) e in maniera più importante – rispetto al tema del dialogo tra media –  nell’avventura di Umberto Eco ( nella f.to sopra) con Il nome della rosa raccontanta dal saggio di Beniamo Della Gala. Il romanzo di Eco è edito nel 1980; nel 1981 e ’82 ottiene i premi Strega e  Médicis, il New York Times lo include nell’ ’83 nella sua prestigiosa lista di “Scelte editoriali”. In  Italia permane per 170 settimane nelle classifiche dei romanzi più venduti, negli Usa per 23. Il nome della rosa  viene tradotto in 50 lingue e nel corso degli anni sono state vendute 55 milioni di copie. Il libro avrà due nuove edizioni nel 2012 e nel 2020: la prima con disegni dell’autore, la seconda con gli appunti che accompagnarono la scrittura. A parte il film di successo di Jean-Jacques Annaud nel 1986, nel 2003 il plot di Eco diede luogo a un nuovo bestseller popolare, Il codice da Vinci di Dan Brown nel 2003, mentre il successivo libro di Eco, Il pendolo di Foucault, nonostante traduzioni e vendite non ottenne neppure lontanamente un successo analogo.  Ma si crearono videogiochi ispirati ai personaggi (Murder in the abbey, 2008), serial, un adattamento radiofonico, un audiolibro. Milo Manara su Linus creò un fumetto a puntate ispirato alla storia, parodie vennero pubblicate da Topolino; Zagor, un altro fumetto, ospitò nel 1992 L’abbazia del mistero. Di nessun successo fu invece il serial in inglese di Turturro ed Everett.

Stephen King, un brand da 600 milioni di dollari

Umberto Eco nel momento in cui scrisse il suo primo romanzo era un semiologo e un saggista affermato. La sua diversione nella fiction sorprese. Viceversa Stephen King (di cui ci parla Massimo De Angelis) nasce come uno scrittore isolato il cui primo libro, Carrie, nel 1974 non ottiene grande attenzione finché due anni dopo non ne fa un film Brian De Palma. Tra il ’77 e il 1984 King pubblica cinque romanzi di cui quattro scritti in precedenza con lo pseudonimo di Richard Bachman che otterranno attenzione solo dopo la scoperta dell’autentica firma autoriale. Come Eco e diversamente da Eco, King è comunque il prototipo dell’autore-brand. Tra libri e versioni transmediali è titolare di un’attività il cui valore, nel 2022, è stimato in 600 milioni di dollari. I suoi soli romanzi hanno venduto 350 milioni di copie.

J.K. Rowling: come vendere 500 milioni di copie 

La copertina della prima edizione di Harry Potter; il volume che conteneva alcuni errori tipografici è stato battuto all’asta per 250 mila dollari. Sotto il titolo uno dei giochi ispirati alla saga 

La saga di Harry Potter, sette romanzi editi tra il 1997 e il 2007, sono attualmente il fenomeno letterario più cospicuo, redditizio e globale di tutti i tempi. E come scrive il saggio di Marina Guglielmi, Rowling «è lo scrittore più ricco del mondo». I suoi romanzi sono tradotti in più di 80 lingue e ad oggi le copie vendute si aggirano su 500 milioni, più di quanto non accade per tutta la corposa produzione di King. Dopo i romanzi della saga sono usciti tre libri che costituiscono la Hogarts Library, cioè i manuali scolastici usati dalla scuola di magia di cui ci racconta la storia di Harry Potter a cui si aggiunge una raccolta di racconti e una saga dedicata agli animali fantastici. Guglielmi prende nota ugualmente del vasto mondo trasmediale interessato al fenomeno: adattamenti cinematografici, un sequel in forma teatrale, tre prequel, giochi da tavolo, videogames, musical, due siti web, tre parchi a tema, uno Studio Tour della Warner Bross a Londra, negozi di marchandise. I fan hanno pubblicato diversi libri ispirati al mondo di Harry Potter così come sono state prodotte opere d’arte, brani musicali, canali dedicati e associazioni (compreso il sodalizio sportivo di  Quidditch). Ogni anno si hanno eventi, e conferenze ospitate da college e università. Gugliemi traccia inoltre il profilo delle narrazioni parallele che tra web e carta stampata hanno seguito parallelamente l’autrice: la madre sola e indigente, la passione letteraria della Rowling, il viaggio in treno da Manchester a King’s Cross nel 1990 dove la saga di Potter le appare «come un’epifania» e i rifiuti degli editori con il seguito di una prima tiratura del primo romanzo di 500 copie. Infine l’acquisto dei diritti da parte della casa editrice americana Scholastic a un prezzo importante, precedentemente mai pagato per un libro che doveva essere destinato ai bambini.

Houellebeck, lo sfregio alla correttezza liberal dell’Occidente

La transmedialità richiamata dal libro di Giuliana Benvenuti si rispecchia evidentemente in maniera diversa, più o meno evidente, rispetto non solo ai tempi storici più o meno digitalizzati ma anche in relazione ai caratteri delle opere e alla ricezione. Sia  Coetzee, sia Michel Houellebecq partecipano alla ricerca sotto profili sensibilmente diversi, così come accade per Margaret Atwood, Haruki, Pamuk e Ferrante. Il caso di Houellebecq, autore esordito con un saggio su Lovercraft e una raccolta di poesie, e divenuto celebre con romanzi destinati in principio a pochi intellettuali, non può evidentemente dar luogo a un impatto paragonabile a quello della Rowling. Un dato economico per tutti: i libri dello scrittore de Le particelle elementari  e Sottomissione si aggirano sui 5 milioni di copie. Il saggio di Filippo Pennacchio richiama il successo su diversi mercati internazionali, i premi Impac e Goncourt, le versioni cinematografiche ma è chiaro che la prosa di  Houellebcq nasce con un crisma autoriale alla vecchia maniera (come per Saramago): lo scrittore provoca i contemporanei, non accetta i diktat del costume intellettuale sul “politicamente corretto”, interseca con i suoi romanzi tematiche diverse: la perdita di valori nel mondo liberista, la cancellazione di identità e tradizioni mentre i suoi protagonisti (percepiti come alter ego dell’autore) avanzano richieste libertarie. E non basta. La narrativa di Houellebecq ha un versante distopico dove si delinea un futuro di clonazione dell’essere umano, di sessualità avulsa dall’identità, di disvalori. Ma è aleatorio chiedersi se al suo successo contribuisca la “scrittura bianca” barthesiana in un paesaggio letterario in cui la lingua narrativa è comunque orientata verso la lingua denotativa d’uso o a una “classicità” senza fisionomie ritagliate (per confronto si potrebbe citare tanto Gadda quanto Nabokov, tanto Tondelli quanto il Saramago qui convocato).  Certo non sono estranei al successo dell’autore francese, come racconta con dovizia Pennacchio, le circostanze storiche. Non solo la sicumera del politicamente corretto e del “futuro che avanza” con i suoi corollari legati agli interessi di capitale ma alcuni episodi in particolare: nel 2001 esce Piattaforma dove si racconta di un poderoso attentato islamico in un villaggio turistico e pochi giorni dopo avviene l’attentato alle Torri Gemelle; il 7 gennaio 2015 compare Sottomissione e nello stesso giorno un altro attentato islamico colpisce la sede del settimanale Charlie Hebdo, reo di aver offeso Maometto con le sue vignette satiriche. In breve «il romanzo e il suo autore si ritrovano al centro di infinite polemiche sulla libertà di espressione, sull’idendità nazionale, sui conflitti religiosi e culturali che attraversano il presente.» Se Houellebecq è considerato tra gli autori più lucidi di oggi, nondimeno al successo hanno contribuito le sue provocazioni, come l’articolo “Trump è un buon presidente” o la sua stessa immagine pubblica: scarmigliato, con una sigaretta perennemente fumante tra le mani, vestiti casual stazzonati.

Una postilla 

L’intelligente scelta della curatrice di convocare  esperienze letterarie tanto diverse ma convergenti sulle valenze economiche, sociali e strumentali, richiama un ulteriore aspetto esterno agli interessi degli autori ma non eludibile: dalle allegorie di Saramago, alle distopie di Houellebecq passando dai mondi medioevali, gotici e fantastici di Eco, di Stephen King e dalla Rowling, dall’alterità evocata in molte opere di Murakami Haruki, all’ambientalismo di Atwood, si disegna una letteratura che delega all’immaginario due movenze opposte: lo scantonamento dal presente o la polemica con il presente. Una dualità convergente e sulla quale la transmedialità capitalizza  attraverso quello che Barthes avrebbe sicuramente definito “il piacere del testo”. Finora questa dialettica non ha avuto sintesi. Per dirlo con Murakami abbiamo il nostro mondo e il mondo “altro”.

Marco Conti 

Giuliana Benvenuti (a cura di), La letteratura oggi. Romanzo, editoria, transmedialità, pp. 332, Einaudi Pbe, 2023; euro 24,00

 

 

Guerra, ovvero il Céline ritrovato

 

Il manoscritto recuperato con altre migliaia di carte era stato trafugato dall’abitazione di Céline nel primo dopoguerra 

Il 17 giugno 1944 Louis-Ferdinand Céline decide in fretta e furia di lasciare Parigi, ormai prossima alla liberazione, per scappare in Germania con la moglie Lucette e il suo gatto. E’ già autore di due  tra i più notevoli romanzi europei della prima metà del secolo: Viaggio al termine della notte, nel 1932, e Morte a credito, nel 1936. Il punto è che, nella sua rabbia contro il mondo e gli uomini, ha scelto di schierarsi sia contro la guerra, sia con la Germania e non solo: è autore di tre pamphlet che incolpano ebrei, capitalisti e comunisti del degrado della Francia. Abbandonando la sua casa , Céline (il nome d’arte è stato mutuato da quello della nonna:  lo scrittore all’anagrafe è Louis-Ferdinand Destouches) lascia dietro sé un’enorme quantità di manoscritti che rivendicherà fino all’ultimo giorno senza poter mai entrarne in possesso. Dopo essere scappato ed essere stato catturato in Danimarca, dove sconterà la prigione per collaborazionismo, sarà di ritorno in Francia nel ’51, ma  non scoprirà mai come reperire gli scritti rubati, a quanto pare quindicimila fogli. Né lo potrà fare l’erede degli inediti, la moglie, che morirà solo nel 2019, a 107 anni.
Il mistero si risolve però nello stesso anno. Un giornalista di “Liberation”, Jean-Pierre Thibaudat, rivela di essere stato per oltre vent’anni il possessore degli inediti avendo ricevuto i manoscritti da un combattente della resistenza francese, Yves Morandat che, nell’affidarglieli, aveva preteso il segreto fino alla morte della vedova Celine. Non voleva forse che i testi fossero usati politicamente dai movimenti di destra e del resto si trattava di materiali trafugati indebitamente.

E’ così che Guerra – cronologicamente una premessa autobiografica del Viaggio al termine della notte –  diventa un eclatante caso letterario, oggi proposto nella versione italiana di Ottavio Fatica edita da Adelphi, a tre anni di distanza da quella originale. Fin d’ora si sa che a Guerra seguirà un altro romanzo inedito, Londres (giù stampato in Francia l’anno scorso da Gallimard) e una più ampia versione di Casse-pipe.  Una storia, quella degli inediti ritrovati, che parrebbe fatta per essere scritta da Céline…Benché il finale della vicenda,  tutto sommato edificante, non avrebbe forse convinto l’ autore che, sul genere umano, nutriva la più sconfortante sfiducia spinta fino alla soglia della paranoia o del nichilismo.

Il romanzo

«Sarò rimasto lì ancora una parte della notte dopo. A sinistra tutto l’orecchio era appiccicato a terra con il sangue, la bocca pure. Fra l’uno e l’altra un rumore immenso. In quel rumore ho dormito e poi è piovuto, pioggia di quella fitta fitta.»

Un incipit che restituisce immediatamente la voce  di Céline: il monologo in prima persona come in tutti i romanzi di Céline, il colloquio intimo in argot. Lo scrittore torna idealmente indietro nella propria autobiografia rispetto alla vicenda di Viaggio al termine della notte dove il protagonista è un medico che, dopo aver preso parte alla prima guerra mondiale, si imbarca su una nave diretto nelle colonie. Con Guerra Céline ferma l’attenzione sul momento in cui rimase ferito durante un’azione militare e sopravvisse, unico della sua pattuglia, restando per ore sul terreno prima di tentare di tornare, ferito, nelle retrovie. La narrazione si sposta quindi nell’ospedale in cui viene ricoverato  dove prende corpo ancora una volta la visione di un’umanità sofferente e grottesca, tra derelitti, canaglie, bugie, perbenismo di maniera. Anche nelle corsie ospedaliere di sofferenti e moribondi c’è in sostanza lo spettacolo infimo che lo scrittore ha sempre paventato con furfanti che cercano di trarne qualche guadagno, con la pietà e l’eros incarnati dell’infermiera L’Espinasse. Figura estrema anche questa che offre il piacere della masturbazione anche ai moribondi. Il timbro è quello consueto, inconfondibile, di una voce sardonica, a tratti grottesca nell’impasto di tragedia e humor nero. Emozioni e piccolezze sono raccontate con un linguaggio basso ma capace di ritagliare scorci lirici: «Guardavamo i giardini, gli alberi sopra i muretti di mattoni. In cielo c’erano grasse cannonate e poi anche grasse nuvole tutte rosa e tutte pallide», scrive quando, con un commilitone, riesce a uscire dall’ospedale dove è ancora degente senza farlo sapere agli altri ricoverati.

La medaglia al caporale Céline

Il caporale Céline, nella realtà come in questa prosa, sarà insignito di una medaglia. E dire che, interrogato da un ufficiale durante il ricovero ospedaliero, temeva di finire davanti al plotone di esecuzione. Ma così come ogni accusa sarebbe stata demenziale, per il caporale è demenziale anche il premio ricevuto e il suo corollario, con commilitoni e genitori emozionati per l’onore che dà lustro alla famiglia:

«Mio padre era come paralizzato. Di punto in bianco ero diventato qualcuno. Ne parlavano già tutti al passage des Bérésinas della mia medaglia, dicevano. Mia madre aveva la lacrimuccia, la voce commossa. A me però mi dava pure il voltastomaco.»

Céline avrebbe voluto invece che finisse il frastuono, il rumore di fondo incessante che avvertiva nella sua testa, uno sferragliare dovuto all’esplosione di un ordigno che lo aveva scagliato contro un albero e colpito alla testa. Ma se il corpo, la precarietà che vi è inscritta, sono una costante in queste pagine, lo stesso vale per l’eros e per il fragilissimo velo di ragioni morali. La narrazione, in principio del tutto filtrata dalle preoccupazioni del protagonista, sposta poco a poco il baricentro verso la vita dell’ospedale, l’amicizia con il vicino di letto, Cascade (in principio nel manoscritto chiamato Bébert, come il gatto dello scrittore!), i traffici e il lenocinio della moglie di quest’ultimo con  i soldati inglesi acquartierati nella cittadina, riuscendo fino alla fine a mantenere viva la sospensione tra i personaggi e le loro sorti.

Nella premessa François Gibault osserva che il manoscritto era una prima stesura; il testo avrà la sua naturale continuazione con il romanzo già citato, Londra, concomitante peraltro con la tappa successiva della vita reale di Celine.

François Morane

Louis-Ferdinand Céline, Guerra (a cura di Pascal Fouché),  pp. 156, Adelphi, 2023; euro  18,00

 

Raboni, la poesia parla da lontano

Salerno Editrice pubblica un’ampia edizione critica di “Cadenza d’inganno”, libro-chiave che riunì 17 anni di vita del poeta lombardo

Parler de loin, ou bien se taire…L’invito di La Fontaine  messo in epigrafe da Giovanni Raboni alla prima raccolta di poesie, “Le case della Vetra”, non è mai stato così dissonante  rispetto alla moneta corrente del XXI secolo. Ma quella nozione formale di poesia è stata la cifra più vistosa dell’opera di Raboni e la si apprezza ancora meglio oggi, con la vasta edizione critica del suo secondo libro, in origine pubblicato nel 1975: Cadenza d’inganno, curato da Concetta di Franza per Salerno Editrice con la prefazione di Giancarlo Alfano.  Understatement che si apprezza tanto più nelle pagine di un libro composito che innesta continuamente privato e pubblico, motivazioni intime e le denunce degli anni brucianti della contestazione sessantottina: la morte dell’anarchico Pinelli, il sospetto che si allunga sulla stessa figura intellettuale e borghese di Raboni, sia da parte dell’apparato di potere, sia rispetto all’ideologia giovanile dominante nella piazza.

“Parlare di sé da lontano, oppure tacere” dunque.  Raboni aprì Cadenza d’inganno con una sezione dedicata alla memoria della madre in cui il tema della morte (che contrassegna un parte significativa di tutta l’opera dell’autore) è visitato attraverso scorci che parrebbero neutri e stranianti e dunque destinati a rendere ancora più forte il sottaciuto attraverso scene indirette. Un esempio flagrante è il testo “Amen” dove la memoria è rievocata con le immagini prosaiche degli spazi di un appartamento: «Quando sei morta stavamo/ in una casa vecchia. L’ascensore non c’era. C’era spazio/ da vendere per pianerottoli e scale./Dunque non t’è toccato di passare/ di spalla in spalla per angoli e fessure,/ d’essere calcolata a spanne, raddrizzata/ nel senso degli stipiti/. Sparire/ era più lento e facile quando sei sparita.(…)». Il registro, l’uso di locuzioni colloquiali, concordano con la scena dimessa, così come la conclusione del testo, formalmente distante ma feroce sul dolore della morte, quando rivolgendosi alla stessa morte pronuncia: «Scendi a pianterreno/ come ti pare (…) liberaci dall’estetica e così sia».

Pubblico e privato

Concetta di Franza mette in evidenza la struttura trasversale del libro che riunisce 17 anni di vita e percorre momenti diversi. Tuttavia in diverse occasioni gli ambiti, osserva la curatrice, gli tematici convergono.  Così accade nella seconda sezione del libro,  “Economia della paura”, articolata su tre prose dove  il concetto di “economia” allude alla sorveglianza politica e contemporaneamente ai sospetti, alla complicità di due amanti durante una conversazione. Mentre il tema politico sarà vivo in un’altra intensa pagina prosastica, “Partendo da Boulevard Berthier” (che richiama un momento dei moti piazza parigini del ’68 in cui morì uno studente) ,   anche la storia amorosa sarà nuovamente voce lirica con i versi di “L’intoppo” : testo che stesso Raboni commentò in una intervista fatta dalla curatrice nel 2004 e poi pubblicata sulla rivista “Italianistica”. Il poeta definì questa parte del libro il «diario di una storia ancora in corso», vale a dire la vicenda di un amore clandestino «un po’ tumultuoso».  Ecco allora il verso più spiccato ma ugualmente pronunciato con informale disinvoltura in “Cosa”:

Mi chiedi «cosa ti piace di me, cosa

più del resto». Una volta per ridere

ho detto il cappellino. Però pensando

la schiena, le ginocchia; e al labbro di sopra che quasi

non tocca quello di sotto: e come

s’impenna liquido, scatta il tuo profilo.

Ma ancora di più la faccia che non sai d’avere

dopo aver fatto l’amore, netta per saliva e sudore,

a una calma che c’era rifiorita.

Lo stesso timbro lo si ascolta con alcuni incipit che simulano un discorso intrapreso e l’inciso dell’espressione parentetica proprio come accade nei colloqui più informali: «Dei rimproveri che mi fa (certi/ non li discuto/ ce n’è uno quando arriva che fa/ male come il freddo sulle dita)» in “Le volte”.

Non solo nell’architettura del libro ma in un medesimo testo accade che Raboni unisca storia e quotidianità attraverso la stratificazione del vissuto, come in “Notizie false e tendenziose” dove l’unica certezza è quella evocata dall’esergo di Mandel’stam, ovvero che «il potere è ripugnante come le mani di un barbiere». Da qui si direbbe provenga  la dialettica tra denuncia e puntuale complementare  percorso tra le mura domestiche, gli amori e le occasioni affettive:

Il perito settore dice che le ferite

non sono incompatibili con la meccanica di

una caduta dall’alto. Il giornale conclude

che dunque il morto si è suicidato.

La lingua referenziale del verso conta qui solo sulla sintesi ellittica (il soggetto politico è quello di Pinelli precipitato nel cortile della questura) portando all’estremo una poetica che solo negli ultimi anni avrà un deciso contraltare con “Quare tristis”, dove rivive il metro del sonetto. Una parentesi.  Poi, più estesamente  di quanto non faccia Cadenza d’inganno,  “Barlumi di storia” nel 2002 tornerà a prendere in consegna il tempo collettivo: e questa volta la voce  lirica del verso avrà la distanza del distacco. Ricordando Pasolini che parlava della bellezza dell’Italia durante il fascismo,  Raboni scriverà: «Il punto/ è che è tanto più facile/immaginare d’essere felici/ all’ombra d’un potere ripugnante/ che pensare di doverci morire.» Come non dargli ragione…

Marco Conti

Giovanni Raboni, Cadenza d’inganno (a cura di Concetta di Franza), pp. 325, Salerno Editrice, 2023; euro 42,00

 

 

Tahiti e le sue parole perdute

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Laura Boerio: la mela e il male secondo Ballard

Se si volesse sfogliare a caso le raccolte di poesia dell’ultimo decennio si troverebbero molti registri ma raramente una poesia attraversata dalle più svariate suggestioni della cultura pop. Pop, è meglio intendersi, non perché un testo si pretenda letteratura di consumo, ma per aver preso in prestito l’immaginario più diffuso: dal …

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Dentro la storia di Martin Amis

Dentro la sua storia, dentro le storie. L’ultimo libro di Martin Amis, un’autobiografia fatta di narrazioni frammentarie tematicamente riprese nel corso del tempo, di perlustrazioni nella fucina del romanzo,  conferma benché non ce ne fosse bisogno, l’originalità di questo scrittore immerso da sempre nella letteratura: figlio di una scrittore, sposato con …

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